Non ha saputo prevedere l’attacco di Hamas, né limitarlo: un fallimento dell’intelligence e dell’esercito che pone molte questioni.
L’attacco del gruppo radicale palestinese Hamas contro Israele, iniziato sabato mattina e ancora in corso, ha colto completamente di sorpresa Israele, i suoi servizi di intelligence e le sue forze armate. Centinaia di miliziani (non si sa il numero preciso) sono riuscite a superare la recinzione che divide Israele dalla Striscia di Gaza, uno dei confini più militarizzati al mondo, e a entrare con apparente facilità in diverse cittadine israeliane, prendere in ostaggio un numero non ancora certo di militari e civili e uccidere decine di persone. È ancora presto per capire esattamente cosa sia successo, ma l’assenza iniziale di una risposta israeliana è uno degli aspetti più analizzati di queste prime ore dell’attacco.
In generale molti parlano di «fallimento» (per esempio lo fa il rispettato quotidiano israeliano Haaretz) sia dell’intelligence sia delle forze armate di Israele.
Israele ha a disposizione il più consistente e ben finanziato sistema di intelligence del Medio Oriente, che comprende lo Shin Bet, i servizi segreti interni, e il Mossad, agenzia di intelligence che si occupa dei “nemici” esterni. In passato il governo israeliano era stato in grado di monitorare con una certa efficacia i movimenti di Hamas e delle altre forze che ne minacciavano la sicurezza, avviando operazioni preventive mirate e cruente. Non questa volta. Negli ultimi mesi Hamas è riuscita a rifornirsi di migliaia di razzi, utilizzati nell’attacco, e a pianificare l’assalto via terra senza che i servizi segreti israeliani lanciassero un qualche tipo di allarme.
I miliziani di Hamas hanno raggiunto le città israeliane aprendo varchi nelle barriere difensive e utilizzando parapendii a motore: è un’operazione inedita e che ha avuto bisogno di una notevole preparazione, anche questa mai intercettata dai servizi segreti. La cosa è particolarmente sorprendente visto che la sorveglianza della società palestinese da parte di Israele è tanto sofisticata quanto invasiva, e che il monitoraggio delle attività di Hamas è uno dei compiti principali della sua intelligence.
A non avere funzionato non è stata però solo l’intelligence israeliana, ma anche le forze armate, che per delle ragioni non ancora chiare non sono riuscite a intercettare e bloccare gli attacchi via terra dei miliziani di Hamas. La recinzione che divide Israele dalla Striscia era definita “impenetrabile”, ma invece è stata semplicemente divelta utilizzando dei bulldozer. Gli strumenti di difesa prevedevano sulla carta anche pattugliamenti continui, telecamere, rilevatori di movimento e mini-cannoni controllati a distanza: nessuna di queste misure è sembrata funzionare.
Almeno in questa prima fase il successo dell’operazione di Hamas sembra indicare che l’organizzazione radicale palestinese abbia notevolmente aumentato le proprie capacità di pianificazione e di elusione dei controlli da parte dei servizi segreti israeliani. Ma viene visto, soprattutto in Israele, come un fallimento delle forze di sicurezza e della leadership del paese.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto: «I servizi di sicurezza dello Shin Bet hanno delle colpe: l’intelligence militare ha delle colpe; il capo dello staff ha delle colpe; le proteste degli ultimi mesi hanno delle colpe. Le manifestazioni si fermeranno fino alla fine della guerra, giustamente. Quando questa finirà, sarà impossibile evitare la grande domanda: che cosa ci è successo, come siamo caduti in una trappola così grande?». Eli Maron, ex capo della Marina israeliana, in diretta televisiva ha detto: «È un fallimento colossale, la classe dirigente ha semplicemente fallito, con enormi conseguenze».
C’è stata sicuramente una sottovalutazione della minaccia: vari quotidiani israeliani scrivono che negli ultimi anni i vertici delle forze armate israeliane consideravano un’operazione su vasta scala di Hamas «altamente improbabile», perché si pensava che il movimento che governa la Striscia di Gaza temesse la reazione dell’esercito israeliano sulla Striscia (reazione che può essere assai sproporzionata, come dimostrano i precedenti). Il potere della deterrenza è stato quindi sopravvalutato.
L’attacco è poi arrivato in un momento in cui la crisi politica interna a Israele ha raggiunto livelli molto elevati: dallo scorso dicembre Benjamin Netanyahu guida il governo più di destra della storia di Israele, che comprende partiti di estrema destra e ultraortodossi, con posizioni molto radicali su vari temi, compresa la questione palestinese. La riforma della giustizia proposta dal primo ministro, che toglierebbe poteri alla Corte Suprema, secondo i numerosi critici minando la stessa tenuta democratica del paese, ha provocato enormi e prolungate proteste. I temi di politica interna hanno occupato la discussione pubblica israeliana molto più che le questioni di sicurezza.
Le proteste hanno coinvolto inoltre i riservisti dell’esercito, che negli scorsi mesi hanno spesso rifiutato le chiamate obbligatorie, in una specie di sciopero che non si era mai visto in Israele. Sabato, dopo l’attacco di Hamas, sembra che quasi tutti siano tornati ai loro impegni effettivi, ma un allentamento nei controlli e nelle difese potrebbe essere dipeso anche da un numero minore di militari a disposizione. L’attacco di Hamas è infine arrivato durante lo shabbat, il giorno festivo ebraico che va da venerdì a sabato sera, quando le attività, anche militari, registrano un rallentamento.
[ Il Post ]