Il risultato raggiunto in sede europea dal ministro Raffaele Fitto, che porta la commissaria Vestager a schierarsi a favore della doppia scelta di classificare l’intero Mezzogiorno d’Italia come zona economica speciale e favorire una decontribuzione strutturale di lungo periodo per le imprese, è di portata storica. È il segno più evidente di quello che andiamo dicendo da mesi in assoluta solitudine e, cioè, che proprio il bagaglio di esperienza, competenza e di relazioni di cui Fitto è detentore in Europa, permette oggi di recuperare quella coerenza meridionalista non più nazionale – manca da almeno trent’anni – ma addirittura europea.
Perché questa preziosa azione politica permette di prendere atto che oggi storia e geografia fanno del nostro Mezzogiorno non solo il naturale hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo, ma anche il luogo di maggiore attrattività di capitali internazionali in un quadro rivoluzionato di scambi globali dove tutte le catene della logistica e del valore sono accorciate. Questo giornale ha anticipato la strategicità di tali scelte organizzando il primo festival Euromediterraneo dell’economia e ha messo al servizio dei documenti di indirizzo economico del governo la Carta di Napoli che è frutto di un lavoro tecnico certosino sui temi strategici dell’energia, del capitale umano, della portualità e dell’industria partendo dalla constatazione che la realtà è cambiata e va dunque raccontata per quello che già è e che ancora di più può diventare.
Avendo la storia e la geografia deciso che in questo mondo capovolto il Sud italiano diventa il Nord europeo e il rapporto alla pari con l’Africa a vantaggio dell’intera Europa sostituisce quello storico russo-tedesco impersonificato da Putin e Merkel e sviluppato sull’asse Est-Ovest mandato in frantumi dai carri armati russi in Ucraina. Per tutte queste ragioni l’annuncio congiunto di Fitto e Vestager che la Commissione europea ha dato il via libera al governo italiano per fare di tutto il Mezzogiorno una zona economica speciale che consente di accedere a sconti fiscali e semplificazioni burocratiche è a oggi l’atto di politica economica meridionalista più rilevante compiuto dal governo Meloni.
Si rompe, comunicandolo al mondo intero, il circuito perverso di vincoli fiscali e burocratici attraverso uno sportello unico che pone fine a una sterile guerra di inefficienze tra singoli territori per mettere in moto un meccanismo di competizione dove tutti partono da una situazione di vantaggio. Questo fa la assoluta differenza tra il Mezzogiorno d’Italia e le altre aree di investimento europee sul modello della Polonia e dell’Irlanda. Questo significa conferire ai nostri territori una dimensione competitiva doppia di natura europea e mediterranea.
Che sono le due intuizioni di base del nostro festival dell’economia e che portano al centro degli investimenti internazionali non solo il Paese più bello del mondo ma anche un Paese dotato di una regolamentazione europea e di una qualità di servizi già competitiva con le aree più svantaggiate, dove prima si collocavano gli investimenti sfruttando il basso costo della mano d’opera, e che è destinata amigliorare ulteriormente in modo significativo. Adesso addirittura si sbaraglia in partenza ogni forma di competizione non italiana ma europea. Dimostrando una volta per tutte che cosa vuole davvero l’Europa e perché il Piano Mattei e la revisione del Repower Eu ostinatamente voluta da Fitto, coinvolgendo Eni, Enel, Snam Terna e mettendo il Mezzogiorno al centro del più grande investimento eolico off shore, esprime il valore di una scelta che appartiene a quelle della grande storia economica del Dopoguerra.
La stagione dei Campilli, dei Saraceno, dei Pescatore che operano all’interno della coerenza meridionalista degasperiana e di quella fanfaniana del primo centrosinistra. Quella stagione, per intenderci, che consentì di raddoppiare il prestito Marshall a vantaggio dell’intero Paese, portò l’Italia a vincere l’oscar mondiale delle monete e pose le basi di una riduzione importante dei divari strutturali. Oggi la sfida è ancora più ambiziosa, ma paradossalmente ancora di più a portata di mano perché obbligata.
La sfida è quella di guidare il nuovo unico processo di crescita europeo realmente possibile mettendo insieme energia e industria e partendo dalle nuove capitali che sono Gioia Tauro come Porto Empedocle, sfruttando il vento della costa occidentale della Sardegna, l’energia da marea dello Stretto di Messina, il contributo fortissimo di Campania, Basilicata e Puglia. Il Sud può diventare il nuovo Eldorado degli investimenti globali e si può tornare alla stagione in cui l’Economist dedicava la copertina alla Cassa delle opere di Pescatore che era la lepre nell’utilizzo dei fondi europei. Dipende tutto da noi e, per questo, non è proprio il caso che si ripetano stucchevoli polemiche tra maggioranza e opposizione su questo o quel dettaglio o strumentalizzazioni di bassa lega su terza e quarta rata del Pnrr.
Anche il governo Meloni e, soprattutto, il ministro Pichetto Fratin, che guida la partita della messa in sicurezza energetica del Paese, non presti il fianco a fuochi di polemiche dimenticandosi di riconoscere la strategicità di Gioia Tauro e di Porto Empedocle o di mettere in discussione l’investimento programmato nella dorsale adriatica. Per salvare la Baviera manifatturiera, che a noi serve molto, bisogna che prima tutti i soggetti economici primari italiani non si sottraggano all’obbligo di fare l’autostrada veloce del gas e di tutte le fonti di energia che collega le regioni del Sud alla dorsale produttiva nazionale. Sarebbe davvero singolare, oltre che inquietante, che l’Europa tutta, a partire da quella nordica tedesca-olandese, scommette su di noi e che a fare lo sgambetto siano in casa micro interessi di bottega nazionali legati alle regioni del Nord. Saremmo di fronte alla più grande miopia e alle più patologica espressione possibile di irresponsabilità. Non vogliamo nemmeno prendere in considerazione questa ipotesi.
ROBERTO NAPOLETANO
[ il Quotidiano del Sud ]