Non è una bella cosa apprendere dal Censis che metà (o quasi) degli italiani sogna l’uomo forte. Non è una bella notizia perché le democrazie non si fondano sull’uomo forte, semmai sulle leggi e sulle procedure. Che, si capisce, non devono gettare sabbia tra gli ingranaggi del sistema, cioè non devono paralizzare le decisioni, ma non devono neppure, in nome della fretta, sottostare ai voleri e ai capricci del principe di turno. Scriveva il filosofo e politico francese Nicolas de Condorcet (1743-1794): «Il dispotismo vive di ideologia dell’immediatezza. Il senso del Parlamento è proprio quello di moderare la velocità delle decisioni che l’esecutivo propone. Se la decisione deve essere immediata, come sul campo di battaglia, a decidere è il generale».
Gli italiani, politicamente parlando, sono tipi strani, casi interessanti per la psicanalisi. In alcuni momenti soffrono il «complesso del padre» (copyright di Francesco Cossiga, 1928-2010), che poi sarebbe il «complesso di Telemaco», la fiduciosa attesa del ritorno del padre padrone Ulisse in grado di risolvere tutti i problemi rimasti in sospeso e aggravatisi nel corso del tempo. In altri momenti scorgono l’ombra del Grande Dittatore, o meglio la controfigura del Mascellone mussoliniano, dietro ogni leader politico che comanda, o cerca di comandare, a casa sua, ossia nel suo partito.
Persino ad Alcide De Gasperi (1881-1954), che era l’immagine della mitezza e della moderazione, non venne risparmiata l’accusa di autoritarismo. Accadde (1953) quando lo statista trentino cercò di introdurre il premio di maggioranza per la coalizione elettorale che avesse oltrepassato il 50% (il 50%!) dei voti. Il tentativo degasperiano fallì per un soffio nell’urna, così la demonizzazione dell’autore svanì all’improvviso. Ma, dopo De Gasperi, spettò ad Amintore Fanfani (1908-1999) subire gli strali di quanti lo sospettavano di ambire a traguardi gollisti, se non fascistoidi. Dopo il dc aretino toccò ad altri, da Bettino Craxi (1934-2000) allo stesso Cossiga, da Matteo Renzi fino a Matteo Salvini, salire sul banco degli imputati per manifesta voglia di decisionismo. Insomma, la giostra non sta mai ferma: ora si rimpiange l’assenza di un padre autorevole, ora si esecra la presenza di personalità smaniose di guidare (governare) senza freno a mano.
Verrebbe da dire, parafrasando una riflessione del politologo Giuseppe Maranini (1902-1969), che il regime ideale, per molti italiani, è la tirannide moderata dal tirannicidio.
Purtroppo, latita il Fattore Equilibrio. Le democrazie, si sa, possono soccombere per eccesso di decisionismo, ma possono morire pure per un surplus di democraticismo, di assemblearismo inconcludente. Non a caso l’esigenza di «pesi e contrappesi», tradizionalmente avvertita nel mondo anglosassone, era ed è sostenuta proprio per scongiurare entrambi i pericoli: la dittatura del singolo e la dittatura del caos.
Anche, o soprattutto, per evitare la iatture succitate, l’Europa si è dotata di organismi sovranazionali e comunitari. Provate a immaginare quale sarebbe stata la fine della Grecia, se la nazione ellenica non avesse fatto parte dell’Unione Europea e se non fosse intervenuta la tanto vituperata commissione di Bruxelles nel pieno della tempesta economico-finanziaria ellenica di pochi anni addietro. Il replay della stagione dei colonnelli sarebbe stato più probabile di un pallone d’oro a Leo Messi. Idem per l’Italia. Proviamo a immaginare quale sarebbe stato l’epilogo (politico-sociale) della crisi del 2011 (con lo spread schizzato fino a quota 550) se il Belpaese non avesse fatto parte del club della moneta unica e se non avesse potuto fruire del paracadute europeo, a cominciare dal pompaggio monetario attivato dalla Bce di Mario Draghi. Allora sì che la democrazia italiana avrebbe potuto ricominciare a ballare. Altro che la «democrazia a venire» attesa dal filosofo francese Jacques Derrida (1930-2004). La prospettiva sarebbe stata un’altra, opposta: quella dell’autocrazia a tornare.
La verità è che la questione dell’uomo forte è legata al futuro dell’Europa come l’uva ai tralci della vite. Non a caso, chi vuole l’uomo forte vuole meno Europa. E viceversa. Chi non vuole l’uomo forte, vuole più Europa.
Più che come tutela dell’economia di mercato, la funzione principale dell’Europa si è via via caratterizzata come scudo effettivo della democrazia, contro ogni avventurismo monocratico.
Purtroppo i tg sono strapieni di immagini e servizi sugli attuali uomini soli al comando nel mondo. Il che solletica alquanto l’interesse e l’ammirazione da parte dei telespettatori. Ma poi, tra gli stessi italiani subentra il timore di sbagliare mossa e rispunta la voglia di parricidio, cioè di tirannicidio (preventivo). Salvo dimenticare, alla prima occasione che l’ideologia dell’immediatezza è nemica della libertà, oltre che della conoscenza (e della risoluzione) dei problemi sul tavolo, ogni giorno sempre più complessi.
GIUSEPPE DE TOMASO
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]