
Erano decenni che due paesi europei non schieravano navi militari l’uno contro l’altro. È successo nel Canale della Manica, quando motovedette francesi e unità della Royal Navy britannica si sono trovate schierate l’una di fronte all’altra. L’escalation è avvenuta al largo dell’isola di Jersey, dove pescherecci francesi avevano bloccato per diverse ore il porto di St Heller, capitale dell’isola, per ripicca contro il divieto britannico di pescare nelle acque circostanti.
La controversia, che seppur di breve durata ha suscitato clamore e qualche ora di fibrillazione nelle cancellerie, dimostra però che i timori degli ultimi mesi erano fondati: l’accordo di Brexit, raggiunto in fretta e furia prima dello scadere dell’ultimissimo minuto utile, lascia in sospeso molte questioni, grandi e piccole: gli accordi di pesca, un giro d’affari di 650 milioni di euro l’anno, le tensioni doganali nell’isola d’Irlanda e le spinte indipendentiste della Scozia continueranno a riemergere finché Bruxelles e Londra non troveranno soluzioni chiare e meccanismi di gestione condivisi. Se non affrontata, quella di Brexit, rischia di diventare un’eredità pesante.

Tra le maglie del diritto?
L’intesa sulle regole post-Brexit prevede che i pescatori europei che vogliono avere accesso alle acque britanniche debbano ottenere una licenza di pesca inglese. Da tempo, però, i pescatori francesi lamentano le lentezze burocratiche di Londra nel concedere le autorizzazioni. Ieri, inoltre, le autorità inglesi hanno inviato alla Commissione europea nuovi e più stringenti criteri per la pesca nelle acque intorno a Jersey, territorio della Corona di circa 107mila abitanti, che si trova a 14 miglia dalle coste della Normandia. Secondo il governo francese, sostenuto dalle istituzioni europee, Londra ha adottato tali condizioni unilateralmente e le ha comunicate con pochissimo preavviso: in tal modo decine di pescatori francesi che avevano fatto richiesta non hanno avuto il via libera. Gli animi si sono surriscaldati quando, per ripicca, una sessantina di pescherecci francesi si sono riuniti davanti al porto di St Helier e la ministra francese per gli affari marittimi, Annick Girardin, ha minacciato di tagliare la luce all’isola, illuminata grazie ai cavi sottomarini francesi. La Commissione europea si è schierata al fianco di Parigi, sottolineando che i britannici avrebbero infranto i termini dell’accordo commerciale tra UE e Regno Unito.
Battaglia delle capesante?
La disputa si è risolta nell’arco di sei ore, quando i pescatori francesi hanno accettato di ritirarsi dopo aver incontrato una delegazione del governo di Jersey. Ma se al momento le tensioni sembrano rientrate, la questione di fondo è tutt’altro che risolta: “Stanno dando tutta la colpa al governo francese che, dicono, non avrebbe fornito loro le giuste informazioni. Ma la verità è che, se non facciamo nulla, finiremo per essere allontanati poco a poco. Questo problema ora può essere risolto solo sulla terraferma”, ha spiegato al Guardian uno dei comandanti dei pescherecci francesi. Anche i pescatori di Jersey sostengono di aver subito delle perdite con Brexit e lamentano che molti hanno dovuto abbandonare l’industria della pesca di capesante, a causa del divieto sui molluschi vivi imposto dall’UE. A complicare le cose, il fatto che l’isola di Jersey non fa propriamente parte del Regno Unito e non ha mai fatto parte dell’Unione Europea. È un territorio della Corona, il che significa che gode di notevole libertà da Westminster ed esercita il controllo quotidiano sulle sue acque di pesca. Tuttavia, il governo del Regno Unito è responsabile delle sue relazioni internazionali. Ecco perché l’accesso alle sue acque di pesca, e in generale a quello delle isole del Canale, è trattato specificamente nel nuovo accordo commerciale Regno Unito-UE.
Le Falkland di Brexit?
Per alcuni commentatori inglesi, il premier britannico Boris Johnson ha voluto il suo ‘momento Falkland’ perché ieri era Election day nel Regno Unito e milioni di cittadini britannici si recavano ai seggi in una serie di elezioni amministrative e politiche cruciali per Downing Street. Eppure, per qualche ora – complice l’anniversario dei 200 anni dalla morte di Napoleone lo scorso 5 maggio – le notizie in arrivo dalla Manica hanno rievocato (non senza ironia) le grandi battaglie navali del tempo. Il paradosso della situazione sta nel fatto che quello sulla pesca è stato uno dei nodi cruciali nel complesso e infinito negoziato tra Bruxelles e Londra per il dopo Brexit. Nonostante rappresenti meno dell’1% dell’economia britannica, la pesca ha assunto una valenza simbolica, con forti risonanze in politica interna su entrambe le sponde della Manica.
Era dunque più che prevedibile che un compromesso imperfetto, come quello raggiunto, alla fine si scontrasse con una serie di complicazioni. Eppure nessuno sembra essersene curato più di tanto: non Boris Johnson, a caccia di consensi per evitare un disastroso referendum scozzese, e né il presidente francese Emmanuel Macron cosciente che per le comunità di pescatori della Bretagna e della Normandia quello specchio d’acqua rappresenta la sopravvivenza. Così due paesi europei, e due membri della Nato, sono arrivati a un pelo dall’incidente diplomatico e dall’escalation militare. È un campanello d’allarme, e non lascia presagire niente di buono.
Il commento
Di Marco Varvello – Corrispondente RAI per il Regno Unito
“Parola chiave: “Red tape”. Cioè eccesso di burocrazia, moltiplicazione di documenti e procedure. È la realtà del dopo Brexit, perché non bastano gli accordi, occorre vedere come sono applicati, tra ripicche e boicottaggi reciproci. Se ne lamentano gli autotrasportatori e le società di import-export. Ne sono vittima i pescatori francesi. Dal primo gennaio devono chiedere una licenza per pescare nelle acque inglesi della Manica. Ma su 344 domande presentate finora ne sono state accolte solo 41. Alla frustrazione si aggiunge il danno economico. Da qui la protesta della flottiglia di pescherecci che ha cercato di bloccare il porto di Jersey.
Il premier britannico Johnson ha mostrato subito i muscoli, anche in chiave di politica interna. Le due navi militari inviate proprio nel giorno in cui 48 milioni di britannici stavano votando nel più importante appuntamento elettorale amministrativo degli ultimi anni. I risultati sembrano dargli ragione. Sventolare la bandiera per difendere gli interessi nazionali contro lo straniero paga sempre. Ovviamente non ci sarà una nuova Trafalgar. Johnson e Macron si parleranno direttamente, l’Unione europea offre mediazione. Ma se i tabloid inglesi titolano “Boris manda le cannoniere” e l’ineffabile edizione online del Daily Mail scrive a caratteri cubitali “Pronti alla guerra” significa che il clima post Brexit è già avvelenato”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)