Più di due secoli fa, gli Stati Uniti hanno inserito la ricerca della felicità fra i diritti della loro Costituzione. E l’Unione europea pensa di inserire un generico diritto alla felicità nella Carta dei Diritti di Internet che dovrebbe varare l’anno prossimo.
Ma che cos’è la felicità? E perché nonostante il progresso scientifico e il benessere diffuso di cui godiamo rispetto a un secolo fa, si vedono in giro tante persone infelici? Me lo chiedo spesso, anche con riferimento a Internet: non siamo stati mai così connessi, non abbiamo mai avuto tante possibilità di informarci e di diventare artefici del nostro destino, eppure sembriamo infelici. E se fosse proprio la Rete il problema? Certo, quando eravamo in lockdown abbiamo capito quanto ci mancavano gli sguardi, gli abbracci, stare assieme agli altri, guardare un’alba o un tramonto. Cose semplici e per nulla digitali insomma. Ma il problema è un altro.
La Rete è uno strumento formidabile, ci aiuta a vivere meglio e ci rende più resilienti. E quindi viva il risorgimento digitale che stiamo vivendo in pandemia: senza, la vita sarebbe molto più difficile. E però la Rete va vissuta con moderazione. Stare sempre e solo connessi, diventare incapaci di spegnere il telefonino, vivere con il ritmo prepotente delle notifiche dei social network, contare il proprio valore con il numero dei follower o dei like, non ci porterà alla felicità.
Per essere felici dobbiamo recuperare la capacità di sognare. Senza curarci troppo del giudizio degli altri, di quelli che ci dicono che non ce la faremo mai. Nel film La ricerca della felicità, il protagonista dice al figlio: “Se hai un sogno lo devi proteggere. Se vuoi qualcosa vai e inseguila”. Con uno smartphone in tasca, certo, ma sapendo che ogni tanto lo spegneremo. Buon viaggio.
Riccardo Luna
[ la Repubblica ]