mercoledì, 27 Novembre 2024

I cento anni di Kissinger: come evitare la terza guerra mondiale

Piero Fornara [ Il Sole 24 Ore ]

Henry Kissinger arriva all’eccezionale traguardo dei cento anni – il 27 maggio 2023 – con la mente acuta e lucida, seppure un po’ incurvato nella postura e con qualche difficoltà nel camminare. Problemi di salute, anche importanti, non sono mancati nella vita dell’ex segretario di Stato americano: nel luglio 2014, a 91 anni, ha subito un’operazione al cuore per sostituire una valvola aortica. Altri due interventi cardiovascolari erano avvenuti in precedenza, un triplice bypass coronarico e un’angioplastica.

Con un paradosso potremmo dire che Kissinger ha attraversato tre secoli. Come docente all’Università di Harvard, studiò Metternich e la diplomazia del XIX secolo: la sua tesi di dottorato uscì come libro in America nel 1957 e anche in Italia nel 1973 con il titolo “Diplomazia della Restaurazione”.

Gli anni Settanta del XX secolo lo videro protagonista della politica internazionale, prima consigliere per la Sicurezza nazionale e poi segretario di Stato, dei presidenti Richard Nixon e Gerard Ford.

Attraversare tre secoli

Arrivati al XXI secolo, troviamo Kissinger consulente di sovrani, presidenti e primi ministri; già ultranovantenne ha scritto altri due libri: il primo – “World Order”- pubblicato nel 2014 e uscito in Italia l’anno dopo da Mondadori, riavvolge la bobina della storia a partire dalla Guerra dei trent’anni (1618-1648), quando nel Vecchio continente si mescolarono controversie politiche e religiose tra cattolici e protestanti in un conflitto totale e quasi un quarto della popolazione dell’Europa centrale morì in battaglia, di malattia o di fame. Ma le potenze europee dell’epoca trovarono il modo di mettere fine alla carneficina con la cosiddetta Pace di Westfalia e precisamente con i trattati di Münster e Osnabrück (1648), che diedero forma al sistema di relazioni internazionali degli Stati sovrani su base paritaria tuttora vigente.

Una possibile via d’uscita anche per l’Ucraina? L’anno scorso ha pubblicato un nuovo volume di 500 pagine, “Leadership: Six Studies in World Strategy” (anche questo uscito per l’Italia dall’editore Mondadori in novembre) dedicato a sei capi di Stato o di governo del ‘900: Adenauer, de Gaulle, Nixon, Margaret Thatcher, l’egiziano Sadat e Lee Kwan Yew (Singapore). Sei leader con i quali Kissinger ha avuto modo di interagire o collaborare, che vengono raccontati attraverso ritratti inediti.

Rifugiato negli Stati Uniti dalla natia Germania

Nato nel 1923 come “Heinz” Kissinger a Fürth (città nel nord della Baviera) in una famiglia ebraica tedesca, lascerà con i genitori la Germania nel 1938 per sfuggire alle persecuzioni antisemite del nazismo, trovando rifugio prima a Londra e poi negli Stati Uniti, dove cambierà il nome in Henry. Lavorò anche come operaio per poter proseguire gli studi, ma con il sopraggiungere della guerra, nel 1943 (insieme al fratello Walter) si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti e venne ingaggiato come traduttore e interprete di tedesco, acquisendo la cittadinanza americana. Finita la guerra, nel 1947 fece richiesta di ammissione all’università di Harvard e la sua domanda fu accolta. Cominciava per lui a 24 anni un altro periodo della sua vita.

Poche settimane fa, essendo vicina la ricorrenza del “centenario”, Kissinger ha concesso un’ampia intervista alla rete televisiva americana Cbs e ha ricevuto gli inviati del settimanale britannico “The Economist” conversando con loro per otto ore in due giorni. Sorge spontaneo il paragone con un altro grande diplomatico e saggista americano del secondo dopoguerra, George Kennan (nato nel 1904 e scomparso nel 2005 alla veneranda età di 101 anni). Incaricato d’affari a Mosca ed esperto di cose sovietiche, oltre che fine analista, il 22 febbraio 1946 Kennan spedì a Washington il “lungo telegramma” (8 mila parole), che nella Guerra fredda diventerà la base della politica americana di “containment” del temuto espansionismo sovietico; negli anni successivi Kennan diventerà un convinto assertore della distensione Usa-Urss.

Usa e Cina: meno di 10 anni per evitare lo scontro totale

Secondo Henry Kissinger gli Stati Uniti e la Cina hanno soltanto da cinque a dieci anni di tempo per evitare la Terza guerra mondiale. Invece che dal binomio di Washington con Mosca, adesso il destino dell’umanità dipende da quello con Pechino: «Il test più urgente, dove si potrà vedere la capacità di convivenza tra le due maggiori potenze, è la questione di Taiwan», così leggiamo su “The Economist”, che ha ripreso la conversazione sul numero datato 20-26 maggio. «Oggi siamo sulla strada del confronto tra grandi potenze, dove entrambe pensano che l’altra rappresenti un pericolo, non solo a livello militare, ma anche e soprattutto a livello economico e tecnologico». Una classica situazione di pre-guerra, dove nessuna delle due parti ha molto margine di concessione politica e in cui qualsiasi disturbo dell’equilibrio può portare a conseguenze catastrofiche. «Se dopo la Guerra dei trent’anni, le guerre di Napoleone e il secondo conflitto mondiale il progresso dell’umanità è ripreso, questa volta, con le armi nucleari, non sarebbe più così».

Dall’intelligenza artificiale una possibile minaccia

Ma Stati Uniti e Cina devono trovare il modo di convivere. Ai tempi della presidenza Nixon negli Stati Uniti c’erano inimicizie e ostilità, ma rimaneva ancora un certo qual grado di unità nella nazione, mentre adesso Trump e Biden sono andati sopra le righe. Per Kissinger, oltre alla minaccia nucleare, c’è il pericolo di una guerra tecnologica, distruttiva per l’uso improprio di strumenti come l’intelligenza artificiale. Una vera ossessione per lui, al punto da fargli immaginare pestilenze globali o altre pandemie, da cui l’assoluta necessità di leader responsabili. Kissinger racconta che, quando accompagnò Nixon nella prima visita in Cina del febbraio 1972, soltanto Mao Zedong aveva l’autorità di negoziare su Taiwan, ma quando Nixon sollevò il tema con lui, Mao disse: «Io sono un filosofo, non tratto questi argomenti». Fu invece il primo ministro Zhou Enlai a parlare di Taiwan con Kissinger: «Sono una brigata di controrivoluzionari, adesso non abbiamo bisogno di loro. Forse un giorno, chissà. Ma c’è tempo, possiamo aspettare cento anni».

Lo status quo del 24 febbraio 2022

Kissinger ha parlato anche dell’Ucraina con una sorprendente proposta: il primo passo per evitare disastri, specie in Europa, è far aderire Kiev alla Nato. Kissinger ha lodato il presidente ucraino Zelensky, mentre «quello che gli europei affermano è pericoloso, in quanto sostengono di non volere l’Ucraina nell’Alleanza atlantica, perché tale scenario sarebbe un rischio troppo grande di uno scontro aperto con la Russia. Stiamo mandando agli ucraini le armi più avanzate, ma non dovremmo porre fine alla guerra nel modo sbagliato». Supponendo che il risultato più probabile dovrebbe portarci allo status quo esistente prima dell’invasione russa del 24 febbraio 2022, l’obiettivo dovrebbe essere quello in cui l’Ucraina rimanga protetta dall’Europa e non diventi uno Stato solitario che bada solo a se stesso.«Se parlassi con il presidente russo Putin, gli direi che anche lui starebbe più al sicuro con l’Ucraina nella Nato. Se la guerra finirà, come può succedere, con la Russia che perderà buona parte dei suoi successi ottenuti in battaglia, ma conservando la base di Sebastopoli in Crimea, potremmo avere una Russia insoddisfatta, ma anche un’Ucraina insoddisfatta. Dunque «per la sicurezza europea, è meglio avere l’Ucraina nella Nato, dove non potrebbe prendere da sola decisioni sulle rivendicazioni territoriali».

L’accordo per il Vietnam

Sul finire degli anni ’60 e poi negli anni ‘70 il dialogo nucleare e la politica della distensione fra Stati Uniti e Unione Sovietica richiedevano la rimozione di non pochi ostacoli e il primo fra questi era la guerra in Vietnam. Già il presidente democratico Johnson aveva cercato di avviare dei negoziati a Parigi; il repubblicano Nixon, eletto nel 1968, vietnamizzò il conflitto con l’assistenza di Kissinger e gli affidò la conduzione delle trattative. Kissinger seppe tessere la tela dei negoziati segreti a Parigi con il nuovo capo della delegazione nord-vietnamita Le Duc Tho, con cui l’accordo sarebbe stato lentamente raggiunto. Il compromesso per il cessate-il-fuoco, firmato a Parigi il 27 gennaio 1973, prevedeva il ritiro di tutte le truppe Usa, la restituzione dei prigionieri di guerra e la conferma del 17° parallelo come linea di demarcazione fra i due Stati. Nel 1973 venne assegnato a Kissinger e a Le Duc Tho il premio Nobel della pace per l’avvio della composizione del conflitto vietnamita; Le Duc Tho rifiutò il premio per il protrarsi del conflitto, per cui anche Kissinger non si presentò, scusandosi, alla cerimonia. Ma in effetti per l’applicazione dell’armistizio non esistevano vere garanzie, per cui durante tutto il resto del 1973 e il 1974, ci fu la continuazione della guerra senza gli americani.

Il 1974 è stato anche l’anno delle dimissioni di Nixon, travolto dallo scandalo Watergate e sostituito dal suo vice Gerald Ford. Con l’inizio del 1975 scattò l’offensiva finale dei nordvietnamiti e dei vietcong, fino alla capitolazione di Saigon il 30 aprile 1975. Già nel 1971 però Nixon, alla ricerca di una via d’uscita dalla guerra del Vietnam e per attenuare le conseguenze negative della sconfitta americana che andava profilandosi, voleva sparigliare le carte nel campo comunista, avviando il riconoscimento diplomatico della Cina, anche quale forte contraltare all’Unione Sovietica.

La stretta di mano Nixon-Mao

Il capo della Casa Bianca volò verso la Cina nella notte fra il 20 e il 21 febbraio 1972, fece scalo a Shanghai, dove salì a bordo un ufficiale di rotta cinese per l’ultima parte del viaggio verso Pechino. Mao anticipò l’appuntamento con gli ospiti americani e incontrò il giorno stesso Nixon e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger: la telefoto della stretta di mano del presidente Usa con il “Grande Timoniere” della Cina fece il giro del mondo. Al colloquio, a parte l’interprete, partecipò anche il primo ministro cinese Zhou Enlai, ma non il segretario di Stato americano William Rogers.

La distensione con la Cina era cominciata con la “diplomazia del ping-pong” nell’aprile 1971, quando la nazionale statunitense di tennis da tavolo, giunta a Pechino per affrontare quella cinese, veniva ricevuta dal primo ministro Zhou Enlai. Ma è in estate che Kissinger si reca a Pechino, preparando la visita di Nixon. La missione diplomatica di Kissinger in Cina fu segretissima, quasi romanzesca. Nel corso di un viaggio in Asia, la sera dell’8 luglio 1971 a Rawalpindi (in Pakistan), durante un banchetto accusò un finto malore, lasciò la sala e fece annunciare una breve vacanza in montagna; in realtà si era recato in aeroporto (protetto da due agenti segreti ignari della destinazione), dove un aereo era pronto a decollare verso Pechino.

Qualche mese dopo, ottobre 1971, la Cina comunista viene ammessa all’Onu (entrando a far parte dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, con diritto di veto) al posto della Cina nazionalista – l’isola di Taiwan – dove al potere c’era ancora l’ultraottantenne generale Chiang Kai-shek. Da ogni punto di vista Nixon poteva sembrare agli antipodi di Mao: l’uno convintamente anticomunista, l’altro schierato contro l’imperialismo americano e il sistema capitalista degli Stati Uniti. Ma da parte sua Mao doveva preoccuparsi della crescente minaccia dell’Urss: il dissidio fra le due capitali del comunismo mondiale aveva già portato nel 1969 le truppe russe e quelle cinesi a scontrarsi ripetutamente lungo il fiume Ussuri e sui confini del Sinkiang.

I trattati Usa-Urss sulle armi strategiche

Tre mesi dopo il viaggio a Pechino – sul finire del maggio 1972 – Nixon sarebbe stato ospite al Cremlino. Anche in questo caso era la prima volta che un presidente americano metteva piede a Mosca: con il leader sovietico Leonid Breznev avviene la firma degli accordi “Salt-1” per la limitazione delle armi strategiche. Un secondo accordo limita a due per ciascuna superpotenza la costruzione dei sistemi antimissile (Abm).

Kissinger ha sempre sostenuto di essere stato estraneo alle vicende che portarono al golpe del settembre 1973 di Pinochet in Cile, ma alcuni suoi metodi di azione diplomatica e interferenze, anche militari, su governi e politici stranieri, per salvaguardare la leadership statunitense e contrastare realtà politiche ritenute ostili, nel corso degli anni sono stati aspramente criticati.

La guerra dello “Yom Kippur”

In Medio Oriente il presidente egiziano Anwar Sadat attendeva l’occasione favorevole per vendicare la sconfitta del 1967 da parte di Israele. Il 6 ottobre 1973, cogliendo di sorpresa gli israeliani nel giorno dello “Yom Kippur”, la festa religiosa più solenne del calendario ebraico, Sadat lanciò le truppe egiziane sulla sponda orientale del canale di Suez, mentre i siriani attaccavano sulle alture del Golan. Grazie agli armamenti forniti dall’Urss, le forze corazzate avanzarono rapidamente nel Sinai: il mito dell’invincibilità israeliana era stato infranto. In pochi giorni, però, Israele riorganizzò le proprie forze, riprendendo le posizioni perdute nel Golan e fermando l‘avanzata egiziana nel Sinai. Circondate le truppe di Sadat e formata una robusta testa di ponte al di là del canale di Suez, si profilava perfino una minaccia per la stessa città del Cairo. Intanto i sovietici avevano preso nettamente posizione a favore degli arabi – che avevano deciso il blocco petrolifero contro l’Occidente – mentre gli americani erano schierati a fianco di Israele. In questa situazione – scrive Ennio Di Nolfo nella sua “Storia delle relazioni internazionali dal 1918 ai giorni nostri” (editore Laterza, 2008) – Kissinger, dopo essersi recato sia a Tel Aviv che a Mosca, «attuò una estenuante navetta diplomatica di incontri al chilometro 101 della strada che va da Suez al Cairo, incontrando ripetutamente e separatamente i rappresentanti militari egiziani e quelli israeliani, ottenendo la firma di un cessate-il-fuoco provvisorio». Un negoziato meno frenetico portò il 18 gennaio 1974 a stipulare, sempre bilateralmente, al chilometro 101 accordi di disimpegno militare, che interponevano forze dell’Onu fra i due contendenti, cui seguì una conferenza a Ginevra, sotto la presidenza congiunta di americani e sovietici, che il 31 maggio 1974 confermò le intese raggiunte.

La distensione in Europa con l’Atto finale di Helsinki ’75

Nell’estate 1975 il Muro di Berlino era ancora ben saldo quando i leader di 35 paesi europei, degli Stati Uniti e del Canada firmarono a Helsinki l’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa (30 luglio-1° agosto 1975). Henry Kissinger, presente ad Helsinki come segretario di Stato del presidente Ford, tenne un “profilo basso” nei tre giorni del vertice. Ma la Csce è stata l’immagine della coesistenza pacifica e della distensione in Europa, e pur con i suoi limiti, ha rappresentato la più solida speranza di evitare una guerra nucleare tra Est e Ovest.

Piero Fornara

[ Il Sole 24 Ore ]