La burocrazia, il potere degli uffici come è stata definita dall’economista francese Vincent de Gournayche nel lontano 1759, costituisce oggi assieme alla pressione fiscale (anche essa un concentrato di burocrazia) uno dei problemi più assillanti del nostro paese. Tutti ne parlano,e per primi i politici, ma oltre le dichiarazioni d’intenti, si è fatto ancora poco ed è diventato da un lato un fenomeno quasi astratto e, dall’altro una fila interminabile di tanti fatti quotidiani di ordinaria follia.
Proviamo a capire che cosa è e come si potrebbe contrastare.
Intanto iniziamo con il dire che la burocrazia è come il colesterolo: c’è quello buono e c’è quello cattivo; entro certi limiti va bene, un minimo di regole servono per evitare il caos e l’anarchia amministrativa,ma oltre certi limiti diventa patologia e provoca l’ictus organizzativo ad una struttura di oltre tre milioni di lavoratori che offre servizi primari ed in monopolio a 50 milioni di cittadini e sei milioni di imprese. Una struttura complessa, quindi,che solo per il costo del personale dei ministeri assorbe circa 92 miliardi di euro l’anno e dalla quale dipende il funzionamento, lo sviluppo ed il rilancio del sistema paese.
In Italia abbiamo superato da tempo la fase dell’ictus, oggi siamo incoma profondo.
C’era più burocrazia un tempo o più oggi? E’ la domanda che molti si pongono, anche se ad un recente convegno di sindaci quelli del Friuli hanno dichiarato testualmente che con le norme di oggi loro non sarebbero riusciti a ricostruire i loro paesi dopo il terremoto, proprio come noi non riusciamo oggi a ricostruire quelli intorno ad Amatrice. La burocrazia uccide più dei terremoti quindi, e si potrebbe affermare che, nonostante tutti gli investimenti in tecnologia e il buon livello culturale dei nostri dipendenti pubblici (il 12% in più di laureati rispetto agli altri settori), oggi la situazione è peggiorata, se ci affidiamo ai soliti indicatori di risposta.
In realtà possiamo assumere come definizione di burocrazia l’asimmetria che si crea tra la domanda e l’offerta di qualità di un servizio:c’è burocrazia quando un cittadino giudica troppo lungo un processo amministrativo, ad esempio per ottenere un permesso, quando sono troppo numerosi gli adempimenti -il numero per prendere il numero per fare una fila per le rottamazioni-,quando è troppo alto il costo di un servizio rispetto alla qualità offerta etc.
La percezione della burocrazia quindi cambia nel tempo e si lega alla qualità dei servizi percepita ed emerge ogniqualvolta il cittadino, la cui domanda di qualità è cresciuta nel tempo,fa il raffronto con la capacità di risposta del settore privato e con l’utilizzo delle migliaia di APP che invece non trovano ancora applicazione nel settore pubblico. In un mondo che corre chi va piano è come se tornasse indietro, diceva un vecchio adagio, ela semplificazione, anche se ha registrato qualche miglioramento in qualche comparto,è ancora insufficiente e la burocrazia cresce.
Per contrastare la burocrazia che un patologia una malattia genetica della nostra pubblica amministrazione, è necessario prima capire di che cosa si alimenta. Ci sono degli elementi di contesto e, come nel genoma umano, ci sono fattori specifici di rischio che vanno affrontati uno per uno e in rapida successione cosa di cui sia la classe politica,chela tecnostruttura alla quale la prima si affida, sono capaci per mancanza di cultura organizzativa anestetizzata da un eccesso di cultura giuridica. L’eccessiva cultura giuridica e la carenza strutturale di cultura organizzativa è il primo elemento di contesto. La cultura giuridica, infatti,si misura costantemente sul numero di norme che sforna senza preoccuparsi delle pesanti ricadute organizzative che esse creano nel paese e nella stessa pubblica amministrazione e trascura l’implementazione delle norme che produce essa stessa con il risultato che l’innovazione normativa rimane sulla carta e non diventa mai innovazione organizzativa.
E’ come uno sparito che se è solo scritto da solo non produce musica, almeno fino a quando non ci sono strumenti, musicisti capaci, direzione di orchestra e pressione sui risultati da parte del pubblico. Questo è quello che sempre mancato alle nostre riforme. Riforme sulla carta senza accompagnamento ed implementazione: arrangiamenti di sparititi mai suonati e subito modificati dal ministro di turno che constatando il non funzionamento della riforma precedente ne promuoveva un’altra senza provare a realizzare quella pensata in precedenza.
In estrema sintesi si può affermare che il principale responsabile della nostra burocrazia è il legislatore, un signore senza faccia,ma molto prolifico che persiste da anni inalcuni errori di fondo.
Il secondo elemento di contesto è costituito dalla quantità e qualità delle nostre leggi: al febbraio del 2018 il censimento contava più di 200 mila leggi in vigore inclusi i regi decreti mai abrogati. Decisamente un po’ troppi,spesso in contradizzione tra loro, che generano contenzioso e che con tanti arbitri a bordo campo-le varie magistrature ciascuna con i propri loro livelli di giudizio-è inevitabile che si crei un contenzioso cronico che diventa burocrazia. Esiste poi anche un problema di qualità delle norme che è carente: troppo spesso sono fatte in fretta, approssimative, incomprensibili, scritte in un linguaggio ermetico che lascia spazio ad interpretazioni contrastanti e che creano contenzioso e che fa montare la burocrazia come può montare la schiuma di in una grande fontana alla quale è stato aggiunto detersivo per piatti e shampoo per capelli. L’unica differenza che quila schiuma non è una goliardata, come si è verificato qualche anno fa a Napoli, ma è una zavorra di piombo tossica che pesa sulla nostra amministrazionee sulla vita delle imprese e dei cittadini.
Il secondo problema del nostro legislatore è legato al concetto stesso di pubbliche amministrazioni: ritiene che siano tutte uguali quando uguali non sono e quando legifera fa vestiti o troppo larghi o troppo stretti e addirittura non indossabili per alcune PA. Se si fermasse ai principi generali ed alle cornici concettuali andrebbe benissimo, ma il guaio è che invece le leggi sono troppo spesso procedure di dettaglio che vengono immediatamente spiazzate dal confronto con le tante realtà diverse. È come voler applicare pedissequamente il codice della strada anche a Venezia senza tenere conto delle peculiarità: il principio è giusto ma le modalità sono ovviamente diverse.
A questo elemento si lega il concetto di perimetro della pubblica amministrazione:oramai il perimetro della pubblica amministrazione è ad assetto variabile e questo crea confusione, incertezza e naturalmente contenzioso e burocrazia. Il legislatore, nella sua visione centralista e statalista che lo fa sempre più somigliare ad un sovrano di fine ottocento, nel tempo ha attirato nel perimetro pubblico non solo quello che è effettivamente pubblico, ma anche tutto ciò che “odora”anche alla lontana di pubblico come le strutture private vigilate da ministeri,gli enti non profit che ricevono finanziamenti pubblici come quelli dello spettacolo dal vivo e così si è finito per esportare la burocrazia anche in comparti che di pubblico hanno nulla o poco. La burocrazia diventa così virale. Un esempio di tale situazione è costituito dagli obblighi di trasparenza per le fondazioni bancarie, gli enti previdenziali degli ordini professionali,a tutti gli effetti associazioni tra privati, le partecipazioni azionarie dei comuni etc. Non che questi enti debbano essere esonerati da essere trasparenti, ma debbono seguire le esigenze di trasparenza che i loro stakeholder richiedono e non quelle che il legislatore ha pensato,e per giunta male visto la numerosità degli adempimenti, per le amministrazioni pubbliche. Non è un caso che si parla sempre più spesso di burocrazia della trasparenza o, come afferma il garante della Privacy, di“opacità per confusione” che è esattamente il contrario della trasparenza. La curiosità del legislatore, ad esempio su stipendi e patrimoni dei dipendenti pubblici ed amministratori, è una cosa diversa dalla trasparenza come mark di democrazia.
Il terzo atteggiamento negativo del nostro legislatore è quello di lavorare per approssimazioni successive: fa una norma poi affida ai decreti attuativi che non arrivano mai,poi ci ripensa, ri-modifica la norma, prevede delle deroghe e fa quindi sperimentazione sulla pelle dei dipendenti pubblici e degli italiani, imprese e cittadini. Il legislatore non si rende conto di quanto costi, anche alle stesse amministrazioni pubbliche, in termini di tempo, di organizzazione, di ore uomo, di euro allinearsi ad un normae se questa cambia in continuazione perché ci si è sbagliati a progettarla chi paga? Si paga con la cattiva moneta della burocrazia e della delusione che alimenta la sfiducia nel sistema e questo spiega perché il non rispetto delle leggi, e peggio ancora l’illegalità e la corruzione, sono fenomeni che vengono letti come una legittima difesa contro la burocrazia opprimente che finisce par consumare come un cancro la democrazia.Anche questi sono danni: non c’è solo il danno erariale per lo Stato, ma c’è anche un danno sociale per la comunità, ma non se ne parla mai e come reato non esiste ancora nell’arsenale giuridico-penale del nostro paese.
La burocrazia ha una valenza politica e compito della politica è cogliere le esigenze, individuare i fattori che su essa incidono e intervenire a fatti e non solo a parole e slogan. Se è una malattia contagiosa e virale della pubblica amministrazione,è necessario intervenire come si fa con le malattie genetiche: isolare gli elementi del genoma ed intervenire in maniera mirata dove è necessario. In estrema sintesi il genoma della burocrazia è composto dai seguenti elementi:
B= MO, F, ME, DR, C, LN, A, E, Q, IC, I
B: la burocrazia,al pari di qualsiasi malattia, aumenta o diminuisce in funzione del variare di alcuni elementi.
MO:dal momento che la PA è in monopolioper definizione è ovvio che si deve giocarenecessariamente sul confronto delle performance tra amministrazioni, elemento oggetto di tante riforme negli ultimi 25 anni,ma di fatto poco realizzato nei fatti. La pubblica amministrazione è abituata a confrontare le performance degli altri soggetti, ma non se stessa: ha cerato i redditometri, gli studi di settore,gli spesometri, ma non ha ancora creato gli efficientometri dellaPA.
F:la fiducia, o meglio il livello di non fiducia. Il legislatore per principio non si fida delle sue stesse istituzioni, dei suoi dirigenti, dei suoi dipendenti, dei suoi cittadini e delle imprese e questo fa capire perché il sistema normativo è disegnato quasi sempre sulla patologia e costruisce muri e fissa divieti per tenere lontani “i cattivi”, ma in realtà questi diventano gabbie e labirinti che ingessano “i buoni” e dove i cattivi invece si muovono benissimo.
ME: se non esiste la meritocrazia, ma esiste invece la meritofobia, è normale che la burocrazia difenda se stessa e lieviti; se nessuno è responsabilizzato, se si premia tutti in maniera uguale si finisce per premiare chi non fa e mortificare chi fa con il risultato che al secondo giro nessuno fa più nulla.La qualità della risposta scende e la burocrazia sale.
DR: Discrezionalità e responsabilità; il dirigente pubblico che dovrebbe esercitare la discrezionalità non lo fa per paura dell’abuso di ufficio, del danno erariale, della procura della corte di conti e così tutti sfuggono dalla responsabilità. Non è un caso che le norme vengono spinte dal basso proprio per coprire i dirigenti e sfuggire alla responsabilità; così tutti si appiattiscono sugli adempimenti che costano e non danno valore aggiunto e chi invece la discrezionalità cerca di esercitarla, lo fa a proprio rischio e pericolo.
C:cultura giuridica o cultura aziendalistica,ovvero orientamento alla responsabilità del processo o orientamento alla responsabilità del risultato? Il 75 % dei I dirigenti e di funzionari pubblici sono laureati per il 75% in giurisprudenza e non hanno le minime nozioni di organizzazione aziendale, reingegnerizzazione di processi, poca dimestichezza con l’information technology ed ovvio che abbiano nel loro DNA culturale l’adempimento invece che il risultato e così quello che potenzialmente poteva essere un grande laboratorio di intelligenza collettiva -dove il valore della capacità del gruppo è superiore al più alto livello raggiunto dai singoli individui che lo compongono-, si trasforma in un serbatoio di stupidità collettiva, appunto la burocrazia, dove il livello di capacità dei singoli e di gran lunga superiore a quello che si produce come sommatoria del gruppo. Senza intelligenza collettiva Taylor non avrebbe mai inventato l’organizzazione scientifica del lavoro e si comprende come il problema sia non tanto del personale quanto del modello organizzativo che va completamente ripensato.
LN: del livello qualitativo e quantitativo delle norme si è già detto; esiste l’obbligo di verificare per ogni norma l’impatto della regolamentazione,ma questa ormai è divenuta una opzione etica più che un obbligo di legge. Purtroppo l’Italia è un paese di civil law e non è un caso che i paesi di common law registrano tassi di burocrazia inferiore.Un esempio per tutti è offerto dalla modifica tanto attesa del codice degli appalti che ha certamente semplificato la giungla che prima esisteva, oltre 600 articoli emendati tante volte in pochi anni ridotti a oltre 200 articoli – non sono proprio un esercizio di sintesi-, ma il risultato è stato devastante: nonostante fossero disponibili i fondi per le opere pubbliche non siamo riusciti a spenderli e ci siamo giocati nel 2017 diversi punti di PIL in un periodo critico in cui Dio solo se ne avevamo bisogno. Colpa delle leggi troppo arzigogolate? Colpa della scarsa capacità di programmazione? Colpa delle scarse competenze del personale addetto? Del numero elevato delle stazioni appaltanti? Colpa della fretta con la quale si è adottato il nuovo codice senza un periodo di rodaggio? Probabilmente tutte queste cose insieme.
A:troppo alto il numero di arbitri in gioco; troppe magistrature o pseudo magistrature- autorità indipendenti incluse- e con troppi livelli di giudizio. Le giurisprudenze si accavallano, si intrecciano con le linee guida e le delibere e sono spesso schizofreniche e creano confusione e burocrazia.
E: etica della responsabilità; se l’etica è lo spazio del non esigibile per norma, l’etica è schiacciata dall’eccessivo livello normativo. Va recuperata l’etica pubblica anestetizzata per troppo tempo da un livello normativo troppo elevato di obblighi e divieti che mortifica qualsiasi slancio etico che potrebbe invece costituire la grande differenza.
Q: attenzione alla qualità dei servizi. Appena accennata nel 2009 con al legge 150 e poi caduta di fatto nel dimenticatoio. La critica alla qualità del servizio pubblico è ancora letta come una lesa maestà che però è attenta alla qualità della risposta degli altri. Un esempio per tutti sono i tempi che impiega la PA a rimborsare imprese e cittadini ed i tempi che invece pretende dagli stessi quando deve incassare. I tempi di pagamento costituiscono un indicatore di qualità.
IC: Investimento in competenze individuali. In un mondo in cambiamento veloce un riposizionamento è possibile solo investendo in competenze e se l’anzianità media del personale impiegato nella PA costituisce un limite -fra tre anni si prevede che un terzo dei dipendenti pubblici sarà over 60- la formazione e l’addestramento diventano enzimi potenti del cambiamento e dell’innovazione. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo risparmiato sempre sulla formazione,mentre le riforme erano per norma e comunque sempre a costo zero: una bugia alla quale tutti abbiamo fatto finta di credere te che si è scaricata sulla burocrazia.
I: Livello di informatizzazione e reingegnerizzazione di processi; si è fatta molta strada in questo senso negli ultimi anni, ma ancora tantissimo c’è da fare. L’innovazione nella PA è troppo lenta: è come un treno in perenne ritardoquando invece dovrebbe arrivare in anticipo e trainare il resto del paese.
In conclusione, gli elementi del genoma della burocrazia sono diversi, e quelli qui enunciati non sono neanche tutti, ma sono sufficienti a dimostrare come il processo di semplificazione al dila delle parole al vento spese negli ultimi anni dai politici di turno, necessita di un piano preciso da portare avanti su più fronti e con determinazione. Le malattie genetiche si combattono isolando ed intervenendo sui singoli elementi del genoma umano.Conoscere prima per intervenire dopo.
La burocrazia,quindi, è un cancro che corrode e consuma la democrazia provocando disabilità alle imprese, ai cittadini ed alle stesse pubbliche amministrazioni. La burocrazia è un sistema di elementi e si può combattere solo con un sistema.
Luciano Hinna, 68 anni, Presidente del CSS, il Consiglio Sociale per le Scienze Sociali, già Professore Ordinario in Economia Aziendale oggi a riposo, è attualmente professore di pianificazione e controllo all’Universitas Mercatorum (Università del sistema delle Camere di Commercio); è stato per oltre venti anni strutturato presso l’Università di Roma “Tor Vergata” dove collabora ancora per diversi master e corsi di specializzazione. In esperienze professionali precedenti è stato anche Partner di Deloitte & Touche per dieci anni e Presidente ed amministratore di Ernst &Young Amministrazioni e Pubbliche e strutture non profit per oltre sette anni; ha collaborato in qualità di consulente e consigliere con i ministri della funzione pubblica Cassese, Bassanini, Brunetta, ha collaborato con Andreatta, Urbani, De Castro ed il Presidente del consiglio Ciampi per il tavolo delle privatizzazione e con il Presidente Amato nel primo comitato tecnico scientifico per il controllo di gestione istituito con al Dlgs 286/99. Dal 2009 al 2012 è stato Commissario della CIVIT, l’Autorità indipendente trasformata poi in ANAC, autorità nazionale anticorruzione dalla quale si è dimesso nel giugno del 2012 due anni prima della scadenza del mandato. Da tale data svolge attività di consulenza con la società Publicmetrica Srl da lui fondata nel 1998 di cui è amministratore unico. Attualmente è componente dell’OIV del Consiglio Nazione delle Ricerche ed è autore di diversi volumi, saggi ed articoli.