giovedì, 28 Novembre 2024

LA LUNGA MARCIA DEL PROCESSO TRIBUTARIO

PIERO SANDULLI [ avvocato, professore ]

Con il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 17 maggio 2022, nel quadro generale del PNRR, la giurisdizione tributaria ha compiuto un importante passo verso la pienezza della tutela nel campo dei tributi.

Come era già avvenuto per la giustizia amministrativa, nel secolo diciannovesimo, anche la giurisdizione tributaria, nel secolo successivo, è risorta dalle proprie ceneri[1].

Come è noto, dall’originario impianto della Costituzione era esclusa la giurisdizione tributaria che, in base alla sesta disposizione transitoria della Carta costituzionale, avrebbe dovuto essere totalmente abbandonata entro cinque anni dalla entrata in vigore della Costituzione, dunque entro la fine del 1952, poiché la Costituzione è entrata in vigore il primo gennaio 1948.

Le riforme successive del sistema di tutela tributaria hanno, di volta in volta, garantito la sopravvivenza di tale strumento processuale, sia pure con le incertezze del riparto nei confronti del giudice ordinario (art. 9 c.p.c.)[2].

E’ stato necessario attendere la riforma del 1992[3], intervenuta con il decreto legislativo n. 546, per vedere affermata la reviviscenza, nel nostro sistema di tutela, della giurisdizione tributaria, ribadita, poi, nel contesto normativo, dalla legge n. 69 del 2009 (art. 59).

2. Attuale sistema di tutela tributaria.

Il decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 546, sulla base della delega contenuta nelle legge del 30 dicembre 1991, n. 413 (art. 30) utilizzando il termine di giurisdizione tributaria individuava, con il suo primo articolo, gli organi di essa, vale a dire le Commissioni tributarie provinciali e regionali, in sintonia con il dettato del coevo decreto legislativo n. 545 del 1992 (art. 1).

Il secondo comma dell’articolo 1 del d. lgs. n. 546/92 specificava, inoltre, che “giudici tributari applicano le norme del presente decreto e per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

Inoltre, l’articolo 62 della stessa normativa, chiariva che avverso le decisioni del contenzioso tributario regionale può essere proposto ricorso per Cassazione “per i motivi di cui ai numeri di 1 a 5 dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile”.

Anche nel formulare il ricorso per Cassazione trovano applicazione le norme del codice di rito civile “in quanto compatibili” con quelle del decreto n. 546/1992.

Ne scaturiva, quindi, un sistema di tutela tributaria basato su un doppio grado di giudizio di merito in sede locale (commissione provinciale e commissione regionale) e la possibilità di un  ricorso innanzi alla Suprema Corte[4], giudice di legittimità, investita, anche in questa materia, di poteri nomofilattici[5].

Tale sistema di “gemmazione spontanea” della tutela tributaria ha determinato il sorgere di numerosi interrogativi circa la natura del processo ed in merito all’organico di cui si componeva ed ancora si compone, la magistratura tributaria.

3. Natura incerta del processo tributario.

Da tale travagliata strutturazione (o meglio ristrutturazione) del contenzioso tributario è derivata anche l’incertezza sulla natura di detto giudizio.

La dottrina[6] si è interrogata se ci si trovasse in presenza di un giudizio di accertamento della debenza del tributo (ipotesi suggerita dalla contiguità di quel rito con il processo civile) o se, invece, si versasse nella tipologia dell’annullamento di una cartella esattoriale (tesi legata all’analisi di alcune norme del d. lgs. n. 546/92) il tutto con evidenti e rilevanti ricadute ai fini della costruzione della tutela e dell’onere della prova[7].

Numerosi sono stati i tentativi, operati nel tempo (dal 1992 ad oggi), finalizzati a dare un migliore impianto di tutela in questo contenzioso, al fine di fargli compiere la strada che lo portava ad essere, finalmente, processo, cioè munito di tutte le garanzie costituzionali del “giusto processo”[8].

Tuttavia, al fine di completare  totalmente il percorso intrapreso dal legislatore a partire dal 1972, con il D.P.R. n. 636 del 26 ottobre[9], era ancora necessario operare sul procedimento di reclutamento dei giudici tributari, nonché su una migliore ipotesi di coordinamento con il giudizio di legittimità e con il principio  di diritto, in tema tributario, emanato dai giudici della Suprema Corte.

4. I giudici tributari.

L’articolo 25 della Costituzione afferma che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale, precostituito per legge”; detto concetto è integrato dal secondo comma dell’articolo 111 della Carta costituzionale che dispone come “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”. Infine, il primo comma dell’articolo 106 della Costituzione prevede che “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”.

Se questo è il quadro generale della amministrazione della giurisdizione, che emerge dalla lettura della Costituzione, certamente non può dirsi che il sistema  attuale di reclutamento dei giudici tributari sia in linea con detti principi.

Invero, in base all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992, i componenti delle Commissioni tributarie, sia provinciali, che regionali, sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, secondo l’ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2 dello stesso articolo 9 del d, lgs, n. 545/92.

Dall’attuale procedura di nomina emerge un evidente difetto di terzietà dei giudici tributari che vengono indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze, da cui dipende anche il principale protagonista delle liti tributarie: l’Agenzia delle entrate. In buona sostanza i giudici tributari sono nominati da una delle parti del contenzioso e non sono vincitori di un pubblico concorso, come la Costituzione (art. 106) vuole e come accade per tutte le altre magistrature.

5. Il disegno di legge approvato dal Governo il 17 maggio 2022.

a) Il reclutamento dei giudici.

Operando sul decreto n. 545 del 1992 il disegno di legge, varato dall’Esecutivo, nell’ambito delle finalità del PNRR, ha definito la giurisdizione tributaria individuando l’organico dei suoi giudici in 450 unità, presso le Commissioni tributarie provinciali ed in 126 unità per le Commissioni regionali.

Il reclutamento di detto organico dovrà essere affidato ad un concorso basato su due prove scritte di natura teorica, in diritto tributario (la prima) ed in diritto civile o commerciale (la seconda). Una terza prova scritta, di natura pratica, è costituita dalla stesura di una sentenza in materia tributaria.

I candidati che supereranno, con il punteggio di almeno dodici ventesimi, per ogni prova, le tre prove scritte saranno ammessi a sostenere l’esame orale basato su nove materie[10] ed un colloquio in una lingua straniera, a scelta del candidato, tra inglese, spagnolo, francese e tedesco.

La normativa in esame ha previsto anche il riassorbimento dei giudici attualmente in servizio presso le Commissioni tributarie, riservando a quelli che al primo gennaio 2022 erano presenti nel ruolo di cui alla legge del 12 novembre 2011, n. 183, una riserva del quindici per cento dei posti nei primi due concorsi banditi a seguito della entrata in vigore della legge alla quale il disegno in esame darà vita. Del resto, anche l’età di sessanta anni, per partecipare a detti concorsi, è certamente più elevata dei limiti posti da altri bandi a dimostrazione che si vuole garantire il reclutamento di una parte dei giudici tributari oggi in servizio.

Inoltre, al fine di equiparare la magistratura tributaria alle altre magistrature, viene portata a settanta anni l’età del pensionamento, oggi i giudici tributari restano nelle loro funzioni fino al settantacinquesimo anno di età.

Quindi, con il disegno di legge in esame, si vuole riformare il reclutamento dei giudici tributari, i quali, per il futuro, dovranno essere assunti mediante concorso.

Come ricordato in precedenza, tale importante innovazione contribuisce a realizzare la pienezza della terzietà del giudice e avvia il contenzioso tributario a divenire sempre più un vero e proprio processo, da realizzarsi davanti ad un giudice terzo ed imparziale, precostituito per legge e selezionato mediante concorso.

b) La nomofilachia nel processo tributario (articolo 363 bis cpc).

L’Esecutivo, operando su un altro dei punti dolenti del giudizio tributario, si è interrogato sul necessario coordinamento tra la fase del processo che si svolge innanzi alle Commissioni tributarie e il giudizio di legittimità innanzi alla Corte di cassazione[11]. Quando, nel 1992, come detto, si è ipotizzato, con l’articolo 62 del decreto legislativo 546, il luogo finale di approdo del contenzioso tributario innanzi alla Suprema Corte, al fine di garantire, anche per il giudizio tributario i criteri unificanti della nomofilachia, si è data vita ad una “protesi” processuale non sempre coordinata con il sistema a cui si era voluto dar vita. Ora, il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 17 maggio 2022, ha dettato degli appositi istituti processuali ed ha previsto specifiche strutture per garantire una migliore efficienza al sistema di tutela apprestato dalla giurisdizione tributaria.

Il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri, ha previsto l’inserimento nel codice di rito civile di un articolo (il 363 bis) integrante il principio di diritto in materia tributaria. Tale nuovo articolo, da inserirsi dopo l’articolo 363 che regolamenta il principio di diritto in generale,  avrà una specifica valenza per il solo processo tributario ed il meccanismo di esso, è assai simile a quello, azionabile dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, per l’emanazione, da parte dei giudici della legittimità del principio di diritto nell’interesse della legge. Il nuovo articolo, operando con la stessa tecnica, prevede la possibilità per il procuratore generale di proporre ricorso al fine di chiedere, ai giudici della nomofilachia, l’emanazione di un principio di diritto in materia tributaria.

Tale principio di diritto dovrà essere vincolato ai seguenti parametri “a) la questione di diritto presenti  particolari difficoltà interpretative o vi siano pronunce contrastanti delle Commissioni tributarie provinciali o regionali; b) La questione di diritto sia nuova o perché avente ad oggetto una norma di nuova introduzione o perché non trattata in precedenza dalla Corte di cassazione; c) la questione di diritto per l’oggetto o per la materia, sia suscettibile di presentarsi o si sia presentata in numerose controversie dinanzi ai giudici di merito”. Pertanto, solo nelle ipotesi in cui siano presenti particolari difficoltà interpretative o sussistano pronunce contrastanti, oppure si sia in presenza di una nuova questione o, infine, si tratti di una controversia suscettibile di numerose reiterazioni, la Suprema Corte viene chiamata  ad emanare un illuminante principio di diritto, il quale, analogamente a ciò che accede per le vicende connesse a tale istituto, non ha effetto diretto nei confronti dei giudici tributari[12]. Tuttavia, l’emanazione di tale principio di diritto, offre loro la possibilità di orientarsi su fattispecie sicuramente non di semplice soluzione.

c) Il rinvio pregiudiziale in Cassazione.

Analogo coinvolgimento della Corte di cassazione viene realizzato attraverso il dettato dell’articolo 62 ter, del decreto legislativo 546 del 1992, al fine di consentire un più saldo ancoraggio delle questioni tributarie alla lettura nomofilattica offerta dalla Suprema Corte.

L’articolo proposto dal Consiglio dei Ministri nel varare il disegno di legge recante le disposizioni in materia di giustizia e processo tributario, dispone che sia la Commissione tributaria provinciale che quella regionale, possano disporre, con ordinanza, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte al fine di ottenere da essa la risoluzione di una questione di diritto idonea alla definizione, anche parziale, della controversia pendente innanzi a loro.

Chiarisce l’articolo, che tale rinvio pregiudiziale può essere operato esclusivamente in presenza delle seguenti condizioni:”a) la questione di diritto sia nuova o comunque non sia stata già trattata in precedenza dalla Corte di cassazione; b) si tratti di una questione esclusivamente di diritto e di particolare rilevanza per l’oggetto o per la materia; c) presenti particolari difficoltà interpretative e vi siano pronunce contrastanti delle Commissioni tributarie provinciali o regionali; d) si tratti di questione che per l’oggetto o per la materia, sia suscettibile di presentarsi o si sia presentata in numerose controversie dinanzi ai giudici di merito”.

Come si vede, le condizioni per fruire di questo istituto sono assai simili a quelle previste dall’originario articolo 363, che vengono replicate nell’ipotizzato articolo 363 bis cpc.

L’intento di entrambi gli istituti, affidati a un diverso potere di impulso, nell’ipotesi del principio di diritto in materia tributaria al procuratore generale presso la Corte di cassazione; invece, per il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione l’impulso è affidato alle Commissioni tributarie, sia a quella provinciale che a quella regionale.

E’ evidente che in entrambe le previsioni normative, emerge la volontà di cercare l’ausilio della competenza e delle funzioni del Supremo giudice della legittimità al fine di evitare contrasti giurisprudenziali interni al segmento della giustizia tributaria ed anche per ottenere lumi ed interpretazioni normative, ad opera della Suprema Corte, su questioni di particolare rilevanza e novità.

A differenza del primo, questo secondo istituto, da luogo ad una pronuncia vincolante per il giudice che ha disposto il rinvio e tale vincolatività viene ulteriormente reiterata “nel processo che sia istaurato con la riproposizione della domanda”.

d) Istanza di trattazione ed estinzione del processo tributario (articolo 62 quater d. lgs. n. 546/92).

Al fine di rendere più celere la trattazione dei giudizi tributari, innanzi la Corte di cassazione, il disegno di legge varato il 17 maggio 2022, ha previsto l’onere per la parte ricorrente di presentare istanza di trattazione, mutuando una procedura già in essere per i giudizi amministrativi. In caso di mancata presentazione dell’istanza di trattazione, si verifica l’estinzione del giudizio, che può essere rilevata anche d’ufficio. Analoga istanza deve essere presentata dalla parte che abbia proposto ricorso incidentale. Si tratta di procedure acceleratorie che tendono a garantire la ragionevole durata del processo tributario, in linea con il dettato costituzionale dell’articolo 111 Cost.

6. L’Ufficio massimario della giustizia tributaria.

Sempre al fine di garantire l’omogeneità dei giudizi resi dai giudici tributari, sia di legittimità, che di merito, la normativa in esame ha previsto di istituire presso il Consiglio di presidenza di giustizia tributaria, l’Ufficio del massimario nazionale, disponendone anche l’organico e le funzioni. E’ stato, altresì, precisato che il direttore e i componenti dell’ufficio massimario restano in carica per cinque anni ed il loro mandato non è rinnovabile.

A norma dell’articolo 24 bis, che dovrà essere aggiunto al decreto legislativo n. 546 del 1992, l’istituendo Ufficio del massimario in materia tributaria, dovrà provvedere a rilevare, classificare ed ordinare tutte le decisioni delle Commissioni tributarie regionali e quelle più significative emesse dalle Commissioni tributarie provinciali, redigendo, per tali decisioni, specifiche massime, idonee a dar vita ad una “banca dati” della giurisprudenza di merito in materia tributaria. Tale massimazione è finalizzata da una parte ad omogeneizzare l’attività dei giudici tributari, e dall’altra ad offrire al Ministero dell’economia e delle finanze, che gestisce la banca dati redatta dal massimario, a ricevere utili informazioni sulla base delle quali orientare la propria attività.

Certamente, l’istituzione di tale nuovo Ufficio è destinata ad apportare un notevole miglioramento nelle funzioni giudicanti dei giudici tributari che riceveranno dalla banca dati predisposta dall’Ufficio massimario un’utile bussola sulle indicazioni alla luce delle quali orientare le loro decisioni.

7. La conciliazione  proposta dalla Commissione tributaria.

Il disegno di legge in esame, ha previsto l’inserimento nella struttura del decreto legislativo n. 546 del 1992, di un’ulteriore ipotesi di natura conciliativa, operata ad impulso delle Commissioni tributarie provinciali, in relazione alle controversie soggette al reclamo ai sensi dell’articolo 17 bis del medesimo decreto legislativo, in virtù delle quali la Commissione tributaria è chiamata ad operare una ipotesi di “conciliazione valutativa” avendo riguardo all’oggetto del giudizio ed all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione. Tale proposta può essere formulata dalla Commissione in udienza o anche fuori dalla stessa, ma, in questa seconda ipotesi, dovrà essere comunicata alle parti. Se l’accordo non viene recepito, il processo prosegue nella stessa udienza o in quella successiva (se la ipotesi di conciliazione è formulata fuori dall’udienza). Quando la proposta di conciliazione dovesse sortire effetto positivo, il giudice dichiara, con sentenza, l’estinzione del giudizio per la sopravvenuta cessazione della materia del contendere in quanto la vertenza è stata conciliata.

Appare evidente, ma il legislatore, ha sentito il desiderio di chiarirlo espressamente, che “la proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o di astensione del giudice”.

E’ interessante vedere come il legislatore abbia inteso rilanciare una ipotesi di conciliazione interna al giudizio affidando al giudice, innanzi al quale la causa pende, la valutazione se formulare, o no, la sua valutazione conciliativa. Invero, in questo giudizio, è stato affidato al giudice un potere di scelta, a differenza di ciò che, invece, accade nel processo del lavoro dove, a norma dell’articolo 420 cpc, il giudice è obbligato a formulare la sua ipotesi di conciliazione valutativa.

8. Conclusioni.

Lo stimolo offerto dal piano nazionale di ripresa e resilienza al nostro legislatore di occuparsi del contenzioso tributario, al fine di rendere funzionalità ed efficienza ad un giudizio che, a causa della sua incerta origine, è ancora molto lontano dai parametri costituzionali del giusto processo, va visto in maniera positiva.

Invero, solo dando funzionalità a questa procedura, ormai inserita, a pieno titolo, nell’ambito della giurisdizione, come ha più volte affermato la Corte costituzionale[13], sarà possibile rendere il contenzioso tributario in linea con le esigenze di tutela dei cittadini e dello Stato e contribuire, con le nuove garanzie di professionalità offerte dai giudici tributari, ad una efficace azione di contrasto dell’evasione fiscale e della elusione[14].

Inoltre, un maggior peso della giurisprudenza di legittimità nel processo tributario consentirà anche ai primi due gradi di giudizio di merito, guidati, per il futuro, da magistrati di carriera e non più da giudici avventizi, di prestare maggiore attenzione alle norme processuali poste a garanzia del diritto alla difesa e del principio del contraddittorio[15].

PIERO SANDULLI

[ avvocato, professore ]


[1] Per la giustizia amministrativa il percorso è iniziato dalla abolizione del contenzioso amministrativo, intervenuta con la legge n. 2248, allegato E, del 20 marzo 1865; per giungere, poi, alla rinascita con la quarta sezione, giurisdizionale, del Consiglio di Stato (1889) ed alle Giunte provinciali amministrative nel 1890. Al riguardo, vedi la ampia ricostruzione di A. Salandra, La giustizia amministrativa nei governi liberi, Torino 1904, p. 488.

[2] La Corte costituzionale, con la propria decisione del 27 dicembre 1974, n. 287 (in Giust. civ. 1975, III, p. 68), giungeva alla conclusione che le Commissioni tributarie debbono essere considerate “organi giurisdizionali”. In dottrina vedi la ampia analisi di G. Glendi in Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano 1990, p. 6.

[3] Già nel 1972, il D.P.R. n. 636, pur lasciando alla giurisdizione ordinaria la tutela per i tributi doganali, l’IVA alla importazione ed i tributi locali, aveva posto le basi dell’attuale struttura del processo tributario.

[4] A seguito dell’emanazione del decreto legislativo n. 546 del 1992, entrato effettivamente in vigore nel 1996, fu istituita nel 2000 una specifica sezione della Corte di cassazione per la materia tributaria, la quinta.

[5] Dal 2000 ad oggi si sono succeduti ulteriori interventi normativi che hanno introdotto nel contenzioso tributario la mediazione (2011); la conciliazione giudiziale (2015) è stata estesa al giudizio instaurato innanzi la Commissione tributaria regionale; la immediata esecutività delle decisioni delle Commissioni tributarie (2015); l’azione inibitoria, a bilanciamento della esecutività immediata (2015).

[6] Vedi, sul punto, C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova 1984, p. 682.

[7] Vedi, sul tema, C. Consolo, Dal contenzioso al processo tributario, Studi e casi, Milano 1992, XVII.

[8] Cfr. C. Glendi, L’attualità della giurisdizione speciale tributaria nel prisma ordinamentale della riforma, in La riforma della giustizia tributaria, a cura di C. Glendi, Padova 2021, p. 465.

[9] Vedi, al riguardo, P. Russo, La evoluzione del contenzioso tributario nel quadro dei mezzi di tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione, in Studi in onore di E. Allorio, Vol. II, Milano 1989, p. 1731, C. Consolo, Dal contenzioso al processo tributario, Milano 1992, p. 223.

[10] La prova orale verte su: a) diritto tributario e diritto processuale tributario; b) diritto civile e procedura civile; c) diritto penale; d) diritto amministrativo e costituzionale; e) diritto commerciale e fallimentare; f) diritto dell’Unione europea; g) diritto internazionale pubblico e privato; h) elementi di contabilità aziendale e bilancio; i) elementi di informatica giuridica.

[11] Vedi, sul punto, Gli atti del convegno svoltosi a Teramo nel novembre 2007: La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giurisdizionale, a cura di M. Basilavecchia e G. Tabet, Bologna 2009, p. 183.

[12] Vedi, al riguardo, M.R. Morelli, L’enunciazione del principi di diritto, in La Cassazione civile, a cura di M. Acierno-P. Curzio-A. Giusti, Bari 2015, p. 415.

[13] Vedi, sul punto, C. Glendi, L’attualità della giurisdizione speciale tributaria , in La riforma della giustizia tributaria,a cura di C. Glendi, Padova 2021, p. 465.

[14] Cfr. A. Lovisolo, Osservazioni critiche in merito ai più recenti progetti di riforma della giustizia tributaria e ai sopravvenuti rischi di una sua involuzione, in La riforma della giustizia tributaria, a cura di C. Glendi, Padova 2021, p. 95.

[15] Sul punto, M. Marinelli, Il giudizio davanti alla Suprema Corte quale terzo grado di un processo tributario unitariamente considerato nel progetto di un codice della giustizia tributaria, in La riforma della giustizia tributaria, a cura di C. Glendi, Padova 2021, p. 177; M. Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino 2013, p. 198.