Sull’Europa soffia un vento di destra. Nei principali paesi dell’Unione, i partiti conservatori e sovranisti hanno ottenuto buoni risultati alle elezioni e vedono crescere i loro seggi, anche se la composizione del prossimo parlamento non sarà poi così diversa da quella attuale: il Partito Popolare Europeo (Ppe) stravince; le due coalizioni di estrema destra (Ecr e Id) crescono, ma non tanto da portare l’assalto all’emiciclo; Socialisti e democratici (S&D) tengono, i Verdi crollano e i Liberali (Renew) nonostante il tonfo rimangono la terza forza.
A conti fatti dunque la maggioranza composta da conservatori e socialdemocratici regge, ma l’avanzata della destra è innegabile: se la Francia è l’epicentro dello tsunami, con il presidente Macron che meno di un’ora dagli exit poll ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e il ritorno alle urne, in Germania Alternative für Deutschland (Afd) è il secondo partito più votato del paese. Nonostante gli scandali, il partito nazional-conservatore, euroscettico e anti-immigrazione fa meglio dei tre partiti della coalizione ‘semaforo’ di Olaf Scholz, che subisce una pesante umiliazione.
Il cancelliere tedesco e il presidente francese sono i principali perderti del voto che in Italia, al contrario, premia Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia con un aumento dei consensi. Le “elezioni più importanti di sempre” hanno premiato i partiti ultraconservatori e nazionalisti anche in Austria, Cipro, Grecia e Paesi Bassi mentre le sigle appartenenti al Ppe hanno ottenuto ottimi risultati in Germania, Spagna, Polonia, Grecia. Ovunque pesa il dato dell’astensione: nonostante i tempi e le sfide che il continente si trova ad affrontare, un elettore europeo su due ha scelto di non andare a votare.
Destre divise?
Terremoto o scossa d’assestamento, il risultato del voto fa eco alle mutazioni in corso in Europa. Con gli elettori preoccupati per l’immigrazione, l’inflazione, la guerra alle porte dell’Europa e il costo delle riforme ambientali non è difficile capire perché i partiti euroscettici abbiano raccolto consensi. Meno chiaro è quanto e come saranno in grado di influenzare realmente le future politiche europee. Il motivo è che la politica europea è una politica di alleanze e l’estrema destra è la famiglia più divisa in Europa. Nel parlamento uscente era divisa principalmente tra due gruppi, i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) e Identità e Democrazia (Id). Inoltre, nel gruppo dei “non iscritti” figurano alcuni partiti di estrema destra, in particolare il partito Fidesz del primo ministro ungherese Viktor Orbán. In altre parole, movimenti divisi al loro interno dovranno unirsi, per dare sostanza alla loro opposizione. E questa è una sfida. Hanno priorità nazionali diverse e alcune differenze profonde, come la misura in cui sostenere l’Ucraina contro la Russia. Risultati in controtendenza con il resto d’Europa arrivano da Polonia e Ungheria; ma se la lezione che se ne può trarre è che bisogna mandare i partiti nazionalisti e populisti al potere per alcuni anni prima che inizino a essere respinti dall’elettorato, è una magra consolazione.
Von Der Leyen bis?
Nonostante l’arretramento dei socialdemocratici e il crollo dei liberali, l’attuale composizione del Parlamento non presenta alcuna alternativa credibile alla cosiddetta maggioranza ‘Ursula’. La presidente della Commissione, a caccia di un secondo mandato esulta: “Oggi è un grande giorno per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni e siamo un’ancora di stabilità” ha detto, aggiungendo che se è vero che gli estremi, a destra e sinistra, si sono rafforzati “il centro ha retto e abbiamo tutti un interesse per un’Europa stabile e forte”. L’ex ministra della Difesa tedesca ha reso noto che prenderà contatti con S&D e Renew Europe: “Abbiamo lavorato bene insieme negli ultimi cinque anni e costruiremo una relazione di fiducia. Nelle prossime due settimane von der Leyen avrà modo di perorare la sua causa in una serie di incontri con i leader europei, tra cui il vertice del G7 in Italia e la Conferenza per la pace in Ucraina in Svizzera. Cercherà sia il loro sostegno personale sia quello dei loro partiti in parlamento, uno scenario che al momento appare plausibile ma tutt’altro che una certezza. A un suo eventuale appoggio hanno aperto anche gli altri grandi sconfitti della tornata elettorale, i Verdi europei. Per sostenerla, tutti e tre i gruppi coinvolti nel negoziato hanno posto una sola condizione: “Ovviamente per noi non c’è posto per chi vuole demolire il progetto dell’Ue” ha dichiarato il candidato alla presidenza per S&D Nicolas Schmit. Il riferimento è all’estrema destra e ai due gruppi Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) e Identità e Democrazia (Id).
L’Unione è più debole?
A prescindere dalla maggioranza in Parlamento è difficile non pensare che questa virata a destra arrivi nel momento meno opportuno per il Vecchio Continente, sottoposto a sfide esistenziali. La risposta all’aggressione della Russia in Ucraina, il Green Deal e i cambiamenti climatici, la riforma del mercato unico, la politica industriale e di difesa, l’immigrazione sono solo alcune di queste. In questi ambiti, e forse in altri, il lavoro del Parlamento potrebbe complicarsi non poco. A farne di più le spese sarà probabilmente il processo di integrazione, con conseguenze che non possono che indebolire il progetto europeo. Certo, le due grandi famiglie europeiste hanno tenuto e dovrebbero riuscire ad esprimere una maggioranza ma non si potrà fare finta di niente, perché la maggior parte del potere dell’Europa risiede ancora nelle capitali degli Stati che la compongono: la Francia, come la Germania ne escono terremotate. E poi c’è l’incognita americana con il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025: tra le poche cose chiare, riguardo al tycoon c’è il fatto che dell’Europa e della Nato gliene importa poco se non pochissimo. Quanto alla Russia non sorprende che al Cremlino i risultati delle elezioni europee facciano piacere: Macron e Scholz “hanno perso miseramente – ha osservato il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin – Sarebbe giusto che si dimettessero e smettessero di prendersi gioco dei cittadini dei loro paesi”.
Il commento
di Antonio Villafranca, Vice Presidente per la Ricerca, ISPI
“Come da previsione, il vento di destra ha soffiato in quasi tutta Europa travolgendo Macron in Francia e Scholz in Germania. Un vento forte ma non in grado di cambiare il volto dell’Unione. Salvo clamorose sorprese, l’unica maggioranza possibile rimane quella tra popolari, socialisti e liberali anche se sarà probabilmente necessario trovare nuovi voti. Ma ciò non vuol dire che tutto rimarrà come prima. Il Parlamento europeo che esce dalle urne è più diviso sia dentro la tradizionale maggioranza che dentro l’opposizione. Il tutto rischia di tradursi in maggiore lentezza e complessità che non aiuterà a rendere concreti gli ambiziosi obiettivi – dalla sicurezza alle transizioni – che l’Unione si è posta nella precedente legislatura. Un rischio da evitare per non rimanere indietro rispetto agli grandi del mondo che corrono spediti.”
[ ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ]