domenica, 24 Novembre 2024

INTELLIGENCE E GUERRA ECONOMICA. LE CONQUISTE NEL MONDO E L’ITALIA CHE STA A GUARDARE

Michela Mercuri (formiche.net)

Il concetto di guerra economica sembra essere diventato un tema alla moda “all’interno di un certo dibattito geopolitico che, orfano di una Guerra fredda, che per quattro decenni aveva polarizzato tutte le attenzioni e cancellato ogni speranza rispetto a una possibile ‘globalizzazione felice’, doveva presto trovare uno schema interpretativo dei rapporti nello scacchiere globale”. (#)

Così esordisce il professor Giuseppe Gagliano, presidente del Cestudec (Centro studi strategici Carlo De Cristoforis) nel suo saggio “Sfide geoeconomiche. La conquista dello spazio economico nel mondo contemporaneo” (Fuoco edizioni, 2018), parlando di guerra economica: un nuovo, e colpevolmente poco utilizzato, paradigma esegetico delle relazioni internazionali.

L’autore sfata definitivamente il mantra post-bipolare del multilateralismo, inteso come fase di distensione e accettazione di regole condivise, così come gli approcci “neomarxisti” che paventavano l’erosione della sovranità statale da parte della crescente autonomizzazione degli attori economici. Lo Stato, nella realistica riflessione di Gagliano, resta il protagonista dell’arena globale, anche in campo economico.

Nasce da qui la necessità di dotarsi degli strumenti necessari per affrontare la competizione internazionale per l’edificazione di un reale sistema-Paese. Gli Stati Uniti, in questo campo, sono stati “maestri”: consapevoli del fatto che gli avversari geoeconomici sono sovente alleati geopolitici hanno declinato la “tecnica di attacco” in termini di “forza di influenza”. Nulla di tutto questo sarebbe possibile senza il coinvolgimento dell’intelligence e senza l’utilizzo dell’informazione come strumento di dominio. Quest’ultima, seppure non esaurisca le opzioni della guerra economica, è uno strumento imprescindibile per la sua realizzazione.

Nel Vecchio continente pochi hanno avuto il merito di studiare il ruolo delle intelligence nella guerra per le risorse e le tecnologie e in quella dell’informazione. L’esempio analizzato nel testo, e che Gagliano ha il merito di farci conoscere, è quello dell’École de Guerre Économique (Ege), nata in Francia nel 1997, che vede in Christian Harbulot e Pichot-Duclos i suoi massimi esponenti.

Colpevolmente inascoltati in patria dalla classe politica, i teorici di questa corrente postulano un maggiore coinvolgimento delle intelligence nella pianificazione delle strategie-Paese, non solo nel campo della sicurezza nazionale ma anche in quello economico. Secondo questo approccio lo Stato dovrebbe saper mettere in atto un vero e proprio “patriottismo economico” per tutelare le proprie risorse e avere una posizione rilevante nella competizione tra player internazionali. Detta in altri termini, per assicurarsi la sicurezza interna, l’indipendenza in termini di risorse, la capacità di difendersi di fronte alla minaccia commerciale o finanziaria rappresentata dagli altri Stati, un’attitudine all’intelligence, rappresenta una risorsa imprescindibile nell’odierna società.

Nel libro non mancano riferimenti all’Italia e alle sue “debolezze”. Il ruolo attivo dello Stato nella negoziazione di grossi contratti di produzione – necessario per la promozione della competitività delle imprese fuori e dentro i confini nazionali – è praticamente assente. L’importanza dell’arma comunicativa a favore della competitività nazionale e la rilevanza di tracciare quelle che potrebbero essere logiche, strategie e tattiche della comunicazione istituzionale non viene spesso considerata rilevante. Questo è piuttosto grave in un Paese composto in prevalenza da Pmi che non sono in grado di sviluppare autonomamente efficaci sistemi d’intelligence e di comunicazione per la promozione dei loro prodotti.

Altro caso è quello della “formazione”. Gagliano ci ricorda, impietosamente, che in Italia il numero di ricercatori impiegati nelle aziende è cinque volte inferiore a quello di Stati Uniti e Giappone. In altre parole, il nostro Paese manca di intelligence economica, fiore all’occhiello delle politiche delle moderne economie. Anche gli anglosassoni hanno compreso la necessità dell’utilizzo delle intelligence in campo finanziario e nella guerra cognitiva. Sanno bene, ad esempio, che la posta in palio nelle operazioni di peacekeeping è alta perciò, quando intervengono in un’operazione di pace sotto l’egida Onu, “non improvvisano, ma si muovono in modo coordinato per essere informati su quanto accade nel Paese e sui progetti di ricostruzione alleati”.

È evidente che il successo di un’operazione d’influenza non dipende solo dal numero di contratti firmati dalle imprese, ma anche dalla creazione di legami duraturi con le future classi dirigenti degli Stati in crisi. Sono regole basilari per dare vita a un sistema-Paese che, però, secondo l’attenta analisi dell’autore, l’Italia sembra ancora non avere appreso e per questo deve limitarsi a compiere operazioni isolate, subendo, anche in queste, la concorrenza di altri attori.

In un momento così complicato per la nostra politica nazionale, il problema rischia di assumere connotati ancora più gravi. Per questo, mai come ora, il libro del professor Gagliano dovrebbe essere letto da chi avrà la responsabilità di guidare il nostro Paese.

 

(#)Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei, legge l’ultimo saggio di Giuseppe Gagliano, presidente del Cestudec, “Sfide geoeconomiche”, Fuoco edizioni, con la prefazione di Carlo Jean e l’introduzione di Arduino Paniccia

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