Oltre la Finanziaria per il governo ci sono solo le colonne d’Ercole: temendo l’ignoto Conte non vorrebbe attraversarle. Ma se il premier tentasse di resistere alle richieste della sua maggioranza, il «cambio di rotta» sarebbe formalizzato allora in Parlamento.
Al Senato, al momento delle dichiarazioni di voto sulla legge di Stabilità, Renzi prenderebbe la parola per dire a Conte che si impone un «atto di discontinuità», che «è arrivato il momento di scrivere una pagina nuova». Se così fosse, è certo che nessuno nella maggioranza lo additerebbe come «irresponsabile», vista la sequenza di incoraggiamenti che il leader di Iv sta ricevendo da esponenti di spicco del Pd e dei Cinquestelle, che in previsione di quel momento gli sussurrano «bravo, se non lo fai tu non lo fa nessuno». «Se è il coraggio che serve — risponde sempre Renzi — posso regalarvene un po’». E comunque il «coraggio» verrebbe offerto solo previo accordo: «Non sono tipo da Papeete».
Com’è cambiato il mondo (politico) attorno all’ex premier: oggi Di Maio si perde a discutere con lui di scenari futuri, Zingaretti conclude spesso le sue conversazioni dicendo «informate Matteo», e persino D’Alema tramite Bettini lo invita alla Fondazione Italianieuropei per parlare con Amato del «cantiere della sinistra». C’è la corsa al Colle e bisogna prepararsi. Ma nel frattempo vanno superate le colonne d’Ercole del Conte 2, perché la rotta dell’esecutivo sta portando la maggioranza sulle secche. Così l’assunto in base al quale non si poteva pensare a una crisi di governo con il Paese in emergenza, è stato ribaltato: proprio perché il Paese è in emergenza, serve un governo capace di affrontare la crisi.
Ecco com’è iniziata la pressione su Palazzo Chigi. Non è solo un problema di assetti di potere, che pure è un aspetto della vicenda. E la minaccia di affrontare in Parlamento la questione, è uno strumento di deterrenza per far capire a Conte che è in tempo, se vuole continuare a reggere il timone. «Se vuole — spiega un autorevole ministro — ha ancora la forza per guidare il processo» e approdare al Conte 3. Ché poi è quanto gli ha spiegato anche Renzi in un recente colloquio riservato: «Dammi retta, ti conviene». E il premier di rimando: «Io difendo la mia squadra, poi…».
Quel «poi» svela le ambizioni di un premier che deve avere un tutor dal quale ha appreso le regole della politica, è lo sguardo preoccupato di chi sa di trovarsi tra Scilla e Cariddi e vorrebbe superare indenne le sirene e gli scogli. Ed è un modo per prendere tempo, sebbene i partiti siano già ai «preliminari» — per usare l’espressione di un esponente di governo — e discutono sulle opzioni: da quella minimale, che prevede la sostituzione di alcuni ministri, a quella che cambierebbe lo schema introducendo le figure di due vicepremier. In un caso come nell’altro — secondo più fonti — le forze di maggioranza immaginano di procedere tra Natale e capodanno o tra capodanno e l’Epifania, in base alla data in cui la Finanziaria verrà approvata in Parlamento.
È il segno che i «preliminari» sono in fase avanzata. E di questo c’è traccia anche nelle informazioni trasmesse ai vertici istituzionali. Conte al momento derubrica il problema a puro fattore numerico: «Con tutte le richieste — obietta — dovremmo fare cento ministri». In realtà quello che passa come un rimpasto e che invece è un nuovo governo, muterebbe radicalmente lo scenario. C’è il Pd che deve riequilibrare la propria rappresentanza per dar spazio «all’area comunista», come la definiscono scherzando alcuni rappresentanti dem. C’è Iv che si attende un altro ministero. Ma soprattutto ci sono i grillini: la nuova geografia all’interno dei Cinquestelle potrebbe ridurre la presenza dei contiani a Palazzo Chigi a vantaggio di esponenti vicini a Di Maio.
Conte teme insomma di finire accerchiato e di veder smontato l’assetto di potere che si è costruito in questi mesi, mentre firmava le disposizioni dei Dpcm e rivolgeva «forti raccomandazioni» agli italiani per frenare la pandemia. D’altronde doveva immaginarsi una reazione, visto l’atteggiamento da «asso pigliatutto» che il Pd gli contesta sulle nomine ai servizi, sull’accentramento della gestione per il Recovery fund, sulla tutela che ha steso a suo vantaggio per i vertici Rai. E se Di Maio fa finta di non curarsene è perché i dem stanno facendo anche il suo gioco.
Per resistere, al premier non resta che una carta: terrorizzare i suoi alleati, avvertendoli che il puzzle al quale si stanno applicando potrebbe saltare, e a quel punto dovrebbero subire «un governo tecnico». Il punto è che l’idea di fare a meno della politica, surrogandola con la gestione dell’emergenza, è un’idea ormai logora. La politica sta riprendendosi il suo spazio. E siccome «il primo quadrimestre del prossimo anno sarà terribile per il Paese — ha spiegato Renzi — basterebbe un solo passo falso e ci ritroveremmo comunque con un governo tecnico».
Francesco Verderami
[ CORRIERE DELLA SERA ]