Significativamente nel martirologio del 25 dicembre si legge: «Memoria della Natività del Signore nostro Gesù Cristo». Natale è una memoria, anzi la memoria per eccellenza, perché ricorda la nascita di Gesù da Maria a Betlemme, una nascita che significa molto più della nascita di un bambino che viene nel mondo. Perché in verità noi possiamo proclamare che con quel parto Dio si è fatto uomo come noi, che la Parola di Dio si è fatta carne (cf. Gv 1,14), che Dio è diventato l’Immanu-El, il Dio-con-noi (cf. Mt 1,23; Is 7,14), solidale in tutto con noi, assumendo la nostra precarietà dal concepimento fino alla morte. Questa è per noi la buona notizia, il Vangelo che l’angelo annuncia come «grande gioia davvero per tutti».
Questo è il cuore della fede cristiana, una fede che non può entrare in concorrenza con le religioni e i loro dèi, perché ciò che proclama è esattamente il contrario di ogni religione: un Dio-uomo, un Dio nella carne mortale, un Dio che non si è limitato ad avere cura di noi ma ci ha amato fino a voler essere uno di noi, nella condivisione radicale di ciò che noi siamo, poveri uomini e povere donne gettati su questa terra.
Ma sostando su questo evento siamo soprattutto meravigliati dalla forma di questa venuta, da quello che possiamo chiamare lo stile dell’incarnazione. Dio non è venuto tra di noi con la sua potenza, con il suo splendore, con la sua gloria, in un’epifania, in una dimostrazione che si sarebbe imposta al mondo; non è neppure venuto in quelle teofanie che nell’Antico Testamento destavano timore e tremore. Il Dio cristiano si è manifestato nell’umiltà, nella semplicità di una vicenda i cui soggetti sono uomini e donne poveri, che non emergono, che non hanno neanche grandi ruoli, uomini e donne che non hanno mai cercato il riconoscimento ma che hanno voluto solo obbedire al loro Signore. Così Dio è venuto tra di noi “svuotandosi”, dimenticando le sue prerogative divine, e possiamo dire che si è abbassato fino a prendere un posto tra di noi, un posto ultimo che nessuno di noi gli potrà mai rubare (cf. Fil 2,5-8).
La forma e lo stile di questa venuta di Dio tra di noi erano inattesi, e anche per questo molti credenti hanno finito per inciampare, perché hanno trovato occasione di scandalo nella nascita di Gesù, nella sua vita, nel suo stile. Non la logica mondana, ma neppure la logica dei profeti dell’Antico Testamento si intravedeva nella venuta messianica del Figlio di Dio. Potremmo dire che Natale manifesta un “Dio al contrario” – ho pensato bene a questa espressione! -, perché non si rivela né con potenza né con splendore ma in un “Messia al contrario”; il Messia è invocato come qualcuno che sarà vincitore sui nemici, qualcuno che instaurerà un potere, seppur di pace, mentre questo Messia nasce come un povero in una stalla, deposto in una mangiatoia, e quelle fasce che lo avvolgono come bambino preannunciano le fasce con cui sarà avvolto nel sepolcro la sera della sua morte in croce.
Il cristianesimo è tutto qui, in questa contemplazione di un Dio fatto povertà, di un Eterno fatto mortale, di un Onnipotente fatto infante, di un tre volte Santo diventato terra come noi, mortale.
Nel racconto che l’evangelista Luca fa della nascita di Gesù è significativa la menzione di chi regnava davvero, del dominatore, l’imperatore di Roma, Cesare Augusto: lui sì che comandava, lui sì che aveva potere su tutta la terra, e con quel potere ordinava un censimento nella lontana Palestina. Ed è proprio questo censimento che consente a Giuseppe e a Maria di spostarsi da Nazaret di Galilea a Betlemme, e dunque consente la nascita del Messia nella sua città, la città di David: in verità – ci dice il Vangelo – chi regge e disegna la storia non è Cesare Augusto, non sono i governanti di questo mondo, in realtà resta Dio, anche se tutto questo avviene in un Dio nascosto…
Da quella notte di Natale non si può più dire Dio senza mettergli accanto la parola uomo, perché Gesù è il Dio-uomo, perché la nostra mortalità, la nostra morte è entrata in Dio e la vita di Dio è entrata in noi. Natale è la nascita di Gesù ma è anche il “congiungimento”, le nozze tra Dio e l’umanità. Questo è il Vangelo, la buona notizia, e non affatica, assolutamente, dirla e proclamarla ogni anno a Natale. Per questo non dobbiamo aggiungere nulla al Vangelo, perché il Vangelo è buona notizia e basta.
Certo, questa buona notizia per molti umanamente può essere difficile da accogliere, perché per loro il Natale è faticoso, magari è un Natale di sofferenza, per molte ragioni: dalle guerra in Ucraina e Palestina, dalla situazione economica che per molti è povertà e per alcuni è miseria; a situazioni di malattia, di sofferenza e di separazione che affliggono nel loro cammino tante persone per le quali la vita diventa grama; e c’è chi soffre a causa della menzogna che incontra, a causa dell’omertà, a causa delle chiacchiere e della fuga dalla responsabilità. Ma in chi ha la fede, la buona notizia sconfigge queste contraddizioni e dà uno sguardo puro e saldo, che sa leggere in profondità e sa vedere in questa nascita una grande speranza e trovarvi una grande gioia.
Enzo Bianchi
Il Natale del Dio al contrario – La Stampa 23 dicembre 2023 – per gentile concessione dell’autore