Oltre 350mila persone uccise, intere città devastate o rase al suolo e milioni di profughi. Da 7 anni la guerra in Siria, iniziata come protesta contro il regime di Bashar al-Assad, si è trasformata in una guerra civile. Uno scontro presto degenerato in un bagno di sangue che non ha mai trovato soluzione, nonostante accordi, tregue mai rispettate e trattative di pace andate in fumo. Ma come è iniziato il conflitto e quali sono i principali protagonisti di quello che l’Onu ha ribattezzato “il peggior disastro umanitario dalla guerra fredda”?
UN CONFLITTO LUNGO 7 ANNI – Più di sette anni fa, nel marzo 2011, nella provincia meridionale di Daraa scoppiano inedite proteste contro Bashar al-Assad, che poi dilagano nel resto del Paese. Assad revoca lo stato d’emergenza in vigore dal 1963, ma la risposta alla rivolta è comunque una violenta repressione e le proteste si trasformano presto in conflitto armato.
L’anno seguente la Siria accetta un piano di pace che prevede il cessate il fuoco proposto dall’allora inviato speciale dell’Onu Kofi Annan e il 14 aprile il Consiglio di Sicurezza decide l’invio di 300 osservatori militari incaricati di monitorare l’attuazione del cessate il fuoco. Ma a luglio l’opposizione accusa le forze fedeli ad Assad di aver ucciso 250 persone nel villaggio di al-Turaymisah (Tremseh), nella provincia di Hama. E cinque giorni dopo in un attacco suicida rivendicato dai ribelli muoiono stretti collaboratori di Assad: tra le vittime ci sono il ministro della Difesa, Dawoud Rajiha, e il cognato del leader siriano, Assef Shawkat.
LA ‘LINEA ROSSA’ DI OBAMA – Intanto i ribelli dell’Esercito libero siriano prendono il controllo di Aleppo. Ad agosto Kofi Annan parla di una “missione impossibile” e si dimette dall’incarico di inviato speciale dell’Onu per la Siria. Barack Obama lancia un ultimatum ad Assad: la “linea rossa” degli Stati Uniti in Siria è l’uso di armi chimiche. Ma nell’agosto del 2013 si verifica la strage della Ghouta. Il regime è accusato di aver ucciso più di 1.400 persone in un attacco chimico nella notte alla periferia di Damasco.
Dal canto suo, Damasco annuncia che consentirà a ispettori dell’Onu di indagare sull’uso di armi chimiche e ad ottobre l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac) e l’Onu annunciano l’avvio delle operazioni del programma di disarmo. L’anno successivo l’Opac conferma il trasferimento fuori dalla Siria delle ultime tonnellate di materiale.
ARMI CHIMICHE – Tra il gennaio e il febbraio del 2014 i colloqui di pace sotto l’egida dell’Onu avviati a Ginevra il 22 gennaio si rivelano un fallimento. La delegazione di Damasco si rifiuta di discutere della formazione di un governo di transizione. A settembre l’Opac afferma di avere “conferme convincenti” sull’uso di agenti chimici in Siria e qualche settimana più tardi le forze Usa e cinque alleati arabi (Bahrain, Arabia Saudita, Qatar, Giordania ed Emirati Arabi Uniti) lanciano i primi raid contro obiettivi dell’Isis in Siria.
LA MINACCIA ISIS – L’Isis prende il controllo di Palmira nel maggio 2015, rendendosi responsabile di un’infinità di atrocità e distruzioni nel sito archeologico. Pochi giorni dopo il gruppo Jaish al-Fatah (Esercito della conquista) rivendica di avere il quasi totale controllo della provincia di Idlib, ad eccezioni di alcuni piccoli villaggi. A settembre dello stesso anno, la Russia effettua i primi raid aerei in Siria e il 24 novembre un jet russo viene abbattuto dalle forze turche sul confine con la Siria.
Ma è solo nel marzo del 2016 che le forze siriane con l’appoggio dei russi “liberano” Palmira dall’Is, che tornerà poi a dicembre a prendere il controllo della città, per essere nuovamente respinto a marzo. Intanto ad agosto, la Turchia avvia l’operazione ‘Scudo dell’Eufrate’ nel Nord della Siria. Nella campagna militare vengono colpiti obiettivi dell’Isis ma anche dei curdi. Il 22 dicembre 2017 le forze siriane con l’appoggio dei russi e di Hezbollah, riconquistano Aleppo e il 29 entra in vigore il cessate il fuoco concordato da Russia, Iran e Turchia che esclude l’Is e Jabhat Fatah al-Sham.
I COLLOQUI FALLITI – Nel gennaio del 2017 ad Astana si tiene il primo round di consultazioni tra Damasco e rappresentanti dell’opposizione armata siriana su iniziativa di Russia, Turchia e Iran. Nuovi colloqui vengono poi organizzati a febbraio, a Ginevra, con dei colloqui di pace che si concludono a inizio marzo, di fatto senza risultati significativi. A marzo Ginevra ospita un quinto round di colloqui sotto l’egida dell’Onu tra rappresentanti di Damasco e delle opposizioni siriane.
LA STRAGE DI KHAN SHEIKHOUN – Il 4 aprile 2017 arrivano le prime notizie di decine di persone rimaste uccise in un presunto attacco chimico. E’ la strage di Khan Sheikhoun, nella provincia di Idlib. Come risposta, gli Usa colpiscono la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero decollati i velivoli responsabili dell’attacco contro Khan Sheikhoun. La base viene colpita da 59 missili lanciati dai cacciatorpedinieri USS Porter e USS Ross nel Mediterraneo orientale.
L’ATTACCO CHIMICO A DOUMA – Tre giorni fa, almeno 100 persone sono morte in un sospetto attacco chimico a Douma, roccaforte dei ribelli nella Ghuta orientale. Secondo quanto reso noto dall’associazione di beneficenza ‘Medical Care and Relief Organizations’ (USOSSM) “molte delle vittime erano donne e bambini e presentavano sintomi consistenti con l’inalazione di gas tossico”. Il presidente americano Donald Trump ha promesso una risposta “forte” all’attacco chimico sferrato a Douma, attribuito alle forze del regime. Francesi e statunitensi sarebbero pronti a un intervento contro Damasco, la Russia è contraria.
LE VITTIME – L’Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo di monitoraggio con sede nel Regno Unito, ha documentato la morte di 353.900 persone dal 2011 al marzo 2018, inclusi 106mila civili. A questo bilancio vanno aggiunte 56.900 persone disperse o presumibilmente morte. Il gruppo ha anche stimato 100mila morti non ancora documentate.
CHI SOSTIENE CHI – I principali sostenitori del regime di Assad sono Russia e Iran, mentre Turchia e Arabia Saudita supportano gruppi diversi di ribelli, che vogliono rovesciare Assad. La Russia dispone diverse basi militari in Siria e Mosca ha aiutato l’esercito siriano a riconquistare alcune città controllate dai ribelli, tra cui Aleppo. Usa, Regno Unito, Francia e altri Paesi occidentali hanno invece sostenuto in vario modo i ribelli ‘moderati’. Gli Stati Uniti, però, hanno via via diminuito l’appoggio alle milizie.
UN PAESE DIVISO – Il governo ha riconquistato il controllo delle più grandi città della Siria, ma gran parte del Paese è ancora in mano a gruppi ribelli e dall’alleanza delle Forze Democratiche Siriane (SDF) a guida curda. La più grande roccaforte dell’opposizione si trova nella provincia nord-occidentale di Idlib, che ospita oltre 2,6 milioni di persone. L’SDF controlla la maggior parte del territorio a Est dell’Eufrate, compresa Raqqa, fino al 2017 capitale de facto del Califfato che ora controlla solo poche zone in tutto il territorio siriano.