
Gli osservatori più attenti parlano di scisma morbido. Un secondo attacco alla Chiesa «missionaria» di Bergoglio invisa a quella d’oltreoceano americana. E sempre secondo alcuni addetti ai lavori sarebbe da ricercare anche in quel voto della plenaria dei vescovi americani, che mette nell’angolo i pro-aborto (compreso il presidente Biden), la discesa in campo della Santa Sede – sia pur attraverso i canali istituzionali – a proposito del ddl Zan che sta suscitando non poche polemiche politiche in Italia.
Una decisione, quella sulla legge anti omofobia, che sarebbe stata assunta tra l’altro per placare gli oltranzisti della Curia romana ed evitare una spaccatura sul modello statunitense che, tuttavia, ha come obiettivo principale, sia pur con una lettura laterale, proprio la linea politico confessionale di Bergoglio più che il presidente degli Stati Uniti e l’establishment americano di fede cattolica, ma allo stesso tempo laico di fronte alle leggi e per questa scelta di conseguenza colpevoli secondo i vescovi statunitensi.
Come dimenticare, infatti, la richiesta di dimissioni di Papa Francesco da parte dell’ex Nunzio, monsignor Carlo Maria Viganò?
Oppure le durissime critiche all’episcopato di Bergoglio da parte del cardinale Raymond Burke, rinnovate dopo la nomina di Wilton Gregory, primo cardinale afroamericano, voluto dal pontefice alla guida della prestigiosa Chiesa di Washington, quella della capitale federale. Premesse ostili che spiegano il voto quasi plebiscitario (solo 55 no contro i 166 sì sui 433 presuli che compongono la plenaria americana) sul valore dell’Eucarestia nella vita della Chiesa. Che prende di mira, come detto, chi è a favore dell’aborto, tra cui il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a un passo dalla scomunica se il documento messo a punto dovesse incontrare il definitivo via libera in autunno, perché nel testo votato si fa un preciso riferimento ai leader chiamati «a testimoniare la fede».
Non è tuttavia una faccenda pubblico-privato che riguarda solo il presidente Biden, i politici statunitensi e in generale gli americani favorevoli all’aborto. Tra le righe del documento c’è appunto un durissimo attacco alla Chiesa di Bergoglio, a sua volta tutt’altro che tenera con quella che viene definita una casta di sacerdoti «che si pone sopra il popolo di Dio». Soprattutto dopo il fallimento dell’opera di moral suasion del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria, che aveva invitato i vescovi americani a non dividersi sulla questione e «a non dare l’impressione che ci si siano peccati più sanzionabili di altri».
Chiara la difesa di Biden e il richiamo sulla intollerabile tolleranza della Chiesa americana rispetto alla presidenza Trump e all’agenda politica (e privata) del precedente inquilino della Casa Bianca. Inutile anche la mediazione del Nunzio apostolico negli Stati Uniti, mons. Christophe Pierre, che aveva platealmente chiesto ai vescovi l’unità.
Il voto della plenaria dei presuli americani, con le ricadute di ordine interno alla comunità cattolica e sul fronte strettamente politico, rafforzano ancora di più l’impressione degli osservatori di quell’ umanità d’Oltreoceano che, peraltro, rappresenta oggi la Chiesa più potente e benestante del mondo, e cioè che la comunità ecclesiale americana va da tempo per la sua strada senza mai incrociare quella che porta a Roma e al vescovo dei vescovi.
Va ricordato, per inquadrare lo scenario della discussione, che il capo della Casa Bianca – il secondo presidente cattolico della storia Usa dopo JF Kennedy – nel corso della carriera politica ha modificato la sua posizione, affermando negli ultimi anni di essere personalmente contrario all’interruzione di gravidanza ma d’accordo con la sua legalità. Biden, peraltro, si è sempre detto un cattolico devoto e praticante, e parla spesso dell’importanza della fede nella sua vita. Ma proprio per questo i vescovi chiedono una testimonianza diretta.
Non meno rilevante infine il fatto che le decisioni della plenaria americana, difficilmente revisionabili a meno di un miracolo più di ordine politico che dogmatico, vanno attuate dai singoli vescovi e nella diocesi del presidente, quella appunto di Washington, c’è il presule afroamericano Gregory scelto da Bergoglio e inviso ai colleghi vescovi del «Nuovo mondo». Difficile quindi che Gregory neghi la comunione al presidente Biden.
Più facile tuttavia che il conservatorismo della Chiesa nordamericana possa portare a uno scisma, il tredicesimo della storia, sia pur con declinazioni più sfumate rispetto a quelli del passato. E va dunque inserito anche in queste dinamiche la vicenda «ddl Zan». Una forzatura al contrario della Chiesa di strada di Bergoglio per fornire un segnale di ai più intransigenti e poco accomodanti. Basterà?
FILIPPO SANTIGLIANO
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]