L’Italia potrebbe essere il primo Paese del G7 e il primo membro fondatore dell’Europa a firmare un memorandum d’intesa con la Cina sull’adesione ufficiale alla Belt and Road Initiative (Bri), il nome internazionale della Nuova Via della Seta — il maxi-programma di investimenti infrastrutturali ideato da Pechino per collegarsi con decine di paesi in Asia, Africa ed Europa.
La sottoscrizione del memorandum, che favorirà gli investimenti cinesi nelle infrastrutture italiane, potrebbe avvenire già durante la visita in Italia del presidente Xi Jinping, prevista tra il 22 e il 24 marzo, oppure al secondo forum sulla Bri che avrà luogo a Pechino a fine aprile e al quale parteciperà anche il premier Giuseppe Conte.
Però il comportamento dell’Italia non piace per niente agli Stati Uniti. Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha dichiarato al Financial Times che “la BRI servirebbe esclusivamente gli interessi della Cina e non porterà benefici agli italiani e nel lungo periodo potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale del Paese”. E quindi? Questo “tradotto” vuol dire che per soddisfare gli intessi americani l’Italia dovrebbe perdere l’opportunità di collegare le sue terre e i suoi porti al progetto economico cinese?
Perché gli Stati Uniti sono ostili al progetto? Qual è la posizione dell’Europa? Quali sono gli scenari futuri per il progetto che sta già cambiando il mondo? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista in merito Lucio Caracciolo — direttore e fondatore della rivista italiana di geopolitica Limes.
— Professore Caracciolo, Washington interpreta le nuove vie della seta come strumento di espansione globale dell’influenza cinese e avverte l’Italia sulle conseguenze che potrebbe avere la sua adesione. Perché gli Stati Uniti sono cosi ostili al progetto?
— Gli Stati Uniti sono ostili al progetto “Le nuove vie della seta” perché sono ostili alla Cina. Considerano la Cina un paese che può minacciare il loro primato mondiale e quindi, stanno conducendo un attacco a 360 gradi contro tutto quello che potrebbe favorire una scalata della Cina a rimettere il potere mondiale. “Le Via della seta” sono interpretate dagli Stati Uniti come un progetto che sembra commerciale ma che in realtà è geopolitico e strategico e investe tutte le dimensioni della potenza.
— Pensa che la Casa Bianca potrebbe in qualche modo influenzare la posizione ed eventuale decisione del governo italiano su questo progetto?
— Certamente si. L’Italia fa parte del sistema imperiale americano e il membro della Nato e quindi gli Stati Untiti hanno notevoli possibilità di pressione sull’Italia. Ho l’impressione che siano arrivati un po’ tardi e che abbiano sottovalutato il grado di influenza, anche di integrazione che la Cina è riuscita a determinare in Italia e quindi sono rimasti molto svotati e naturalmente molto irritati dalla decisione italiana di invitare il presidente cinese Xi Jinping qui per firmare il cosiddetto memorandum of understanding. È vero che questo memorandum non conterà nulla di straordinario, ma evidentemente per gli americani è comunque un atto simbolico che non va bene.
— Quale potrebbe essere, a Suo avviso, il costo politico diplomatico se l’Italia non prenderà in considerazione il parere degli USA?
— Come dicevo, gli americani hanno molti modi per far pesare la loro influenza e la loro volontà in Italia. Quello più pesante ma anche più ovvio sarebbe non aiutare più, come hanno finora, all’Italia nella raccolta di fondi americani che sostengono acquistando i buoni del tesoro. Questo metterebbe l’Italia a rischio di bancarotta, di fuoriuscita dall’euro. Naturalmente gli Stati Uniti non porteranno questo attacco alle estreme conseguenze, ma se lo dovessero fare, farebbero comunque sentire che gli Stati Uniti possano avere una capacita di fare pressione. E poi ci sono delle altre possibilità di ogni tipo, di carattere di intelligence, strategico. Per cui non mancano le possibilità all’America che è un paese che fra l’altro ha in Italia molti importanti basi militari.
— Secondo alcuni economisti, l’accordo con la Cina potrebbe portare importanti vantaggi economici per l’Italia, favorendo gli investimenti cinesi nelle infrastrutture italiane, a cominciare da quelle portuali del Settentrione. Inoltre negli ultimi 20 anni la geografia mondiale del commercio è cambiata drammaticamente. La Cina è il principale partner commerciale di 126 nazioni, mentre gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale di 56 nazioni. Non pensa che l’Italia come un paese indipendente ha tutto il diritto di scegliere le migliori opzioni e strategie economiche per adattarsi a un mondo che cambia?
— L’Italia deve naturalmente fare i propri interessi ma deve anche considerare la realtà. Cioè il fatto che non è il paese completamente indipendente e completamente sovrano ma è un paese che fa parte del sistema atlantico comandato dagli Stati Uniti. E quindi ci sono dei limiti. Io penso che sarebbe stato probabilmente evitato tutto questo, se l’Italia avesse prima parlato con gli Stati Uniti: quindi valutato quali erano le “linee rosse” americane, fatto valere i nostri interessi e magari avere incassato qualcosa dagli Stati e poi decidere che cosa fare con i cinesi. Comunque, la partita è ancora aperta e vedremo che cosa uscirà da questa visita del presidente Xi Jinping.
— La Cina, infatti, è intenzionata a facilitare gli scambi commerciali e culturali tra Europa ed Asia, però oltre agli Stati Uniti, anche diverse cancellerie europee e la Commissione sembrano guardare con preoccupazione a un’eventuale adesione italiana. Su quali ragioni sono basate le loro critiche, visto che la stessa Germania e la stessa Francia lavorano con la Cina e hanno più scambi rispetto all’Italia?
— Io credo che queste posizioni al livello europeo non abbiano un grande peso. Quello che conta è la posizione americana e naturalmente quella cinese e dove l’Italia deciderà di collocarsi in questo braccio di ferro. È evidente che l’Italia, facendo parte, come dicevo, della Nato, non può schierarsi con la Cina, ma è anche evidente che l’Italia ha degli interessi economici-commerciali molto importanti da preservare con la Cina. Quindi, qui sarebbe necessario trovare un compromesso e io spero e credo che si troverà.
— A Suo avviso, quali sono gli scenari futuri per questo maxi-progetto in questo contesto assai complicato?
— Il vantaggio di questo progetto è che molto vago, quindi può essere interpretato in vari modi. Credo che le ambizioni siano enormi e che la Cina abbia fatto l’importante investimento economico e geopolitico su questo progetto. E penso che sarà sicuramente un elemento di contenzioso con gli Stati Uniti. Probabilmente il progetto è un po’ troppo ambizioso rispetto alle capacità della Cina ma la reazione di Washington significa che sia pure in ritardo — l’America si è accorta che “Via della seta” sia comunque uno strumento di influenza cinese molto importante nel mondo e in particolare in Europa.