lunedì, 25 Novembre 2024

I MONDIALI LI HA GIÀ VINTI PUTIN

Pierre Haski

I Mondiali di calcio  in Russia sono un ottimo affare politico per il presidente Vladimir Putin. Il capo del Cremlino può mostrare ai suoi concittadini e al resto del mondo che, lungi dall’essere isolato, è capace di organizzare un evento sportivo planetario e sfoggiare un volto (più) sorridente, facendo dimenticare gli aspetti meno edificanti del regime.

Fino a poche settimane fa, dopo il caso Skripal (l’ex agente russo vittima di un attentato con armi chimiche a Salisbury, nel Regno Unito), circolavano minacce di un boicottaggio dei Mondiali. Di recente l’ostilità nei confronti di Mosca era stata rafforzata dalle accuse rivolte alla Russia da una commissione d’inchiesta internazionale sul disastro aereo del volo MH17 della Malaysia Airlines nei cieli dell’Ucraina nel 2014.

Eppure, l’unico risultato di queste minacce è stato l’annuncio da parte di diverse capitali occidentali dell’assenza di una rappresentanza politica in occasione dell’inaugurazione dei campionati del mondo a Mosca, a cominciare dal principe Carlo, che avrebbe dovuto rappresentare il Regno Unito. Nei corridoi del Cremlino, probabilmente, c’è stata più di una risata.

I precedenti
Era già accaduto nel 2008, quando la Georgia aveva cercato di organizzare un boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Soči dopo il conflitto con la Russia, le cui truppe occupano ancora una parte del territorio georgiano. Fu tutto inutile, dato che alla fine anche la Georgia ha partecipato ai giochi.

A quanto pare, il boicottaggio delle grandi manifestazioni sportive è passato di moda. L’ultima fase della guerra fredda, negli anni ottanta, aveva preso in ostaggio le Olimpiadi, con la decisione degli statunitensi di boicottare Mosca 1980 a causa dell’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979 e con la successiva ritorsione del blocco sovietico che boicottò Los Angeles 1984.

D’altronde è normale che intorno ai grandi appuntamenti sportivi si registri una certa agitazione politica. Era accaduto con le Olimpiadi di Pechino nel 2008, che Nicolas Sarkozy aveva minacciato di boicottare a causa dei problemi in Tibet di pochi mesi prima e che gli attivisti per i diritti umani avevano paragonato a quelle di Berlino del 1936. Ma a prescindere dalla posta in gioco politica, sono vent’anni che nessuno osa più privare dello spettacolo gli atleti, che si preparano per anni, e il pubblico, che segue le gare con grande passione.

All’inizio del 2018 si è assistito addirittura a una situazione opposta, quando le Olimpiadi invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, hanno permesso un riavvicinamento tra le due Coree e creato una dinamica politica capace di fermare le dichiarazioni di ostilità dei mesi precedenti.

Per Putin, il fatto che le nazionali qualificate siano presenti all’appuntamento di Mosca, con o senza il principe Carlo, costituisce già un successo del soft power, ovvero la diplomazia “morbida”, in opposizione alla diplomazia della forza bruta all’opera in Ucraina e soprattutto in Siria.

Il mondo non gira più attorno all’occidente e trova vantaggi in altre alleanze e in altri modi di governare

Fino a pochi mesi fa, gli opinionisti continuavano a descrivere la Russia come un paese isolato, penalizzato dalle sanzioni occidentali e senza alternative. Oggi nessuno riproporrebbe quell’analisi, anche se le sanzioni sono ancora in vigore e il presidente russo non è stato più invitato (come già accaduto negli ultimi anni) al G8, diventato G7 dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca.

Putin, in realtà, non aveva alcun bisogno di essere al G7 in Canada, un po’ perché gli conveniva lasciare gli occidentali liberi di vivere la loro crisi di nervi causata dal “leader del mondo libero” Donald Trump, e soprattutto perché aveva di meglio da fare.

Putin, infatti, si trovava a Qingdao, città costiera della Cina ed ex colonia della Germania (che in eredità ha lasciato soprattutto la ricetta della birra), per un vertice “dell’altro mondo”. L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), fondata dalla Cina e dalla Russia all’inizio del nuovo millennio per stabilizzare l’Asia centrale, è diventata progressivamente l’alleanza alternativa dell’ascesa cinese.

Respinto dagli occidentali per ragioni buone e meno buone, Putin ha deciso di sedersi nella cabina di pilotaggio di una Cina che si afferma sempre di più sulla scena globale. Questa alleanza ambigua appare più solida e duratura di quanto si pensasse, con il potente leader cinese Xi Jinping che si è preoccupato di gestire prudentemente la fierezza del suo partner russo anche se, dal punto di vista economico, è chiaramente la Cina a dominare l’alleanza.

Questo vertice tra regimi autoritari può accogliere l’Iran, all’indomani della denuncia dell’accordo sul nucleare decisa da Trump, ma anche l’India e il Pakistan, potenze rivali del subcontinente. È il segnale che il mondo non gira più attorno all’occidente e che trova vantaggi in altre alleanze e in altri modi di governare.

Forte dei suoi recenti successi in Siria, dell’ossigeno economico e diplomatico ricavato dall’alleanza con la Cina e soprattutto della sua recente rielezione senza scossoni, Vladimir Putin accoglierà questa settimana a Mosca il mondo del calcio, al prezzo di 19 miliardi di dollari d’investimenti.

Non saranno “i giochi di Berlino” del presidente Putin, né un’incoronazione di cui chiaramente non ha bisogno. I Mondiali in Russia sono semplicemente il prodotto di un mondo nuovo in cui i “disturbatori” dell’ordine internazionale possono sopravvivere e anche prosperare.

Va detto che Putin è avvantaggiato anche dalla decomposizione di quello che un tempo chiamavamo “occidente”, una decomposizione che lui tra l’altro ha contribuito a provocare muovendo le sue pedine nelle varie campagne elettorali. Di fianco alle intemperanze di Donald Trump, constatate in Canada dai suoi “alleati” G7, Vladimir Putin può presentarsi come modello di stabilità e prevedibilità. E non ha bisogno di un trionfo della nazionale di calcio russa. Ha già vinto.

Pierre Haski, L’Obs (Francia) su Internazionale

(Traduzione di Andrea Sparacino per Internazionale)

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