lunedì, 25 Novembre 2024

I TRE PECCATI CHE POSSONO SFASCIARE IL BELPAESE

GIUSEPPE DE TOMASO (LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO)

C’è una bella differenza tra la crisi economica del 2011 e la pre-crisi economica del 2018. La prima era, per così dire, di natura esogena. Colpa dei pregressi peccati dell’Italia certo, ma, anche o soprattutto, colpa dei postumi della crisi finanziaria sistemica internazionale esplosa nel 2008. La pre-crisi economica del 2018, invece, potrebbe sfociare in crisi vera e propria per ragioni endogene. Ossia per colpa nostra, per colpa esclusiva dell’Italia, visto che oltre frontiera non imperversa alcuna burrasca finanziaria pronta a travolgerci. E, si sa, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Il primo peccato mortale rimanda a una singolare concezione della democrazia. Chi vince alle elezioni intende comandare senza problemi, bypassando la premessa fondativa di ogni democrazia: il rispetto di quel reticolo di regole che parte dalla Costituzione e finisce con l’ultima delibera approvata in consiglio comunale. L’idea proprietaria degli ordinamenti è inammissibile, oltre che inconcepibile, in democrazia. Se così fosse, addio minoranze, addio sistemi e procedure di controllo su chi governa. Sarebbe l’apoteosi della maggioranza di governo, la ratifica della sua egemonia assoluta, l’avvento di una democratura. Ma in democrazia, la minoranza è più preziosa e indispensabile della maggioranza, perché tocca alla minoranza esercitare la funzione primaria di pungolo e controllo su chi guida un’istituzione. 

Né l’investitura popolare, successiva ad ogni elezione, costituisce, o può costituire, il lasciapassare per l’aggiramento delle regole. La democrazia corrisponde al governo della Legge, non al capriccio di Giove che, semmai, dev’essere il primo a dare l’esempio, sottoponendosi alla Legge.

Il secondo peccato mortale attiene alla Costituzione materiale del Paese, oltre che alla Costituzione formale. Esso parte dal presupposto, sbagliato come un sorpasso di Sebastian Vettel versione 2018, che l’economia sia sempre un gioco a somma zero, e non a somma positiva. 
Tutta la Storia conferma il contrario e cioè che la crescita economica può essere illimitata (sì, illimitata). Nell’Ottocento c’era chi scriveva, ed era pure un campione nella sua materia, che l’Europa non sarebbe mai riuscita a sfamare più di 20 milioni di persone. Adesso è l’intero pianeta a poter sfamare più di 7 miliardi di uomini e donne, le cui aspettative di vita, per giunta, risultano raddoppiate rispetto a quelle del secolo scorso. 

La vulgata più stravagante sull’economia, intesa come gioco a somma zero, riguarda il sistema pensionistico. La scuola di pensiero imperante sostiene questa straordinaria (!) equazione: più lavoratori andranno in pensione, più giovani entreranno nel mondo del lavoro, riducendo così la disoccupazione generale. Ohibò. Se fosse questa la medicina contro la penuria di lavoro, perché non anticipare a 50 anni, a 40 anni, l’approdo di ciascuno sull’isola dei pensionati? E poi, perché non averci pensato prima?

La verità è che l’economia non è sinonimo di una torta predefinita, con un immutabile numero di fette a disposizione. Al contrario, la torta può ingrandirsi e afflosciarsi. Dipende dalle scelte che si fanno in cucina. Così come non è dimostrato – la qual cosa si sta già verificando – che se si liberano 100 posti di lavoro, scatteranno in automatico 100 assunzioni, non è pure dimostrato che se nessuno va in pensione, nessuno tra i ragazzi sarà assunto. Anzi, finora la realtà ha dimostrato che più alta è l’età della pensione, più alta è l’occupazione di un Paese. Meno gente va in pensione, minore disoccupazione si registra. La Svezia è la nazione dove più tardi si lascia il posto di lavoro, ma è anche il Paese con il tasso più modesto di disoccupazione. 

Elementare, direbbe qualcuno. Se lo Stato spende meno per i pensionati, potrà investire di più per sostenere le imprese, per creare infrastrutture più moderne che, a loro volta, moltiplicheranno i posti di lavoro. In soldoni: più soldi uno Stato destina alla previdenza assistenziale, meno soldi potrà utilizzare per generare opportunità e ricchezza a beneficio di tutti. Specie per i giovani. Invece, sotto il mantello del solidarismo e dell’assistenzialismo, si nasconde un cinismo tipico di chi ragiona con una logica pagana, non cristiana. A parole si invoca solidarietà per chi deve ancora entrare nel mondo della produzione e dei servizi, nei fatti si tutelano solo i garantiti a scapito dei non garantiti. Servirebbe una rivolta delle baby-generazioni, ma la cultura dell’assistenza a oltranza ha pervaso anche loro, i più penalizzati dall’egoismo dei vecchi e dai calcoli elettorali di chi governa. 

Il terzo peccato mortale tocca l’assetto dello Stato unitario, che rischia di frantumarsi come un cristallo se alcune regioni del Nord otterranno – a breve – competenze e risorse al limite della secessione. Sembra che il problema non riguardi nessuno, nel resto del Paese, che osserva distratto l’intera partita. Non si agita nessuno, non si preoccupa nessuno. Solo poche voci si oppongono, nel Sud, e questo giornale è lieto di ospitarle e sostenerle. 

Ma se la volontà di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna di smarcarsi dal resto dello Stivale dovesse – come temiamo – risultare premiata dallo spirito del tempo, l’Italia ripiomberebbe nella sua condizione di «espressione geografica» (copyright dell’austriaco Metternich, 1773-1859). Espressione geografica l’Italia e molto probabilmente, a seguire, espressione geografica anche l’Europa. Inutile far notare, infatti, che se si sfasciasse l’Italia, la cui sopravvivenza, tra debito pubblico alle stelle e regioni ricche in fuga, non sarebbe facile, si sfascerebbe, subito dopo, la stessa Unione Europea, di cui lo Stivale è socio fondatore. 

Ha dell’incredibile la pervicacia con la quale si intende favorire l’arrivo di una tempesta perfetta sul territorio italiano. I tre peccati mortali sopra elencati vengono praticati con allarmante disinvoltura, quasi che si voglia ardentemente soffiare sull’autocombustione dell’ex Belpaese. 
Dunque. C’è chi le crisi economiche le subisce e c’è chi le desidera. L’Italia odierna dà l’impressione di aver scelto la seconda strada. Con il rischio di precipitare tragicamente nel burrone, come accade ne Il sorpasso (1962) cinematografico di Vittorio Gassman (1922-2000). Ma quella era l’Italia del miracolo economico. Questa…

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