Misuriamo il tempo in unità ben note. Incastoniamo in esso memorie ed esperienze. Definiamo i tempi futuri dei nostri progetti. Consideriamo il tempo come la dimensione fisica della variabile t che appare nelle formule con cui descriviamo i modi in cui cambia la realtà.
Tutto ciò non avrebbe senso se il tempo non esistesse. Che non esista, lo sostiene – in una sua versione – la filosofia analitica del tempo secondo la quale ci sarebbero 3 serie temporali ordinate.
La serie A distingue gli eventi in base alle proprietà di essere passati, presenti o futuri. Ogni evento passato è stato presente per un istante e prima era futuro. Così il tempo è definito “tensionale” [tensed in inglese].
La serie B ordina gli eventi in base alla loro simultaneità o successione (l’evento X avviene prima o dopo l’evento Y). Queste relazioni sono permanenti e, quindi, il tempo è visto come “statico” [untensed in inglese]
La serie C sono serie di percezioni individuate dall’io che percepisce e dall’io che viene percepito. La realtà è interamente composta da una comunità di individui connessi da una relazione di amore. Niente esiste fuori da questa comunità. L’insieme delle percezioni di un evento da parte di un individuo costituisce una serie C. Fra i termini di una serie C sussiste una relazione di inclusione non temporale. [L’ultima frase in corsivo è priva di senso: in matematica e logica esistono relazioni di inclusione fra insiemi e non fra i membri di insiemi].
Il filosofo inglese John Ellis McTaggart [1866-1925] si basò sulle definizioni precedenti e sui suoi tre principi ontologici. Questi sono: non si possono distinguere l’uno dall’altro oggetti identici; le sostanze sono infinitamente divisibili; una sostanza è completamente determinata dalle sue proprietà. McTaggart ne concluse che queste serie sono tutte necessarie, ma contraddittorie e, quindi, che il tempo non esiste.
In effetti non c’è alcuna contraddizione. I concetti di passato, presente e futuro sono sperimentali ed è anche vero che alcuni eventi si verificano prima di altri – almeno in un certo luogo. Si possono definire eventi simultanei in un certo luogo, ma non in luoghi diversi come mostrò Einstein nel suo famoso lavoro, del quale sembra che McTaggart non fosse a conoscenza. Non si rendeva conto nemmeno dello scarso rigore con cui presentava i suoi argomenti, né della totale irrilevanza delle sue divagazioni sulle relazioni di amore che legano le persone di certe comunità.
Perché, allora, occuparsi di questo autore tanto sconclusionato? L’ho fatto perché taluno potrebbe essere indotto a prenderlo sul serio dai fatti seguenti. Era professore di filosofia al prestigioso Trinity College dell’Università di Cambridge. Fu considerato per qualche anno come un maestro da Bertrand Russell, che aveva seguito i suoi corsi. Un secolo dopo la sua morte viene ancora citato come un pensatore plausibile e i suoi libri vengono ancora ripubblicati in varie lingue.
Fra questi, vari tomi sulla logica, la dialettica e la cosmologia di Hegel. Non si accorse del fatto che queste opere sono insussistenti: contengono errori marchiani e numerose asserzioni prive di senso comune. Il filosofo fu un hegeliano – convinto che “la filosofia può dedurre a priori ciò che il metodo sperimentale cerca di scoprire da esperimenti con successi falsi e infruttuosi.”. Anche Bertrand Russell, che da giovane era stato kantiano, seguì il suo mentore e prese sul serio Hegel.
Russell, nel suo libro My Philosophical Development (1959) scrisse:
“McTaggart affermava di poter dimostrare mediante la logica che il mondo è buono e che l’anima è immortale. La dimostrazione, ammetteva, era lunga e difficile. Non si poteva sperare di comprenderla senza aver studiato filosofia per un lungo periodo di tempo. …. McTaggart mi influenzò in modo tale che mi abbandonai completamente a una metafisica per metà kantiana e per metà hegeliana.”
Questa frase dimostra una notevole confusione di idee. [Curiosa in un autore che scrisse pagine tanto belle e importanti da assicurargli il Premio Nobel per la letteratura]. Una metafisica a mezza strada fra Kant e Hegel non è concepibile. Nella Critica della Rgion Pura, Kant scrisse sequenze logiche costituite da sillogismi ineccepibili. Nel Capitolo III della V Parte, in cui dimostra l’impossibilità di una dimostrazione cosmologica dell’ esistenza di Dio, dice:
“Ogni illusione si scopre infine facilmente se viene considerata al modo degli Scolastici. Qui segue una tale dimostrazione.” – e continua con alcune pagine di logica classica che avrebbero messo in seria difficoltà anche Tommaso d’Aquino.
La lettura di quel testo è illuminante e gradevole per chi ragiona bene. Deve averlo odiato Hegel che nella sua dissertazione accademica scrisse bestialmente:
“Il tempo quando riferisce la sua propria produzione allo spazio, genera una linea: è lo spirito che genera sè stesso – anche se in forma soggettiva – e si rivela in sé stesso, assumendo forma completa e naturale, transitando nel proprio opposto, lo spazio e generando il piano, privo di ogni altra differenza, dato che non ne abbiamo asserita alcuna, a parte l’estensione e la mente, ed è un quadrato”.
Confesso che da giovanissimo avevo apprezzato e citavo ogni tanto l’asserzione di Hegel:
“Tutto ciò che è reale è razionale. Tutto ciò che è razionale è reale.”
Invece è priva di senso, come le idee di McTaggart sull’inesistenza del tempo.
Roberto Vacca
accademico matematico [ L’Orologio ]