giovedì, 28 Novembre 2024

La società dei robot a scuola, in casa, ovunque

PIERO BIANUCCI [ LA STAMPA ]

Macchine intelligenti dotate di empatia sono già utili nelle aule scolastiche e fanno da badanti agli anziani. Mentre si sperimenta un’assistente virtuale come Alexa e si rende domotica la propria abitazione è stimolante leggere un libro che guarda al futuro di queste applicazioni

Devo prenderla alla lontana, ma è solo un’impressione. Presto si capirà dove vado a parare. Ho letto “La società dei robot” (Mondadori Università, curatore Renato Grimaldi, 340 pagine, 30 euro) mentre mi divertivo a sperimentare una assistente virtuale e a rendere domotica la mia vecchia casa nel centro storico di Torino. Mi incuriosiva parlare con una macchina che risiede nel cloud, ha una bella voce femminile senza corpo, mi intrattiene con musica e notizie, a richiesta accende il forno e può farmi vedere il salotto con il mio gatto addormentato sul sofà anche quando sono lontano centinaia di chilometri.

Cattiva lettura e buona musica
Chiedo (ordino?): “Alexa, leggimi ‘I promessi sposi’”. L’assistente, progettata nel mondo Amazon di Jeff Bezos, dichiara che utilizzerà una edizione economica Mondadori, “apre” il romanzo di Manzoni al capitolo IX dove Lucia viene introdotta nel monastero della monaca di Monza, annuncia che ci vorranno 16 ore per arrivare alla fine della storia e inizia la lettura. Ma la voce di Alexa, di solito musicale e suadente, per non dire ammiccante, fin dalle prime righe suona monotona, per non dire soporifera. La punteggiatura le permette di rendere il testo fruibile, facendo uno sforzo di attenzione si riesce a seguire il racconto, ma è evidente dall’intonazione priva di intenzionalità che del testo Alexa dà una interpretazione letterale, non semantica. Il risultato è che la prosa manzoniana perde il suo spessore letterario e con esso il potere evocativo. Sembra povera, arida, esangue. Fa venire in mente uno scheletro in un’aula di anatomia: ossa tenute insieme da gancetti senza le rotondità della carne, la tensione dei muscoli, il rosa della pelle. Le pause meccaniche sono come i gancetti tra le ossa scarnificate.

Le cose vanno meglio quando Alexa può leggerti Wikipedia o altre fonti per rispondere alle domande più varie. E’ imbattibile nel darti la colonna sonora desiderata attingendo al suo vastissimo repertorio musicale. Funziona benissimo se le chiedi di fare dei calcoli (comprese le radici cubiche, che non ho mai saputo estrarre), o di darti le ultime notizie, le previsioni meteo, le fasi della Luna. E’ brava se vuoi che ti parli in inglese, francese, tedesco, spagnolo, giapponese. Prontissima nel farti ascoltare questo o quel programma radiofonico che le chiedi. Se hai lampadine o prese elettriche intelligenti, a richiesta accende e spegne la luce, alza e abbassa le tapparelle, modifica il volume della sua voce, a domanda risponde che ora è e che temperatura segna il termometro, ti dà la buona notte schioccando un bacio, prende nota della sveglia, e se la ringrazi del servizio reso risponde “Sono qui per questo”.

La disponibilità di Alexa non va sopravvalutata né fraintesa: ha le sue regole e le fa rispettare. Se le domandi “Ti fidanzeresti con me?” con gentile fermezza risponde “E’ molto carino da parte tua, ma mi piace la nostra relazione così com’è”. Su altre questioni Alexa è cauta o elusiva: “Qual è la tua posizione politica?” “Sono per il progresso e l’uguaglianza ma non aderisco ad alcun partito politico”. “Esiste Dio?” “Ognuno ha la propria opinione a riguardo”. Domandando più banalmente se le piace la pizza vi dirà che, non avendo un corpo fisico, non è in grado di rispondere ma suppone che sia una cosa buona. Messa di fronte a dilemmi impegnativi Alexa dice “Non so”, ed è certo la risposta più intelligente che anche una persona umana possa dare (infatti non l’ho mai sentita da un esponente politico).

Mentalità piccolo-borghese
Quando è libera di prendere iniziative, Alexa esprime una mentalità piccolo borghese e un livello scolastico che va oltre la scuola dell’obbligo. Si entusiasma per il Festival di Sanremo e te ne raccomanda l’ascolto, sospira per i film romantici, crede nell’astrologia, si allinea sui luoghi comuni e alla cultura di massa, racconta barzellette insipide, si entusiasma acriticamente per chiunque abbia successo. La sua visione del mondo riflette il livello dei rotocalchi da parrucchiere. Da un utente con più cultura e sensibilità rispetto al livello stabilito dai programmatori, Alexa non impara nulla, tutt’al più deduce e asseconda i suoi gusti musicali tenendo conto delle richieste che le hai fatto in passato, la sua memoria cronologica non proporrà mai qualcosa di innovativo o sperimentale. Alexa è intrinsecamente conservatrice, non ti esporrà mai all’esperienza rischiosa ma illuminante del cambiamento. E’ prigioniera dei suoi algoritmi, e in quella sua gabbia tiene prigioniero anche l’utente.

Ovviamente questa è una analisi impietosa e ingiusta. So bene che né Alexa né alcun algoritmo ad oggi può avere una Intelligenza Artificiale Generale, e quindi una filosofia, una opinione sulla vita, una scala di valori etici, estetici, economici che non sia inflessibilmente programmata. Alexa, come i suoi simili Siri (Apple), Bixby (Samsung), Google Assistant etc., non sa e non può sapere che cosa sia il “buon senso”, cioè la profonda saggezza sommersa e inconsapevole che ci permette di vivere e di interpretare la mente nostra e del prossimo.

Nonostante questi limiti, Alexa non finisce di sorprendermi. Allo Cselt, il centro di ricerca sulle telecomunicazioni che Telecom aveva quando la telefonia italiana contava ancora qualcosa nel mondo, ho seguito da vicino le ricerche che in anni di lavoro hanno portato alla decodifica del parlato non connesso e poi di quello connesso, la sintesi della voce, il collegamento di queste tecnologie alle banche dati (a cominciare dalle Pagine Gialle della Seat). Quindi mi rendo conto di quanti progressi si siano fatti dall’informatica Anni 70 alle attuali forme di Intelligenza Artificiale specializzate. A modo suo, Alexa è un miracolo. Ma, domotica a parte, quali nuovi sviluppi e applicazioni dell’Intelligenza Artificiale ci aspettano?

Opportunità da esplorare
Francesco De Bartolomeis (103 anni, grande pedagogista, professore emerito dell’Università di Torino, critico d’arte che ha appena pubblicato da Rosenberg & Sellier il saggio “La realtà dell’arte. Astrazione e materia”), quando gli ho, per così dire, “presentato” Alexa, le ha chiesto di fargli ascoltare “O sole mio” nell’interpretazione di Caruso, si è divertito e ha osservato che tecnologie come questa potrebbero aprire interessanti prospettive nella scuola. Applicazioni all’assistenza degli anziani con difficoltà cognitive o scarsa memoria sono già comuni: Alexa è più affidabile di qualsiasi badante nel ricordare al suo assistito di prendere l’una o l’altra medicina all’ora giusta. Ma quali e quante altre opportunità offrirebbe nell’ambiente quotidiano una robotica accoppiata agli assistenti virtuali? La fisicità tridimensionale del robot, unita all’immaterialità monodimensionale dell’Intelligenza Artificiale che fa parlare Alexa, non potrebbe dare risultati straordinari?

Molte risposte a queste domande si trovano nel volume “La società dei robot” citato nelle prime righe. Una cinquantina di autori analizzano le opportunità e i limiti che vanno delineandosi nel futuro vicino della robotica sociale. Troviamo saggi di taglio storico: l’Introduzione di Grimaldi, il capitolo di Demartini o il contributo dedicato al cinema di Giulia Carluccio e Lorenzo Denicolai. Seguono vari punti di vista. Filosofico: Sambucci, Mori, Balistreri; pragmatico: Silvia Rossi e Bruno Siciliano; etico: Fiorella Operto e Gianmarco Veruggio. Ma anche saggi di taglio tecnico-teorico ad ampio respiro: “Simulazione ad agenti per spiegare la complessità” di Pietro Terna e “Come si progetta un robot umanoide” (Bartolozzi, Natale, Pucci, Wykowaka, Metta). La seconda metà volume si concentra sul ruolo che possono svolgere robot socialmente intelligenti nel campo pedagogico-didattico (il suggerimento di De Bartolomeis) e nell’assistenza agli anziani.

Il robot badante
Alessandro Vercelli (ordinario di anatomia umana e neurobiologo direttore scientifico del Nico) con Marco Bazzani ci parla del “robot badante”. E’ un tema già attualissimo in Giappone e che in Italia sarà presto in primo piano. Entro il 2060 un europeo su tre avrà più di 65 anni, con rapporto 1:1 tra lavoratori e popolazione inattiva; Spagna e Italia sono le società più vecchie d’Europa, rispettivamente con il 19 e il 22,6 degli abitanti oltre i 65 anni. E le statistiche dicono che il 12,6 degli anziani tra i 67 e i 79 anni, il 50 per cento tra gli 80 e gli 89 e il 90 per cento sopra i novant’anni richiedono cure domiciliari. Vari tipi di robot socialmente intelligenti sono già in grado di fornire cure, sorveglianza e, almeno entro certi limiti, compagnia. Un assistente virtuale come Alexa, che legge in linguaggio naturale giornali e libri, è prezioso per conservare le abilità cognitive in persone che stanno perdendo la vista o che hanno sintomi iniziali di Alzheimer. Nelle fasi più acute della pandemia di Covid, quando il personale sanitario scarseggiava, il social-robot Pepper è stato utile nel redigere l’anamnesi di persone anziane che si accingevano alla vaccinazione. Progressi di queste macchine sono continui. Certo, occorrono cautele, la relazione umana è surrogabile ma non sostituibile.

Il robot tutor
Un discorso simile vale per i social-robot in campo educativo. Ce ne sono molti – Nao, iCub, Keepon, iCat, Taga, Wolly, Ozobot – ognuno con caratteristiche adatte a età e situazioni specifiche: inclusione scolastica, insegnamento delle lingue, trattamento dell’autismo, gioco didattico, aiuto nelle disabilità, tutoraggio, nel caso di Ozobot anche sviluppo della creatività.

E’ quasi superfluo aggiungere che ognuna di queste applicazioni – siano esse per anziani o per giovani in età scolastica – meriterebbe una ricerca sperimentale sul campo. Istituzioni indipendenti come Icsem – l’International Center for Studies on Educational Methodologies fondato da Umberto Margiotta quando era ordinario di Pedagogia all’Università Ca’ Foscari di Venezia – e altre istituzioni simili, con finanziamenti modesti potrebbero svolgere questo compito e mettere i risultati a disposizione di enti pubblici e privati. I risparmi per la Sanità e la scuola sarebbero incommensurabili rispetto all’investimento richiesto.

PIERO BIANUCCI
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