L’intervista di Ruini è stata una buona notizia per Salvini. Da sempre in difficoltà con la Chiesa italiana, il leader leghista non si è lasciato sfuggire l’occasione. Come era logico aspettarsi, l’intervista del cardinale è diventata per la Lega l’occasione per conquistare quote importanti di voto «cattolico». Condizione per arrivare a costruire la centralità necessaria a stabilizzare il suo disegno politico.
Guardando lo scenario internazionale la mossa non sorprende. Per fondare quella identità che dichiarano di voler difendere, i sovranismi costruiscono una sintesi più o meno posticcia di elementi politici e religiosi. Così è in Brasile tra gli evangelici e Bolsonaro, in Francia tra i cattolici conservatori e Marine Le Pen. Ma anche in Russia tra gli ortodossi e Putin, in India tra i fondamentalisti indù e Modi.
In Italia, dove papa Francesco ha marcato una netta distanza con le posizioni espresse dal leader leghista, mancava solo l’innesco. E la citata intervista ha assolto egregiamente allo scopo. Si parla tanto del voto cattolico. Che però sappiamo è da molto tempo disperso sull’intero arco politico. Come è normale che sia: semplicemente perché nella tradizione secolarizzata dell’Occidente (fondata sul principio evangelico del «date a Cesare quel che è di Cesare») il piano religioso non coincide con quello politico.
In questa cornice, nella Chiesa ritornano sempre due atteggiamenti. Il primo ritiene che gli interessi (materiali e spirituali) della religione vengano meglio difesi da un accordo con quella parte del potere politico che si dimostra più orientata ai valori della fede. Almeno a parole. È stato così, ad esempio in Italia nel momento in cui è finita l’esperienza della Dc. Con l’avvento di Berlusconi la Chiesa italiana — guidata dalla Cei di Ruini — ha scambiato consenso politico per l’attenzione ad una serie di questioni: la difesa della scuola privata e della famiglia, la resistenza all’aborto e alle coppie gay, la presenza dell’insegnamento religioso nelle scuole, la conservazione dell’8×1000.
Che una tale posizione abbia giovato alla Chiesa o all’Italia è onestamente molto dubbio. E non per caso. Detto che i processi della modernità si svolgono prevalentemente altrove, in un Paese a matrice cattolica un accordo di questo tipo finisce per mortificare lo sforzo che occorre sempre fare: capire quei processi e rielaborarli nel proprio particolarissimo codice socio-culturale. Per il bene del Paese (nel nostro caso, l’Italia) e della Chiesa.
È questa l’ambizione del secondo atteggiamento il quale pensa che, nella modernità, il pensiero cattolico debba sempre sforzarsi di essere il lievito nel mondo che cambia. Di essere, cioè, con forme e modi sempre diversi, un soggetto capace di aiutare la polis a trasformarsi e a superare le proprie contraddizioni attingendo alla sapienza dei principi evangelici. E lasciando alla Chiesa la responsabilità dell’evangelizzazione. Una posizione ambiziosa che si regge solo quando esiste un laicato cattolico (nelle sue personalità e nelle sue istituzioni) in grado di elaborare una cultura politica utile alla società nel suo insieme.
Papa Francesco non perde occasione per sollecitare a lavorare in questa direzione. Non si dimentichi che la posizione del papa nasce dalla memoria delle dolorosissime vicende dell’America Latina nella seconda metà del XX secolo. Quando la Chiesa cattolica si è trovata lacerata tra le posizioni ultrareazionarie che non si sono fatte scrupolo di appoggiare le giunte militari e la reazione ugualmente radicale della teologia della liberazione che, prendendo la parte del popolo e dei poveri, ha finito poi per assumere molti caratteri del marxismo. Con gravi conseguenze sulle vicende sociali, economiche e politiche di quei Paesi.
Di sicuro l’intervista di Ruini sposterà una parte del voto cattolico, specie anziano. Già prevalentemente orientato a destra. E che si può sentire oggi rassicurato nei confronti di un leader che usa spesso toni molto forti se non addirittura violenti. Inutile lamentarsi per chi rimane sulle posizioni di Papa Francesco. Se si vuole dare un contributo utile occorre verificare la capacità di dare ispirazione a un vasto campo politico che ne è oggi privo a causa del declino delle due principali famiglie politiche (popolari e socialisti).
Non si tratta di far nascere un nuovo partito cattolico. Cosa di cui non si sente necessità e che d’altra parte non ha probabilità di successo. Si tratta, piuttosto, di verificare la capacità di contribuire a ridisegnare un modello di sviluppo oggi in grave difficoltà. Nella consapevolezza che, al di là di tante fragilità, la presenza sociale e culturale del mondo cattolico rimane capillare e vitale.
Se c’è un merito di cui i sovranisti possono vantarsi è di aver intuito che la crisi va ben al di là del piano politico istituzionale, arrivando a toccare strati più profondi della condizione contemporanea. Come quelli della identità, della sicurezza, della comunità. Per trasformare in energia positiva quella che rischia di trasformarsi in una spinta distruttiva occorre riconoscere la portata delle trasformazioni in corso, che arrivano fino a investire il piano spirituale. È prima di tutto a questo compito che, oggi come ieri, i cattolici — in Italia e nel mondo intero — sono chiamati. Che poi ne siano all’altezza è tutto da dimostrare.
Mauro Magatti
[ CORRIERE DELLA SERA ]