Confusione sui controlli tra le authority, quadro penale insufficiente, approccio troppo prudente da parte della Banca d’Italia, pericolose sovrapposizioni di competenze con la Consob: quando Francesco Greco, procuratore capo di Milano, ha spiegato il 5 ottobre scorso al forum sulla giustizia di Radio24-Il Sole 24 Ore «le difficoltà che affronta chi indaga sui reati finanziari», il pensiero è andato subito allo scenario desolante che sarebbe presto riemerso dalle audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli scandali bancari. Ed è esattamente quanto sta accadendo ora.
Vuoi per le lacune normative del Testo Unico della Finanza, vuoi per le difficoltà e le incertezze create dalla continua ridefinizione delle competenze tra autorità nazionali ed europee, la sfida della Commissione non sarà solo quella di fare chiarezza sui drammatici eventi bancari degli ultimi anni. Mentre spetta alla magistratura individuare eventuali responsabilità personali nella gestione delle crisi, il compito della Commissione parlamentare sarà quello di evidenziare le lacune e gli errori nelle procedure di controllo e nelle deleghe delle responsabilità tra i regolatori. Nel caso della Banca d’Italia, per esempio, l’attenzione della Commissione si è concentrata sul ruolo di Carmelo Barbagallo in qualità di capo della Vigilanza. In realtà, pur avendo un ruolo apicale Barbagallo non è membro del Direttorio di Bankitalia: ad assumersi la responsabilità delle raccomandazioni della Vigilanza è un componente del Direttorio, nella fattispecie Fabio Panetta.
Se il capo della Vigilanza sedesse personalmente nel Direttorio (ora è solo invitato ai lavori), come peraltro avveniva in passato, scelte e responsabilità della Vigilanza sarebbero certamente più personali e dirette. Perchè non tornare dunque al vecchio sistema?
Ma i problemi procedurali e organizzativi riguardano anche la Consob. Malgrado le polemiche sui prospetti dei bond bancari rischiosi si concentrino sempre sui vertici della Commissione (Presidente, direttore generale e commissari), l’iter di approvazione delle emissioni dei bond passa attraverso l’esame di ben 5 divisioni, con il risultato di allungarne i tempi e complicarne il processo: ma soprattutto, confondendo le singole responsabilità. Non solo: se c’è colpa o dolo nell’approvazione del prospetto di un emittente non è più la Commissione ad esserne responsabile davanti alla legge, ma il solo dirigente che ha messo l’ultima firma sul documento.
Dietro la tensione tra Consob e Banca d’Italia ci sono infatti asimmetrie operative tipiche dei sistemi che hanno difficoltà ad adeguarsi ai tempi e all’evoluzione del mercato. L’organico dedicato alla vigilanza e alla tutela del risparmio, per esempio, appare del tutto sbilanciato rispetto alle aspettative e alle necessità del mandato.
Pur avendo traferito alla Bce gran parte delle proprie funzioni istituzionali, l’organico della Banca d’Italia appare chiaramente sproporzionato rispetto a quello della Consob, i cui compiti di vigilanza sul mercato mobiliare si sono invece progressivamente allargati. Bankitalia ha infatti ben 7mila dipendenti, di cui circa 4.500 nella sola amministrazione centrale: a questi vanno aggiunti altri 370 dipendenti in forza all’Ivass, l’authority assicurativa. Al contrario, pur avendo il compito di vigilare su un numero crescente di emittenti e di prodotti finanziari sempre più complessi, l’organico della Consob è fermo da tempo a 650 dipendenti, pochi per le necessità del mandato e per qualunque standard internazionale. NOn è forse giunta l’ora di affrontare anche questo tema? La Commissione ne ha ora l’occasione.
Ma i problemi non finiscono qui. Anzi, cominciano forse proprio da qui. Redistribuire funzioni, responsabilità e personale tra le authority è un passo inutile se non si affronta contestualmente la vera anomalia italiana nel sistema dei controlli finanziari: la ripartizione attuale delle funzioni tra vigilanza per finalità (Consob) e vigilanza per soggetti (attività bancaria, assicurazioni e fondi pensione sono competenza Bankitalia) ha mostrato limiti enormi non solo con gli scandali bancari ma anche con quelli industriali come Cirio e Parmalat. Di fatto, il nostro è in realtà un sistema ibrido e confuso, dove la vigilanza sulla sicurezza degli emittenti (in questo caso le banche e le assicurazioni) è nettamente separata dalla sicurezza delle loro emissioni. Questa parete divisoria è considerata come il vero fattore critico per la sicurezza del mercato e dei risparmiatori: il problema è noto a tutti da anni, ma nessuno è ancora intervenuto per risolverlo. Compito della Commissione sarà anche questo: segnalare al Parlamento l’urgenza di un riequilibrio delle competenze sulla base di un sistema di vigilanza puro.
In Europa si sta già discutendo di come riformare il sistema della vigilanza per renderlo più adeguato alle necessità del mercato. Oggi ogni Paese europeo ha dei modelli nazionali di ripartizione della vigilanza che possono essere utili per superare il nostro stallo regolatorio. Le proposte sul tavolo sono tante: c’è chi chiede di assegnare tutto all’Europa e chi sta giù sperimentando nuovi modelli organizzativi più aderenti alle caratteristiche del mercato globale. In Irlanda, per esempio, si è scelto di assegnare a una sola Super-Authority, posta sotto il coordinamento di un Comitato interdisciplinare, sia la vigilanza sulle banche che quella sul mercato mobiliare, così da evitare sovrapposizioni, gelosie e confusione di ruoli.