Nelle situazioni di emergenza, si tratti di guerre, catastrofi naturali, pandemie, vengono presi, necessariamente, provvedimenti che implicano — talvolta in misura minima, talvolta più estesa — restrizioni della libertà personale.
Per conseguenza, ci sarà sempre chi riterrà che l’emergenza sia stata artificialmente creata dai governi allo scopo di indebolire o distruggere quella libertà. È vero che tante volte ciò è accaduto. Per esempio, resterà sempre un dubbio: non ebbero nessun aiuto o facilitazione di sorta i ribelli ceceni che fecero esplodere alcune abitazioni a Mosca nel 1999? Da quella emergenza derivò una stretta autoritaria in Russia e una nuova guerra in Cecenia. Tante altre volte però dubbi non ce ne sono: in molte situazioni l’emergenza esiste sul serio, non è stata concepita a tavolino.
Nel caso delle democrazie sufficientemente antiche e consolidate, se l’emergenza durerà poco, le conseguenze non saranno durature: superata l’emergenza anche quel minimo di restrizioni della libertà personale che si erano rese necessarie verrà abolito, si tornerà a condizioni di normalità.
Ma che succede se la minaccia alla vita delle persone non scompare rapidamente, se la condizione di pericolo che all’inizio appariva come un fatto contingente, presto superabile, diventa permanente o tale da accompagnare l’esistenza di quelle democrazie per molto tempo? Come impedire che, nel lungo periodo, quella condizione di pericolo finisca per minacciare sul serio le libertà dei cittadini?
La pandemia, come sempre accade in questi casi, ha innescato anche nelle democrazie consolidate occidentali una tendenza alla centralizzazione del potere: indebolimento del ruolo dei Parlamenti e rafforzamento di quello dei governi, gli unici che possano coordinare efficacemente gli sforzi per contenere e, possibilmente, eliminare la sfida pandemica. La concentrazione del potere è risultata minore negli Stati Uniti a causa della loro struttura federale: l’Amministrazione Biden non dispone degli strumenti per imporre la propria volontà ai singoli stati federati. Per inciso, sembrano valere anche in questa circostanza certe differenze fra il federalismo americano e quello tedesco.
Fino a poco tempo fa, comunque, pensavamo in tanti che l’emergenza Covid fosse di breve durata. Ora si comincia a prendere atto che forse non sarà così, che l’eccezione potrebbe diventare regola, che saremo comunque minacciati a lungo (prima che la scienza riesca a trovare un rimedio definitivo) dal Covid. Anche perché in un mondo interdipendente, con le frontiere porose — e tanto più in società aperte come quelle occidentali — non c’è verso di allontanare definitivamente la minaccia dal proprio Paese se nel resto del mondo la pandemia continua a imperversare. Nemmeno nei casi, come quello italiano, in cui l’azione governativa sia risultata efficace nel contenimento della malattia.
Quali strategie porre in essere per tutelare il più possibile il sistema delle libertà nel medio-lungo termine senza compromettere la nostra capacità di impedire una nuova diffusione del virus? Si tratta di pensare al futuro in termini di minimizzazione del danno. Il danno c’è, ed è inevitabile. Come ridurne le conseguenze il più possibile?
Proviamo per un momento a immaginare (per meglio esorcizzarlo) lo scenario più cupo: una ripresa più o meno incontrollabile della diffusione del virus. Immaginate che in Paesi come il nostro il senso del pericolo svanisca o per lo meno si abbassino quelle barriere psicologiche che oggi spingono tante persone a muoversi con cautela. Immaginate che si diffonda l’illusione che l’emergenza sia definitivamente alle nostre spalle. Le conseguenze politiche sarebbero immediate. Alla centralizzazione del potere (di fatto) provocata dall’emergenza seguirebbe una sua nuova diluizione/diffusione. I governi perderebbero capacità di iniziativa.
Per giunta, in Paesi come l’Italia, ove i rapporti centro-periferia (anche in materia sanitaria) sono resi confusi e difficili a causa dell’assetto istituzionale vigente, si andrebbe rapidamente verso forme di paralisi decisionale. Verrebbero meno le difese di fronte a una ripresa in grande stile dei contagi. Ne seguirebbero un’ennesima forte ondata di morti, strutture sanitarie al collasso, nuovi lockdown. Svanirebbero di nuovo le condizioni che sorreggono la vita ordinaria, ci sarebbe un nuovo blocco delle attività economiche all’interno dei Paesi. Per contagio, si andrebbe verso un crollo dell’economia internazionale. Quanto a lungo pensate che potrebbero resistere le democrazie? Quante democrazie sopravvivrebbero? Alcune forse sì ma molte si estinguerebbero. Magari senza che si verifichi nulla di spettacolare: niente colpi di Stato o altri fatti visibilmente traumatici. Semplicemente, una misura dopo l’altra, un passo alla volta, la democrazia si trasformerebbe in un regime autoritario o semi-autoritario.
Ciò significa che se dovremo convivere a lungo con la minaccia pandemica, dovremo anche conservare la capacità di distinguere. Tra le misure indispensabili e quelle che non lo sono. Dovremo capire che ci sono provvedimenti più o meno restrittivi della libertà che sono necessari per garantirci vita e salute ma anche per assicurare il mantenimento di condizioni di vita civile nonché un regime di libertà. Si tratterà, in ogni occasione, di scegliere il danno minore per evitarne uno maggiore.
Al momento sembra probabile che nel nostro futuro ci siano forme di vaccinazione obbligatoria annuale e che controlli (green pass o equivalenti) ci accompagnino a lungo. Ci sono tante restrizioni della libertà personale che accettiamo da sempre come ovvie e necessarie. Come l’assicurazione obbligatoria delle auto. O l’obbligo di mostrare i documenti se così richiesto da un agente di polizia. Dovremo accettare allo stesso modo i controlli sulle vaccinazioni. Nonché il fatto che i governi mantengano grande capacità di intervento in materia sanitaria. Per non trovarci domani in una crisi così grave da fare tracimare i poteri di quei governi in ogni ambito mettendo a rischio, questa volta sì, libertà e democrazia.
Ci sarà sempre, naturalmente, chi protesterà per la «intollerabile» violazione della sua libertà. Ma se sarà chiaro ai più che l’alternativa è fra due mali, riusciremo a capire quale sia il minore, e potremo anche arginare l’area della protesta. Persino le più litigiose democrazie possono sviluppare anticorpi che ne assicurino la sopravvivenza.
Angelo Panebianco
[ CORRIERE DELLA SERA ]
Illustrazione di Doriano Solinas