Tutti i grandi latitanti di Cosa Nostra, la mafia siciliana, sono sempre stati arrestati nel loro territorio in Sicilia. È una caratteristica che li distingue dai boss della ’ndrangheta o della camorra: non abbandonano la propria zona d’influenza.
Matteo Messina Denaro, arrestato ieri a Palermo presso la clinica privata La Maddalena dove stava ricevendo cure oncologiche, è solo l’ultimo esempio. Totò Riina venne arrestato 30 anni fa a Palermo; Bernardo Provenzano fu preso nella campagna di Corleone; Leoluca Bagarella, come Riina, fu arrestato nel traffico palermitano; Luciano Leggio, capo dei corleonesi prima di Riina, fu preso in una casa nel centro di Corleone.
Le ricerche di Matteo Messina Denaro si sono sempre concentrate in Sicilia, quindi, ma questo non ha reso le cose più semplici visto che è un territorio vasto e difficile da controllare. Messina Denaro era latitante dal 1993, dopo l’arresto di Riina, ma le ricerche si erano intensificate in particolare negli ultimi anni. Dell’efficiente rete di protezione di cui ha goduto per anni facevano parte affiliati alla mafia ma anche persone non mafiose che, per convenienza o anche per paura, di volta in volta hanno aiutato il boss, magari non sapendo nemmeno chi fosse.
Teresa Principato, componente della Direzione nazionale antimafia ed ex procuratrice aggiunta a Palermo, in un’intervista data tempo fa aveva detto che questa rete di protezione non esisteva solo in Italia, e l’ha definita «massonica». Vincenzo Calcara, ex capo mafioso di Castelvetrano divenuto collaboratore di giustizia, confermò in passato uno stretto rapporto tra la loggia massonica di Castelvetrano, Campobello e Trapani e la cosca mafiosa della zona. Le affiliazioni massoniche garantiscono ai mafiosi uno strumento per ottenere favori in molti campi, per avvicinare persone, per concludere affari e, quando è necessario, trovare aiuti e coperture. Secondo informazioni dei collaboratori di giustizia, mai confermate, Matteo Messina Denaro stesso sarebbe stato affiliato a una loggia massonica.
Durante la conferenza stampa tenuta dopo l’arresto di Messina Denaro, il capo della procura di Palermo Maurizio De Lucia ha detto: «C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro e le nostre indagini ora stanno puntando su questo». De Lucia non ha spiegato a chi si riferisse ma è probabile che accennasse a complicità nel mondo delle professioni sanitarie siciliane.
Le indagini che hanno portato all’arresto effettuato dal Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri, sono state spiegate da De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Sono state fondamentali le intercettazioni telefoniche e ambientali di persone sospettate di far parte della rete di protezione di Messina Denaro, ascoltando le quali tra gli investigatori è nato il sospetto che il latitante potesse essere seriamente malato. In particolare, da alcune conversazioni intercettate era emerso che Messina Denaro potesse avere un tumore.
La persona arrestata ieri insieme a Messina Denaro si chiama Giovanni Luppino: è un imprenditore incensurato, commerciante di olive residente a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. È un paese vicino a Castelvetrano, luogo di origine del boss. Nel settembre del 2022, assieme ad altre 34 persone accusate di essere fiancheggiatori di Messina Denaro, venne arrestato Francesco Luppino, anche lui di Campobello di Mazara, considerato l’uomo più vicino al boss latitante. Può darsi che Francesco e Giovanni Luppino abbiano semplicemente lo stesso cognome oppure è possibile, anche se non c’è nessuna conferma, che siano parenti e che continuando a indagare all’interno di quella famiglia si sia arrivati a individuare chi ancora aiutava il latitante ricercato.
Dopo i sospetti sulla possibile malattia, incrociando i dati del servizio sanitario siciliano e nazionale venne stilata una lista di pazienti oncologici dell’età di Messina Denaro (ha 60 anni, è nato il 26 aprile 1962). Un nome attirò l’attenzione degli investigatori: quello di Andrea Bonafede, parente di un fiancheggiatore del boss di Castelvetrano. Ha spiegato nella conferenza stampa il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros: «Nell’ultimo periodo c’è stata un’accelerazione perché via via che si scremava la lista e si scremavano le persone, ci siamo concentrati su pochi soggetti fino ad individuare quel nome e cognome. Da qui l’ipotesi che potesse essere il latitante».
Dalle indagini è risultato che Andrea Bonafede, negli ultimi due anni, aveva sostenuto due interventi al colon realizzati all’interno della clinica La Maddalena. Secondo quanto riferito da alcuni giornali, ma è un punto ancora non del tutto chiaro, gli investigatori avrebbero appurato che nel giorno in cui risultava essere stato operato nel 2021, Andrea Bonafede sarebbe stato in realtà a casa. È in questo modo che in procura si è arrivati alla convinzione che Bonafede potesse essere in realtà Matteo Messina Denaro.
L’informazione che è stata interpretata come una conferma era arrivata nelle scorse settimane, quando si è appresa la notizia che Andrea Bonafede aveva effettuato una visita oculistica all’occhio sinistro alla clinica La Maddalena. Gli investigatori sanno da tempo che Messina Denaro ha problemi proprio all’occhio sinistro.
Gli investigatori sapevano anche che ieri Messina Denaro avrebbe dovuto sottoporsi a una seduta di chemioterapia all’interno della clinica La Maddalena per una metastasi al fegato. Il latitante non è stato bloccato all’interno della struttura, ma in una via laterale: dopo essersi registrato all’accettazione era uscito per andare a bere un caffè al bar. Secondo il racconto fornito in conferenza stampa, Messina Denaro si è accorto che una strada era stata bloccata e quindi insospettito ha accelerato il passo, ma è stato presto fermato dagli agenti.
Ha raccontato Lucio Arcidiacono, colonnello dei carabinieri che ha guidato sul campo l’operazione del Ros: «Tutto è cominciato intorno alle 6:30. Sapevamo che Bonafede sarebbe andato alla clinica, ma non avevamo la certezza di chi si celava dietro quel nome. È arrivato a bordo di una Fiat Bravo bianca e si è subito diretto all’accettazione. Appena ha visto che c’era confusione e il traffico bloccato è solo tornato indietro sulla stessa stradina, ma anche dall’altra parte c’erano i miei uomini». Arcidiacono si è qualificato e ha chiesto alla persona fermata se fosse Matteo Messina Denaro. Lui ha risposto: «Sa bene chi sono io». Alla richiesta di pronunciare il suo nome, l’uomo ha detto «Mi chiamo Matteo Messina Denaro». Non era armato e non ha opposto resistenza.
Il procuratore aggiunto Paolo Guido ha detto, parlando dell’arrestato: «Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto: non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere». Alla domanda se Messina Denaro sia da considerare un malato terminale, Guido ha risposto: «Non sono uno specialista e non sono in grado di esprimermi su questo. Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto di essere curato, recupererà la seduta di chemioterapia a cui doveva sottoporsi nei prossimi giorni, in una struttura carceraria attrezzata per le cure oncologiche».
Nella notte Matteo Messina Denaro è stato trasferito all’aeroporto di Pescara: è probabile che da lì sia stato portato nella casa circondariale dell’Aquila, in località Costarelle di Preturo. Dal 1996 la struttura è adibita interamente alla custodia di detenuti sottoposti a particolari regimi di detenzione: molti sono sottoposti al regime di 41-bis.
All’Aquila sono già detenuti personaggi importanti della criminalità organizzata: i boss mafiosi Filippo Graviano, Carlo Greco e Ignazio Ribisi, il capo ’ndranghetista Pasquale Condello, i camorristi Paolo Di Lauro e Ferdinando Cesarano.
Sono stati resi noti anche alcuni particolari dell’abbigliamento di Messina Denaro al momento dell’arresto: secondo le cronache aveva al polso un orologio Franck Muller del valore di circa 35 mila euro e indossava un giubbotto imbottito marca Brunello Cucinelli.
È stata anche individuata la sua abitazione, in una palazzina a due piani nel centro di Campobello di Mazara. Le indagini si stanno ora concentrando su alcune persone che possono aver aiutato in maniera concreta negli ultimi tempi la latitanza del capomafia arrestato. Per esempio, la carta d’identità falsa intestata ad Andrea Bonafede ha il timbro autentico del comune di Campobello di Mazara. Il quotidiano La Verità, inoltre, questa mattina ha pubblicato un selfie che ritrae Messina Denaro sorridente in compagnia di un infermiere della clinica La Maddalena. Gli investigatori cercheranno di capire se qualcuno all’interno della struttura sanitaria conosceva la vera identità di Andrea Bonafede.
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