mercoledì, 27 Novembre 2024

Hong Kong: dove nasce la protesta

Giulia Sciorati (ISPI)

Le immagini di Hong Kong che i media hanno trasmesso nel corso dell’ultima settimana ricordano quelle di cinque anni fa: un fiume di manifestanti e ombrelli colorati che rimandano a una realtà di aperta opposizione politica a cui raramente si è assistito nella Cina degli ultimi anni. I manifestanti chiedono che non venga adottato un emendamento alla legge sulle estradizioni, temendo che questo possa determinare un’ingerenza sempre più accentuata di Pechino nell’autonomia di Hong Kong. Stando agli ultimi aggiornamenti, i manifestanti hanno fatto irruzione nel parlamento locale, che per il momento aveva rimandato l’adozione della legge sull’estradizione. Gli scontri con la polizia avrebbero causato decine di morti feriti e le autorità hanno definito la protesta una “rivolta”: un termine, questo, che evoca rivolte del passato come quelle di Lhasa e Urumqi, che poco hanno a che fare con quello che sta accadendo in queste ore a Hong Kong.

È un momento delicato in cui i risvolti dell’accordo del 1997 tra Regno Unito e Cina, il cosiddetto “Handover” di cui pochi giorni fa è ricorso il 22mo anniversario e che ha sancito il passaggio di Hong Kong da protettorato inglese a regione amministrativa speciale nella sfera di influenza di Pechino, si fanno sempre più stringenti. Cosa ha spinto i manifestanti a scendere in strada? Quali sono le loro richieste? E a cosa ambisce la Cina?

Perché si protesta a Hong Kong?

Le proteste contro l’emendamento alla legge sull’estradizione che ha dato il via alle manifestazioni non rappresenta che un tassello di un più profondo attrito tra Hong Kong e Pechino in vista dell’avvicinarsi della data in cui l’autonomia di Hong Kong dalla Cina, negoziata dal Regno Unito nel 1997, volgerà al termine. Nel 2047 Hong Kong cesserà infatti di avere standard politici, economici e istituzionali diversi e più autonomi rispetto al resto della Cina. E Pechino ha già dimostrato l’intenzione di erodere, anche se in modo quasi impercettibile, il grado di autonomia di Hong Kong.

Nel 2014, Hong Kong era già stata scossa da proteste durate quasi tre mesi. In quel caso, le manifestazioni erano scaturite dalla decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di riformare il sistema elettorale di Hong Kong. Tale riforma proposta, poi non adottata, è stata infatti percepita come una misura estremamente restrittiva dell’autonomia della regione, poiché ha comportato l’equivalente di una “preselezione” dei candidati alla leadership di Hong Kong da parte del Partito Comunista Cinese(PCC). Non a caso il Capo Esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam Cheng Yuet-ngorè stata accusata più volte di aver intensificato le relazioni con Pechino da quando in carica nel 2017, nonostante abbia più volte ribadito che la proposta di legge sia stata lanciata su spinta della leadership della città e non da attori esterni.

Le contestazioni non sono quindi una novità nel panorama politico del Paese. Al contrario, dal momento che i cittadini di Hong Kong non sono liberi di esprimere la propria preferenza elettorale, ma hanno il diritto di manifestare, le proteste sono uno strumento spesso adottato dalla società civile per far sentire la propria voce: oggi più che mai, in un momento in cui i cittadini di Hong Kong percepiscono le istituzioni come sempre più lontane.

Cosa rende la legge sull’estradizione problematica?

A Hong Kong sono oggi in vigore leggi sull’estradizione basate su accordi bilaterali con venti Paesi (tra cui Canada e Stati Uniti), tra cui non rientrano però né la Cina continentale, né Macao, né Taiwan. L’emendamento alla legge che è all’origine delle proteste di questi giorni cambierebbe le cose rendendo l’estradizione possibile per determinati reati, come l’omicidio o la violenza sessuale, pur senza estenderla ad altri tipi di crimini, in particolare quelli legati alla sfera commerciale o economica, come l’evasione fiscale. La proposta di legge ha infatti avuto origine dalla richiesta delle autorità di Taipei di trasferire a Taiwan un cittadino di Hong Kong, accusato dell’omicidio della fidanzata mentre si trovava sull’isola. Come sottolinea Giulia Pompili in questo commentary, il timore è che il provvedimento possa colpire anche cittadini stranieri che si trovano di passaggio ad Hong Kong.

All’origine delle proteste vi è dunque soprattutto la preoccupazione da parte dei cittadini di Hong Kong circa il fatto che le richieste di estradizione verso la Cina continentale diano adito a violazioni dei diritti umani e che possano essere usate come pretesto per raggiungere i dissidenti politici fuggiti a Hong Kong dal territorio cinese. Nonostante il piano di estradizione non si applichi ai reati politici, un ulteriore rischio è che la nuova normativa finisca per legalizzare, in un certo qual modo, rapimenti che si sono susseguiti a Hong Kong negli ultimi anni e di cui Pechino è stata in molte occasioni ritenuta la principale mandante.

Qual è la prospettiva cinese?

Il tema della contestazione politica è sempre più centrale nelle preoccupazioni delle autorità cinesi. In un momento particolarmente delicato per Pechino, che oltre alla guerra commerciale con gli Stati Uniti si trova a dover far fronte a una serie di sfide interne per il mantenimento della stabilità e dell’integrità dello Stato, una nuova ondata di proteste provenienti da Hong Kong non fa che rafforzare la spinta di Pechino verso l’adozione di risposte sempre più assertive a qualsiasi tipo di contestazione. Il 2019 è l’anno degli “anniversari difficili” per il PCC, a partire da quello dei 30 anni trascorsi dalle proteste di piazza Tiananmen del 1989 che ha, ancora oggi, provocato una censura diffusa sulle piattaforme di comunicazione cinesi.

Per il momento, le autorità di Hong Kong non permettono al PCC di intromettersi nelle questioni che riguardano la sicurezza interna del Paese. Tuttavia, il momento per Hong Kong di cominciare a negoziare con Pechino per mantenere anche solo una minima parte del grado di autonomia di cui ora gode si sta lentamente avvicinando. Per la Cina, stabilità e sicurezza sono legate a doppio filo con i propri obiettivi di sviluppo economico, e proprio per questo Pechino le ritiene fondamentali: alla luce delle proteste di questi giorni, c’è il rischio concreto che in nome della stabilità la leadership comunista cinese accentui il livello di assertività nei confronti della società civile di Hong Kong, incrementando nel corso dei prossimi anni le ingerenze in un Paese considerato come “instabile”.

Tra Cina e democrazia: quali scenari per Hong Kong?

La Cina “continentale” considera particolarmente minacciose le proteste che stanno scuotendo Hong Kong, dato soprattutto il livello di integrazione internazionale della città. Pechino teme infatti che tale apertura al resto del mondo possa favorire le spinte centrifughe che attraversano Hong Kong sin dalla sua “cessione” da parte del Regno Unito. La Cina si trova oggi di fronte a un dilemma: qualsiasi compromesso troppo poco stringente potrebbe creare un precedente che rischierebbe di estendersi alle relazioni tra Pechino e altre regioni contese come Macao, Taiwan, Tibet, Xinjiang e Mongolia interna. D’altra parte, altrettanto rischioso sarebbe agli occhi di Pechino far finta che nulla sia successo, poiché proprio in queste regioni le proteste di Hong Kong potrebbero trovare facili emuli. Inoltre, Pechino sta oggi investendo sulla realizzazione della “Greater Bay Area”, una zona economica e finanziaria che comprenderebbe anche Hong Kong e sarebbe in grado di rivaleggiare con le baie di San Francisco e Tokyo.

A questo scopo, è necessario che Hong Kong sia ulteriormente integrata con la terraferma: non è un caso, infatti, che collegamenti terrestri come quello con Zhuhai nel Guangdong siano già stati prontamente realizzati. Hong Kong rimane legata a doppio filo con Pechino, che nonostante l’interconnessione globale della città, ne è la principale destinazione dell’export, intercettando circa la metà del suo commercio totale per il 2018. I piani di Pechino, però, sembrano rivolti a un unico scopo: una sempre maggiore integrazione di Hong Kong nella Cina continentale. Al di là della legge sull’estradizione, gran parte della tensione che in queste settimane attraversa Hong Kong nasce infatti proprio dalle incognite che gravano sul futuro della sua fragile democrazia, che, seppur imperfetta, deve oggi confrontarsi con un destino incerto: cosa comporterà infatti il completamento della transizione di Hong Kong nella Cina continentale non è ancora stato chiarito. Ed è proprio questa incertezza che continuerà a fomentare le proteste.

CODICE ETICO E LEGALE