venerdì, 29 Novembre 2024

“La magistratura è diventata uno stato nello stato”, dice Cassese alla Leopolda

[ IL FOGLIO ]

Il monito del costituzionalista: “L’indipendenza è diventata autogoverno, l’accusa è diventata giudizio e i poteri, invece di essere separati, sono concentrati all’interno dell’ordine giudiziario. Non c’è più consonanza tra il paese e la giustizia”

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La sessione su giustizia e garantismo non può non chiamare in causa una delle figure più autorevoli del nostro paese”, dice Matteo Renzi alla Leopolda. “Una figura che non ha mai mancato di fare sentire la sua voce anche durante i momenti del lockdown e della ‘dipiciemmite’, vale a dire quella malattia che ha portato a scrivere dpcm in un momento complicato, in un momento anche di oggettiva difficoltà inedite ma – a mio avviso – con una esagerazione.

In quel momento in cui anche semplicemente aprire una finestra di libertà e poter avanzare sommessamente dei dubbi o dei quesiti sembrava lesa maestà. Con grande gioia do il benvenuto in collegamento alla Leopolda al professor Sabino Cassese, sicuramente il dominus et magister di tanti allievi che lo hanno seguito nel diritto amministrativo, nel diritto costituzionale e più in generale nel rispetto delle istituzioni di questo paese“.
  
“Grazie della presentazione”, risponde il prof. Cassese. “Mi limiterò a farvi un brevissimo bilancio della situazione preoccupante della giustizia italiana oggi. E lo faccio cominciando da una cifra: c’è un arretrato di 6 milioni di procedure. E da un’altra cifra: la fiducia della popolazione italiana, secondo i sondaggi, degli ultimi dieci anni nella giustizia si è quasi dimezzata. C’è una prima conclusione da trarre da questi dati e cioè che c’è una crescente domanda di giustizia non soddisfatta. Quei 6 milioni pesano perché ci sono 6 milioni di persone che attendono giustizia. Questo è il primo dato fondamentale per capire la situazione di crisi che sta vivendo la giustizia oggi in Italia. Non c’è sintonia tra l’ordine giudiziario e il paese.

Il costituzionalista prosegue: “Secondo punto, la Costituzione prevedeva uno scudo per evitare la politicizzazione della giustizia, dei magistrati e per assicurare l’indipendenza dei magistrati. Uno scudo a difesa dell’ordine giudiziario, della sua indipendenza. Ora in una lenta azione interpretativa e anche – ahimé – normativa, indipendenza è diventata autogovernoSi è venuto a costituire una sorta di stato nello stato.

Vi sono moltissimi esempi per spiegare questa conclusione ma ne vorrei dare uno, semplice e piccolo, e cioè il fatto che Consiglio superiore della magistratura non fornisce i dati dei propri dipendenti al ministero dell’Economia e delle Finanze perché ritiene di non essere parte dello stato. Noi abbiamo davvero un piccolo stato nello stato che si è venuto a costruire in tutti questi anni”.

“Terzo, la Costituzione separa i poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Ma, come è stato detto proprio pochi minuti fa, una parte dell’ordine giudiziario, una parte di magistrati, ha le posizioni più importanti nel ministero della Giustizia”, aggiunge il professore. “Il ministero della Giustizia è l’unico a essere citato nella Costituzione, che dice espressamente che il ministero si interessa dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Questa è una funzione amministrativa. Ma l’ordine giudiziario svolge questa funzione amministrativa e nello stesso modo l’ordine giudiziario, i magistrati, concorrono alla formazione legislativa per esempio svolgendo le funzioni di capi degli uffici legislativi dei ministeri.

E infine si sta verificando un fenomeno opposto a quello di cui si preoccuparono i costituenti, che era una eventuale politicizzazione che venisse dall’esterno verso il corpo giudiziario. Invece si sta creando e si è sviluppata una politicizzazione endogena, all’interno della magistratura. E quindi c’è una terza confusione: i poteri, invece di essere separati, sono concentrati all’interno dell’ordine giudiziario. L’articolo 111 della Costituzione dispone che l’accusato sia informato riservatamente delle accuse. Invece, come è già stato detto da altri poco fa, l’accusa viene fatta in pubblico, l’accusa diventa un giudizio e quindi serve ad additare al pubblico ludibrio“.

“E infine – prosegue Cassese – l’ultimo aspetto sul quale voglio richiamare la vostra attenzione e il fatto che una volta si diceva che i giudici parlano con le sentenze, ora invece i magistrati sono presenti nello spazio pubblico e nella politica. Distruggono l’immagine della imparzialità che deve essere viva nella società, nell’opinione pubblica.

Ecco qual è la conseguenza: vi leggo una stima fatta dal Presidente di uno dei maggiori Tribunali italiani e presentata durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario: ‘Ogni anno abbiamo almeno 150.000 indagati poi imputati che attendono almeno 4 anni dalla notizia di reato per essere assolti all’esito del primo grado. Un milione e mezzo ogni 10 anni. Con questo trend ne mandiamo a processo in 50 anni oltre 7 milioni che verranno assolti all’esito del primo grado‘.

Ecco questa è un quadro sintetico dello stato della giustizia in Italia. E per questo occorrono rimedi importanti per uscire da una situazione nella quale, e ripeto quello che dicevo all’inizio, non c’è consonanza tra il paese e la giustizia, e cioè una parte fondamentale dello stato”, conclude Cassese.

[ IL FOGLIO ]