Altro che recessione tecnica. L’Italia rischia «una recessione prolungata», frutto di una vera e propria frenata che vedrà la ricchezza crescere di appena lo 0,2% quest’anno a causa delle tensioni internazionali, ma pure di scelte nazionali che non hanno aiutato in questi mesi e che non sembrano in grado di dare la spinta che servirà per invertire la rotta e ripartire. Le previsioni economiche d’inverno della Commissione europea contengono una bocciatura economica e politica per Paese e governo.
Quanto alla prima di queste due note negative, «l’attività economica rimarrà probabilmente anemica nella prima metà del 2019». Ma più in generale «le prospettive di crescita sono soggette a un’elevata incertezza», e anche la seconda metà dell’anno potrebbe non essere troppo diversa dalla prima. Rischia di pesare soprattutto «l’incertezza delle politiche sulle condizioni di finanziamento del settore privato», che a loro volta potrebbero portare a quella «recessione prolungata» che l’esecutivo comunitario mette in risalto.
Il risultato è quindi un aumento del prodotto interno lordo (Pil) di appena lo 0,2% nel 2019, un punto percentuale in meno rispetto alle attese di tre mesi. Le previsioni economiche Ue di novembre davano il Pil tricolore all’1,2% quest’anno.
Nessuno peggio di così nell’eurozona, dove pure la Commissione taglia le stime dello 0,6%, fissando all’1,3% la crescita dei Paesi europei con la moneta unica e non più all’1,9%. Revisioni al ribasso dovute alle incertezze geopolitiche e alle tensioni commerciali, che «continuano a rappresentare un rischio elevato per l’economia globale». Ma per l’Italia c’è di più, e qui la Commissione opera la sua bocciatura delle scelte giallo-verdi.
E’ convinzione di Bruxelles che i fattori che «spiegano ampiamente» questa revisione al ribasso per la terzo economia dell’eurozona siano determinati anche «dall’incertezza della politica nazionale e interna». Vuol dire che il governo ha le sue responsabilità se l’Italia naviga a vista verso la recessione tutt’altro che tecnica. Lo dimostra il dato degli investimenti delle imprese. Si prevede che si ridurranno «bruscamente nel 2019» per «restare in sordina» nel 2020. Vuol dire che non c’è fiducia, e che chi doveva costruirla non v’è riuscito.
Ancora, le misure programmate o messe in atto a livello nazionale non sembrano essere la risposta giusta ai problemi. E’ vero che ci sarà una aumento dei consumi e questa contribuirà ad un ripresa del Pil, ma la Commissione precisa che tale dinamica dipenderà soprattutto dal calo dei prezzi del petrolio e solo «marginalmente dall’introduzione del sistema di reddito della cittadinanza». E’ la bocciatura di un misura politico-economica simbolo di questo governo, a cui si imputa «un peggioramento delle prospettive occupazionali».
Non c’è solo l’Italia a rallentare. Il Paese è quello che avrà la crescita minore di tutti, al di sotto della soglia dell’1%. La Commissione europea riduce le stime di tutti gli Stati membri. Il commissario europeo per gli Affari economici, Pierre Moscovici, aveva annunciato l’intenzione di riconsiderare le previsioni per tutti alla luce delle tensioni internazionali.
Nell’area euro solo due Paesi (Malta e Grecia) hanno indici di crescita migliori di quelli pubblicati a novembre, e uno solo (Slovacchia) tiene, vale a dire che le previsioni restano invariate. Per gli altri sono tutte revisioni al ribasso. Frena la Germania (-0,7%, crescita attesa all’1,1% nel 2019, incide la crisi del settore auto), così come i Paesi Bassi (crescita attesa scesa dal 2,4% all’1,7%), Francia ( Pil +1,3%, in riduzione dello 0,3%).