Quando diciamo carte geografiche, mappe e atlanti, noi usiamo termini antichi e spesso non abbiamo idea di cosa siano diventate davvero, cosa c’è dietro, cosa potranno diventare, di come sapranno comandarci. Il mio nuovo libro (“Le linee rosse”, Mondadori) racconta il mondo attraverso le carte geografiche. Un capitolo lo dedico al business delle carte digitali, al modo in cui questa tecnologia stravolge la nostra percezione del mondo.
Lo diamo per scontato mentre dovrebbe farci sobbalzare: nell’era che combina l’uso dei satelliti con lo smartphone, il potere di disegnare e diffondere la conoscenza geografica è un business privato, in mano a un quasi-monopolista come Google-Alphabet (almeno in Occidente). Non era ovvio, anzi. Certo, in un passato remoto le grandi carte erano proprietà dei sovrani, o dei condottieri militari, o delle compagnie di navigazione. Ma l’Ottocento e il Novecento, tra Illuminismo e liberaldemocrazie, ci avevano abituati al concetto di un sapere pubblico, di una conoscenza non sequestrabile dietro il recinto di una proprietà privata.
Ebbene, il mondo come lo «navighiamo» oggi – in senso letterale e in senso figurato – è una rappresentazione gestita da un’azienda capitalistica, che della mappatura del pianeta, o delle vie del mio quartiere, ha fatto un business a scopo di profitto.
Poi c’è la questione delle potenzialità future, con GoogleEarth e GoogleMap si è fatto realtà il sogno dello scrittore argentino Jorge Luis Borges: una carta geografica su scala 1:1. Uno a uno vuol dire una carta geografica delle stesse dimensioni del mondo che rappresenta. Cosa potremmo farcene di una rilevazione dell’Italia grande esattamente quanto l’Italia, una della Terra grande quanto il pianeta stesso? Nei tempi «antichi», cioè fino a pochi decenni fa, era assurdo, oltre che inutile, comico e irrealizzabile al tempo stesso. Se non per immaginare, alla Borges, che una simile carta sostituisca l’originale?
Ma GoogleEarth è esattamente questo: dall’alto delle sue rilevazioni satellitari fotografa e immagazzina le immagini del mondo su scala integrale, con dettagli che possono includere ogni angolo della nostra privacy. Dentro GoogleEarth c’è molto più di quanto ci serve sapere, quindi in un certo senso è quella la realtà ultima. GoogleEarth deve pur agire (per ora) entro i limiti che le leggi nazionali, o le autorità militari, decidono di fissare.
Ma sono dei limiti artificiali: Google è già in grado di oltrepassarli. Intanto quelle informazioni, quelle immagini, quelle mappature del nostro mondo e di noi stessi continuano ad accumularsi: diventano Big Data, una mole sterminata di dati in crescita esponenziale nei quali è stato risucchiato anche lo scibile umano della geografia. Atlante era nella mitologia greca il Titano che reggeva il mondo sulle sue spalle.
Oggi quel Titano è il chief executive di Google-Alphabet; ne sta riproducendo all’infinito ogni minimo dettaglio, per scopi commerciali che lui stesso ha appena cominciato a sfruttare.
Viaggiamo di più. Capiamo di meno. Mentre lo attraversiamo in velocità, il mondo ci disorienta. I leader brancolano nel buio. Fissano delle “linee rosse” che non capiscono. Forse perché non leggono. Quel che il mondo vuole dirci è spiegato nelle carte geografiche, e nella loro storia. Ma quelle studiate a scuola non bastano. Bisogna penetrare il loro significato nascosto, incrociare il paesaggio terrestre con le storie delle civiltà, dei popoli e degli imperi
Ogni crisi – dai profughi alla Corea del Nord, dal terrorismo al cambiamento climatico, dagli autoritarismi ai nuovi protezionismi, dalle “missioni impossibili” di papa Francesco all’inquietante utopia dei social media – ci sfida a capire.
Una traversata coast-to-coast rivela che la supremazia degli Stati Uniti affonda le radici nella peculiarità del suo territorio. Le due Americhe sono separate da linee di frattura geografiche e razziali, religiose e sociali. Le stesse che spaccano l’Europa tra globalisti e sovranisti.
La geografia storica dei populismi riconduce all’Italia dei tempi di Mussolini. I confini dell’Europa unita hanno un’impronta germanica fin dal Sacro Romano Impero. La Cina costruisce una Nuova Via della Seta, sulla quale inseguo le tracce di un esploratore italiano nel deserto di Gobi. L’espansionismo giapponese aiuta a decifrare la trappola della Corea del Nord. In Russia esploro la continuità tra gli zar e Putin.
In India visito l’epicentro di uno scontro di civiltà. Un soggiorno nel Medioevo birmano, in Vietnam e in Laos dimostra che sta vincendo il “duro” benessere senza le libertà. «Un missionario tra i musulmani ripropone la domanda di Stalin su “quante divisioni ha il papa”. Il peso della Chiesa aiuta a capire il dibattito italiano sui profughi. I tracciati delle migrazioni/invasioni ci riportano alla caduta dell’Impero romano.
Il potere delle mappe decide la sorte degli imperi: da Cristoforo Colombo a GoogleMaps. Il cambiamento climatico ridisegna gli atlanti a una velocità angosciante, la geografia dell’Artico e delle rotte navali cambia sotto i nostri occhi.
E infine l’Italia vista da “tutti gli altri” aiuta a capire chi siamo davvero.
FEDERICO RAMPINI
Scrittore e giornalista italiano, ha iniziato la sua attività giornalistica nel 1977 a «Città futura»; dal 1979 scrive per «Rinascita», giornale che deve abbandonare nel 1982 dopo aver pubblicato un’inchiesta sulla corruzione in seno al PCI.
In seguito è stato prima vicedirettore de «Il Sole 24 Ore» poi capo della redazione milanese ed in seguito inviato del quotidiano «La Repubblica» a Parigi, Bruxelles e San Francisco. Come corrispondente ha raccontato dapprima le vicende della Silicon Valley; ha lasciato poi gli Stati Uniti per aprire l’ufficio di corrispondenza di Pechino. Ha insegnato alle Università di Berkeley, Shanghai e al Master della Bocconi.
Nel 2005 ha vinto il Premio Luigi Barzini per il giornalismo, nel 2006 il Premio Saint Vincent.
È autore di numerosi saggi, tra cui: Le paure dell’America (Laterza 2003), Tutti gli uomini del presidente. George W. Bush e la nuova destra americana (Carocci 2004), San Francisco – Milano (Laterza 2004).
Per Mondadori ha pubblicato Kosovo (1999, insieme a Massimo D’Alema), Il secolo cinese (2005), L’impero di Cindia (2006) e L’ombra di Mao (2006).
Nel 2012 inaugura una nuova collana per Laterza (“Idòla”) con un pamphlet intitolato “Non possiamo più permetterci uno Stato sociale” Falso!
Tra gli altri saggi pubblicati: Alla mia sinistra. Lettera aperta a tutti quelli che vogliono sognare insieme a me (Mondadori 2012), Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro (Mondadori 2012), La via maestra. L’Europa e il ruolo dell’Italia nel mondo dialogo con il Presidente Giorgio Napolitano (2013 Mondadori), Banchieri. Storie dal nuovo banditismo globale (Mondadori 2013), La trappola dell’austerity. Perché l’ideologia del rigore blocca la ripresa (Laterza 2014), Rete padrona Amazon, Apple, Google & co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale(Feltrinelli 2014), All You Need Is Love. L’economia spiegata con le canzoni dei Beatles (Mondadori 2014, da cui ha tratto uno spettacolo teatrale), L’età del caos (Mondadori 2015), Il tradimento. Globalizzazione e immigrazione, le menzogne delle élite (Mondadori 2016) e Le linee rosse (2017).