mercoledì, 27 Novembre 2024

Intervista. Il presidente della Cei Zuppi: senza pace c’è solo la fine

Riccardo Maccioni [ Avvenire ]

Fratelli tutti «non è un sogno lontano ma una costruzione già presente». L’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi richiama l’enciclica di papa Francesco per sottolineare il seme di futuro “buono” piantato dalla Gmg di Lisbona. E sulla guerra in Ucraina spiega che non esiste alternativa alla pace, perché senza «non c’è nient’altro che la fine e la morte».

Il presidente della Cei si ferma a parlare con i giornalisti appena uscito dalla chiesa di “Casa Italia” dove ha celebrato la Messa con tutti i vescovi della penisola. Sorride quando gli si chiede di commentare la Giornata portoghese in cui si riflette, osserva, «l’immagine di una Chiesa gioiosa, presente, che cammina insieme, in un mondo così pieno di divisioni, così virtuale, così ingannevole. Credo – aggiunge – che questa immagine sia già una grande risposta, anche a tante paure e tante incertezze». Limiti di visione che sono spesso figlie dell’autoreferenzialità.

«Qualche volta – prosegue il porporato – cediamo a credere più nelle nostre forze che nella forza dello Spirito Santo che qui ci ha largamente contraddetto riaccendendo tanta speranza e tanti legami. Questo non significa disconoscere i problemi ma avere la serena consapevolezza di tanta forza, di tanta speranza e tanta fiducia che i giovani vogliono e meritano».

Tra i messaggi emersi nelle giornate portoghesi uno gli sembra centrale. «Il Signore ti chiama come sei. Quindi chiama tutti, chiama personalmente e ci chiama con le nostre fragilità, con le nostre contraddizioni. Ed è questa la grande scoperta dei ragazzi».

Un dato di grande importanza nel cammino di conoscenza di sé che è tipico dell’età giovanile.

Spesso i giovani sentono tante parole su di sé e fanno fatica a distinguere, come peraltro tutti, i seduttori dagli educatori, il vero dal falso. Credo che questo grande incontro con il Signore che coinvolge i più giovani in quella straordinaria avventura che è la Chiesa, conduca a guardare il mondo con gli occhi di Gesù. Un mondo da curare, da salvare anche con la nostra attenzione a partire dai più poveri mettendoci in campo per come siamo: deboli e fragili.

Questa è una generazione di giovani che deve fare i conti con la precarietà. Incontri come questo di Lisbona possono rinforzarne la speranza.

Possono farlo non trovando tutte le risposte ma la Risposta. In uno dei passaggi della Via Crucis di venerdì sera un ragazzo diceva: «non pensavo di avere un problema ma di essere io il problema». Credo al contrario, che sia importante questa fiducia nel Signore, che ci coinvolge nel vivere un Vangelo capace di rendere piena la nostra vita. Un Vangelo che non toglie nulla ma riempie.

Tra i segni positivi di questa Gmg c’è la presenza degli italiani. Dal nostro Paese sono a Lisbona 65mila ragazze e ragazzi.

Sì, e molti sono arrivati al termine di un viaggio complicato che ha richiesto tanti sforzi. So di qualche ragazzo che si è molto impegnato per raccogliere i soldi necessari per poter venire. Quella italiana è una bella presenza, in una presenza larga. Anche questa dimensione apre il cuore e fa vedere che “fratelli tutti” non è un sogno lontano ma una costruzione che è già presente per cui dobbiamo affrettarci, come dice il tema della Gmg portoghese, per andare incontro agli altri e per continuare e a edificarla.

Inevitabile parlare di guerra con chi su mandato del Papa è andato a Kiev, a Mosca e negli Stati Uniti. Venerdì scorso in un’intervista pubblicata da “Vida Nueva” il Pontefice ha detto che prosegue l’offensiva di pace. Cosa significa?

Vuol dire non abituarsi alla guerra, stare male se si combatte. Perché, quando ascoltiamo notizie di morte, di violenza, di scontri, dobbiamo sempre pensare che ci sono persone che muoiono. Come ci mostra concretamente papa Francesco, con il suo non darsi pace, con il suo cercare continuamente la spinta e le vie sia per consolare nelle sofferenze ma anche sia per aprire spazi per mettere fine al conflitto. Comunque vedo che c’è tanta solidarietà. Qui a Lisbona sono presenti tre vescovi dell’Ucraina che hanno tanti legami con la Chiesa italiana e questo li conforta, dà loro speranza, e anche concretamente risposte, perché oltre alla sofferenza terribile della guerra, c’è anche il dramma dei profughi, di quelli che hanno perso tutto, che vivono in una situazione di totale incertezza.

Un segnale positivo.

C’è lo sforzo di non far mancare la vicinanza e la solidarietà concreta. E poi di continuare a pregare e trovare tutti i modi per porre fine al conflitto.

La guerra in Ucraina dura da un anno e mezzo. Ma c’è spazio per la pace?

Non può non esserci, perché senza la pace c’è soltanto la fine, c’è la morte. Non si può vivere con la guerra. Anche se gli uomini si abituano a tutto. La guerra spegne la vita e la vita non riprende automaticamente con la fine della guerra. Quindi, certo, che c’è spazio per la pace ma bisogna cercarla in tutti i modi e ognuno deve fare la sua parte perché venga presto.


Riccardo Maccioni

[ Avvenire ]