La mappa del mondo che indica le democrazie è sconfortante perché comprende solo gli Stati Uniti, l’Europa occidentale, l’Australia, il Giappone, il Sudafrica e una piccola parte del Sudamerica. Il numero degli abitanti del mondo retti da governi democratici diminuisce, e in questi i cittadini che vanno a votare sono sempre di meno. I processi di decisione nelle democrazie sono sempre più complicati e lenti.
La più antica democrazia moderna, quella americana, che è stata di esempio a tante altre, vacilla e rischia di trascinare con sé altre democrazie. Ci si chiede come possano convivere nell’Unione europea Paesi democratici e Paesi che non lo sono, come l’Ungheria, che non riconosce l’indipendenza dei giudici, dei media e della cultura, e traduce in ceppi in un’aula di giustizia una persona imputata.
Questi segni di crisi possono essere variamente interpretati. Da un lato ci si lamenta che lo Stato sia debole e non riesca a mantenere i propri impegni con i cittadini. Dall’altro ci si preoccupa dei pericoli che si corrono con un eccessivo rafforzamento del vertice dell’esecutivo. Quindi, la democrazia corre rischi perché è troppo debole o perché troppo forte? Per provare a rispondere a queste domande occorre distinguere i fattori latenti di crisi degli ultimi cinquant’anni dagli eventi che possono provocare il collasso delle democrazie. I fattori latenti di crisi sono almeno cinque e hanno cominciato ad agire in Europa da almeno mezzo secolo. Da allora incidono sulla democrazia intesa come rispetto per gli interessi condivisi della comunità e provocano una notevole insoddisfazione nelle popolazioni che vivono in regimi democratici.
In primo luogo, le democrazie mature, quelle che hanno un secolo di vita alle spalle, sentono il peso di un nobile passato. Hanno dato ascolto a molti e contraddittori interessi collettivi, dall’occupazione allo sviluppo, all’istruzione, alla protezione sociale, alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, e così via. Ma quando debbono decidere e devono mettere insieme tutti questi interessi, trovano difficoltà a stabilire quale di essi debba avere la prevalenza. In secondo luogo, nelle democrazie contemporanee sono spariti quelle organismi che una volta avvicinavano i governanti ai governati, i partiti come associazioni. Le forze politiche hanno cambiato natura e sono divenute oligarchiche.
Quindi, lo strumento principale della democrazia non è esso stesso democratico. Questa atomizzazione della società provoca una debilitazione dei parlamenti. Nelle democrazie mature, in terzo luogo, mancano le grandi idealità che hanno mosso il mondo per due secoli, aggregando gli elettorati. Gli stessi portatori di interessi economici e sociali non riescono ad unirsi o a trovare convergenze. Quindi, l’offerta di politica è debole e frammentata. Il quarto fattore di crisi riguarda le attitudini dei governanti, per i quali la politica non è più passione, ma mestiere. Essi cercano di andare incontro alle pulsioni popolari, invece di guidare i sentimenti dei cittadini, e restano prigionieri di tali pulsioni. L’arte del governare si riduce all’arte del guadagnare voti, dimenticando quel che scrisse Luigi Einaudi tre quarti di secolo fa, che il disprezzo della popolarità è la virtù massima dell’uomo di Stato. Quindi, gli elettorati diventano instabili, volatili, apatici. Il quinto fattore sta nella sottovalutazione di quello che una volta si chiamava «l’ordine della ragione».
La possibilità di agire secondo ragione richiede di attivare processi cognitivi che aumentano la capacità dell’elettorato, mantengono il suo rapporto con i rappresentanti e consentono quel progresso del governo rappresentativo che consiste nell’estrarre dalla nazione gli uomini capaci e di metterli alla sommità dell’edificio sociale. In passato, la scolarizzazione di massa, poi i partiti politici, infine l’esperienza gestionale pubblica, locale o nazionale, hanno svolto questo ruolo, consentendo, ad esempio, alle democrazie di abbandonare il suffragio censitario per giungere al suffragio universale attraverso l’istruzione, perché tutti potessero votare a mano a mano che si realizzava l’obbligo scolastico.
Questi fattori di crisi possono rimanere latenti per lungo tempo, ma producono un collasso dei sistemi democratici se e quando si verificano eventi quali l’affermarsi di movimenti anti-sistema, crisi economiche, erosione degli standard di vita, rotture della legalità. Un’importante ricerca condotta negli Stati Uniti e in Europa da una decina di studiosi ha mostrato quali sono i fattori distali, quelli intermedi e quelli prossimali che influenzano il declino delle democrazie, peraltro meno frequentemente nei sistemi presidenziali. La stessa ricerca ha messo in luce che una cintura protettiva intorno alla democrazia è necessaria perché i correttivi abituali possono non funzionare. Questa cintura richiede un alto livello di poliarchia, grande capacità amministrativa, un rigoroso rispetto della legalità e uno sviluppo dell’istruzione della società civile.
Sabino Cassese
[ CORRIERE DELLA SERA ]