Era il Natale 1927 quando Karl Barth, sulle colonne di un importante quotidiano tedesco, pubblicò una riflessione destinata a modificare profondamente la percezione del dogma cristiano. Con il coraggio tipico della sua scrittura, egli scelse di affrontare in modo diretto — e non dal pulpito — quelle frasi del Credo che «fanno parte, come tutti ammettono, dei principi più screditati del dogma della Chiesa, che suscita tanta difficoltà, se non proprio ripugnanza nell’”uomo moderno”».
Si trattava di un’azione teologica dalle ripercussioni civili dirompenti, seppure il carattere delle meditazioni rimanesse volutamente positivo, pacifico e lieto. «Tuttavia — scriverà nel 1957 — dalle posizioni qui accennate, o diciamo più semplicemente, proprio dal Natale in poi, alcuni di noi sono entrati con spirito critico nel “Reich millenario” e specialmente nella lotta ecclesiastica tedesca».
Ebbene, «il miracolo del Natale viene indicato nella professione di fede della Chiesa nell’articolo: Qui conceptus est de Spiritu sancto, natus ex Maria Virgine. Che cosa significa ciò?». Si osservi che il dato proposto da Barth è fondamentale, ma proprio così la sua interrogazione si fa seria: implica una determinazione a non ripeterlo senza coscienza, dunque invano.
Il lettore ha infatti tra le mani un giornale e per questa via la sua intelligenza è sfidata: «Rivelazione di Dio agli uomini, riconciliazione dell’uomo con Dio: il fatto che tali cose siano accadute e accadano è il contenuto dell’annunzio natalizio. Dio è proprio “Colui” di cui parla il Credo. Dunque: presenza non solo di una luce, ma della Luce eterna; non soltanto di un aiuto, ma del Salvatore stesso radicale, definitivo; non solo di una potenza, ma del Signore di tutte le potenze, non solo dell’amore, ma di Colui che ama, nel quale si fonda ogni amore, che ogni amore supera infinitamente, che proprio per questo è infinitamente degno di essere amato (…). Costui, Dio, è concepito qui, dove noi tutti siamo concepiti, è nato da Maria. Maria, che lo concepisce e lo dà alla luce, è la nostra partecipazione al miracolo del Natale. È presso di noi che è venuto Dio stesso».
Giocando sui corsivi, Barth evidenzia il contrasto tra due poli dell’affermazione: «Dio nel nostro mondo, Dio nel nostro mondo. I fatti gridano tuttavia il contrario, gridano la lontananza del mondo da Dio e di Dio dal mondo. Ci vuol già una professione di fede per riconoscere la riconciliazione come una verità, un’attestazione di fede che è forte, ovvero debole in questo, nel riferirsi solo alla Rivelazione, nel poter e voler essere fatta solo nella fede e accettata solo nella fede. La professione di fede della Chiesa cristiana è questa dottrina».
La questione parrebbe chiudersi per molti lettori, o restringersi entro i confini ecclesiastici con buona pace della realtà secolare. Eppure il teologo, conoscendo il carattere labile di certi confini, sfida essenzialmente il credente, restituendolo a una santa inquietudine: «la Chiesa dice più di questo, quando pronunzia la sua professione di fede nel Natale. Essa sottolinea e dichiara il carattere miracoloso di questo evento quando del redentore, dell’Emmanuele, dice: «concepito di Spirito Santo, nato da Maria Vergine». Dunque concepito e nato nel mondo in cui tutti siamo stati concepiti e siamo nati, ma concepito e nato in modo assolutamente diverso dal nostro.
Concepito non da uomo, dunque senza padre, senza procreazione: questo dice la professione di fede. Non intende neppure una procreazione miracolosa per opera di un Dio o di un semidio, come ci si dovrebbe aspettare attenendoci ai paralleli nella storia delle altre religioni. Se così s’intendesse, si dovrebbe trovare l’espressione: conceptus ex Spiritu Sancto. Con le parole de Spiritu Sancto la professione di fede esclude la parentela con i noti miti del mondo religioso non cristiano e dice: Dio stesso incomincia a essere «nella nostra povera carne e nel nostro sangue» senza creatura umana come causa della creatura umana e quindi proprio «nato da Maria Vergine».
Il chiaro e semplice senso di queste frasi è di garantire l’evento dell’amore, della carità che non avrà mai fine, come l’evento — semplicemente incommensurabile, non suscettibile di confronto con alcun altro avvenimento — dell’atto divino della rivelazione e della riconciliazione, paragonabile soltanto con l’altro atto divino: la creazione del mondo dal nulla. Se avviene dunque ciò che dice il nome Emmanuele, se accade che Dio viene a noi, allora non agisce nessuno, non opera nulla, non vi è alcun «perché?» e «da dove?» e «come?», allora, semplicemente, Dio stesso incomincia con se stesso. Perciò questo bambino non ha padre. L’uomo qui non può aver parte a nessun prezzo e in nessun modo, se non come udiamo da Maria stessa: «Ecco l’ancella del Signore, mi accada secondo la tua parola» (Luca 1, 38). Dio è e rimane soggetto in questo avvenimento”.
Risulta significativa la possibilità di accostare una successiva meditazione di Barth sul primo capitolo di Luca, operazione resa possibile venticinque anni fa da Morcelliana, con l’edizione degli articoli natalizi del periodo 1926-1933 insieme alla trascrizione delle “ore bibliche” tenute nell’avvento 1934 (Karla Barth, L’avvento. Il Natale, Morcelliana, 1992). Si rimarrà sorpresi almeno a due livelli: sul piano ecumenico, da un profilo di Maria che riconnette cattolicesimo e riforma, su quello politico da una visione dell’essere umano inconciliabile con i totalitarismi. «Più di Abramo, più di Mosè, più di Davide e più di Giovanni Battista, più di Paolo e più di tutta la Chiesa cristiana: questa è la storia della Madre del Signore, della Madre stessa di Dio.
È un avvenimento unico e irripetibile, un avvenimento che non ha alcuna analogia, che esula da tutti gli altri avvenimenti dell’Avvento, così come Maria è, fra tutte le altre figure dell’Avvento, assolutamente emergente: alla sommità suprema di coloro che hanno ricevuto la promessa e ora attendono il Signore. Non ci può stupire che nella Chiesa cattolica romana, con la figura di Maria, sia avvenuto quello che è avvenuto: che sia stata esaltata quasi come un secondo centro accanto a Cristo, che sulla Madre di Dio si sia formata una dottrina particolare, che nella devozione della Chiesa la figura di Maria abbia potuto oscurare la figura di Cristo. Non ce ne si può meravigliare, poiché la figura di Maria è indubbiamente una figura speciale anche nella Sacra Scrittura».
Il fraintendimento è superabile, secondo Barth, solo a condizione che si lasci dire al testo evangelico il profondo legame tra lei e noi: «Poiché proprio Maria, e proprio in quanto essa forma la vetta suprema della schiera di coloro che hanno ricevuto la promessa e aspettano il Signore, si dimostra in modo inconfondibile persona umana: una persona umana che sta di fronte a Dio, che ha bisogno della grazia e riceve la grazia. Proprio in questa persona umana diventa inequivocabilmente chiaro, anche se la sua promessa è di tipo unico, che accogliere la promessa significa: essere persona umana».
Al teologo non importa che noi «non siamo Zaccaria e men che meno Maria. A noi non viene incontro nessun angelo. Il fatto che appaiano angeli è una caratteristica delle storie bibliche», in quanto canone di ogni altra storia. «Dove v’è grazia, dove Dio si china verso un uomo, è buono con un uomo, in quest’uomo avviene qualcosa di nuovo». «Il Signore è con te»: con ciò si afferma che ora, fra Dio e te v’è un rapporto reale. Tu non sei più una piccola goccia nel mare, una delle creature perdute, come tu pensi volentieri, ma in grande povertà e in grande nascondimento e in grande assolutezza la realtà è questa: il Signore è con te! Con ciò a un uomo, sia come vuole, è attribuito e appropriato tutto il bene.
Ora tutto è divenuto nuovo non soltanto all’esterno, ma in lui, nella sua vita: c’è un uomo nuovo, con cui è il Signore. Non diventa Dio, ma non è più senza Dio. (…) Ecco una giovane che, fra i molti milioni di donne e di fanciulle, è prescelta e con cui Dio progetta un’opera speciale. È sempre così: quando un essere umano giunge a sentire quelle che Maria sente dire qui — «il Signore è con te!» — egli diviene un eletto, un separato, un individuo quale non fu mai e che non si ripeterà, poiché l’evento della grazia è sempre una cosa unica, che mai fu e che mai si ripeterà. Naturalmente avviene nella Chiesa, nel corpo di Cristo, ma questo è il mistero del corpo di Cristo: che sia formato da esseri singoli, che incontrano rispettivamente la grazia come singoli e come singoli sono eletti».
Siamo di fronte a una svolta nel modo protestante di intendere la giustificazione — «questo dono di Dio, questa luce che la investe, non è qualcosa che l’accosti dall’esterno senza realmente toccarla, il che non sarebbe un vero agire di Dio in lei» – ma anche, e forse soprattutto, a una stima della singolarità che invoca la ridefinizione dello statuto di ogni societas, sia ecclesiastica sia statale, affinché al centro stia quel bene insuperabile che è ciascuno per tutti.