Il Rapporto Italia 2024, giunto quest’anno alla 36a edizione, ruota attorno a 6 capitoli, ciascuno dei quali offre una lettura dicotomica della realtà esaminata. Ogni capitolo è illustrato attraverso 6 saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Eurispes ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.
Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2024 sono:
Certezza/Incertezza • Costruzione/Manutenzione • Legalità/Illegalità • Identità/Smarrimento • Severità/Permissività • Memoria/Oblio
Le considerazioni generali a firma del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, che aprono il Rapporto Italia tratteggiano la situazione del Paese e offrono una lettura di alcuni dei processi di cambiamento in atto: «Nel Rapporto dello scorso anno avevamo richiamato l’attenzione sul fatto che stavamo vivendo un periodo di tempi straordinari e che questa situazione, per molti aspetti inattesa e imprevedibile, richiedeva a tutti uno sforzo di adeguamento culturale, innanzitutto, quindi politico, economico e sociale. I tempi straordinari, dunque, ai quali facciamo riferimento da alcuni anni nelle nostre analisi, stanno determinando una situazione nella quale l’incertezza e l’instabilità sono diventate una norma, in grado di condizionare ogni nostra possibilità di ulteriore sviluppo.
Abbiamo compreso che il mondo è interconnesso e siamo informati di ogni accadimento negativo in tempo reale: il punto di novità risiede, a nostro avviso, nello iato crescente fra la mole della nostra consapevolezza informata su ciò che accade nel mondo e la nostra capacità di ridurre tutte queste informazioni a dimensioni cognitivamente gestibili».
«L’Italia è al bivio in riferimento alle scelte culturali, politiche ed economiche da compiere. Serve coraggio. Non ci stancheremo mai di ripetere che la prima risposta possibile sta nel “coraggio di avere coraggio”.
Accompagniamo il nostro ragionamento con una semplice metafora. Fate uno sforzo di immaginazione e ponete di fronte ai vostri occhi una lunga strada. Una strada piena di buche: grandi e piccole, superficiali e profonde, regolari e non. Si presentano di fronte a voi due precise opzioni alternative: tappare le buche? Oppure rifare una strada nuova, magari orientandola diversamente da quella attuale, così da evitare gli ostacoli delle radici degli alberi e altri elementi naturali che alterano la sua superficie? Insomma, è preferibile l’adattamento o la trasformazione? È preferibile orientarsi verso una politica che tenta di porre un argine alle emergenze con interventi anche adatti, ma non risolutivi, oppure una riforma profonda, faticosa anche complessa, che ristrutturi in modo lungimirante e funzionale un intero sistema?
Nella risposta che diamo c’è anche la nostra idea di futuro.
Non vi è dubbio, infatti, che quando operiamo sulla linea dell’adattamento stiamo cercando di migliorare, aggiustare situazioni, consolidate nel tempo, nelle quali siamo abituati ad operare, per cercare di armonizzarle alle nuove condizioni di crescita e progresso. Ben diverso è l’approccio della trasformazione. Quando il sentiero che stiamo percorrendo ci porta di fronte ad un bivio e ci obbliga a fare delle scelte di fondo: quale direzione prendere? Quale progetto elaborare e perseguire? Quale futuro costruire?
Siamo, dunque, arrivati ad un bivio, dobbiamo scegliere: adattamento o trasformazione? Patto per la conservazione, o patto per il futuro?
Ampliamento, Varietà e Mutazione: sono tre forze della natura scatenate dalla globalizzazione moderna che nel complesso stanno generando un quadro della realtà sempre più difficile da rappresentare, capire, analizzare. Ci troviamo dunque a dover fare fronte ad una complessità multidimensionale. Circostanza, questa, da segnalare, a nostro avviso, perché spiega molti fenomeni che caratterizzano la nostra epoca straordinaria, e contribuiscono a sostenere la necessità di progettare una strada nuova piuttosto che rappezzare quella vecchia.
Le crisi obbligano alla scelta e alla decisione e in tempi normali possono avere anche un effetto benefico, ma quella di oggi non ammette alternative. Non si tratta più di optare per una soluzione emergenziale o un’altra, per tattiche diverse; il percorso possibile è uno e uno solo: trasformazione, più precisamente trasformazione sistemica, indicativa della capacità di un sistema di rigenerarsi, bloccando ed evitando per tempo ogni possibile processo involutivo di regresso.
Del resto, l’Italia ha già vissuto in passato una simile situazione di rigenerazione sistemica quando dopo il periodo della ricostruzione, seguito alla fine della Seconda guerra mondiale, visse il cosiddetto “miracolo economico” che cambiò radicalmente la struttura del Paese. Non si può non ricordare, a questo proposito, il grande valore orientativo delle politiche codificate in precisi documenti pubblici di programmazione a medio e lungo termine, piani aziendali e accordi sindacali di ampio respiro, cioè in atti costruiti da forze politiche e attori privati di sviluppo, i quali, pur in situazioni di forte contrapposizione ideologica e politica, si dimostrarono decisi e capaci nel promuovere la trasformazione sistemica dell’Italia, ancorandola a precisi valori di equità sociale diffusa.
Si è operato invece affidandosi esclusivamente al presente, al giorno per giorno, con risposte parziali, spesso improvvisate, con misure utili al massimo a tamponare qualche falla. Il nostro ormai è diventato un Paese incardinato sul presente e il “presentismo” è diventato la nostra filosofia di vita. Tuttavia, l’Italia, nonostante le sue gravi difficoltà, ha le risorse umane, culturali ed economiche per uscire da una crisi sempre più sistemica e multidimensionale. Si tratta semplicemente di superare ‒ come già scrivevamo più di dieci anni fa ‒ la subcultura del “presentismo” e proiettarsi nel futuro».
«Il bivio che ci presentano i processi di trasformazione riguarda anche l’impatto dei cambiamenti climatici sul nostro Paese, la riorganizzazione del sistema di welfare per affrontare al meglio, con una efficace e lungimirante azione di co-progettazione e co-programmazione tra Stato-Imprese-Comunità, gli effetti di medio e lungo periodo dei cambiamenti demografici, dei flussi migratori, dell’inclusione sociale, delle modifiche strutturali che si stanno registrando con sempre maggiore intensità nel mondo del lavoro e dell’istruzione.
Il bivio della trasformazione riguarda anche il contributo che il nostro Paese può dare a livello internazionale per la costruzione di un nuovo ordine multilaterale che corregga la evidente usura del sistema attuale per formarne uno più valido nella composizione dei conflitti e nella imposizione della pace. Ripeto: il dovere, la volontà e la capacità di imporre la pace, quindi, ancora, nella riduzione delle tensioni diffuse nel mondo, nel recepire e risolvere le esigenze di quelle Comunità che maggiormente soffrono dei grandi squilibri che caratterizzano le attuali dinamiche di sviluppo.
È, dunque, una volta arrivati al bivio delle trasformazioni che si possono riaffermare il primato e la capacità di programmazione e di visione della politica, dell’etica, della scienza, della cultura, in una stretta e rinnovata sinergia».
«In conclusione, tra le innumerevoli possibilità di scelta che affollano il nostro orizzonte, vogliamo mettere l’accento su tre possibili vie d’uscita.
La prima, ritornare alla centralità dell’uomo. Oggi, si parla in filosofia di nuovo umanesimo di fronte alla potenza delle tecnologie e alle accresciute incertezze del futuro che ci attende. Di fronte alla complessità odierna, vogliamo dare, attraverso le parole del sociologo Edgar Morin, un’indicazione chiara, al pari di un imperativo categorico: «Per l’uomo è tempo di ritrovare se stesso». Si tratta dell’agire umano che si fa condiviso, riscopre l’etica, la solidarietà, la responsabilità, la corresponsabilità planetaria nella salvaguardia dell’ambiente, delle risorse disponibili, dei popoli.
La seconda, ripensare i sistemi avanzati secondo criteri di redistribuzione della ricchezza. Per la creazione di un sistema più equo delle risorse e del benessere all’interno delle nazioni, dove chi ha già molto, senza perdere quel molto, può reimmettere nel circuito condiviso, nelle economie, parte della propria ricchezza senza intaccare in modo considerevole il livello di prosperità raggiunto. Una tassa del 2% sui super-ricchi ridurrebbe le disuguaglianze e raccoglierebbe risorse fondamentali per la crescita delle nazioni.
Terzo, ma non trascurabile fattore: collocare l’educazione, insieme all’educazione ai media e alle nuove tecnologie, come elemento portante delle economie in termini di capacità di produzione di ricchezza.
In ultimo, un appello, forse ambizioso – o che alcuni giudicheranno utopico – ma possibile, alla comunità di studiosi, scienziati, filosofi, economisti, teologi, storici, tecnologi, insomma al nostro sistema dei saperi, insieme alla politica e ai cittadini, di contribuire ad una riflessione collettiva e condivisa, trasversale e multidisciplinare, per immaginare e stilare un nuovo “Patto per il Futuro” che veda protagonista della trasformazione la società nella sua interezza.
A ben vedere, in questo senso, vale la pena di richiamare proprio il concetto di utopia. Ritornare, insomma, a qualcosa che somigli alla religione o alla politica ma che le superi adeguandosi ai nostri tempi. Ritornare ai disegni impossibili, alle mete ardue da raggiungere, ai progetti complessi e difficili da realizzare. Non a caso, anche se in termini mistici, Kierkegaard parlava di una necessaria tensione dell’“io reale” verso l’“io ideale” come termine ultimo di una evoluzione inarrestabile e ineludibile.
Perché l’uomo per progredire da sempre ha bisogno, prima di ogni altro elemento, della convinzione di potercela fare, di avere un obiettivo da raggiungere.
Torniamo, infine, all’idea di uomo come potenza generatrice positiva e alla necessità di costruire una nuova etica condivisa. E si può andare verso il futuro anche attingendo al passato».
Ad arricchire il Rapporto, oltre alle schede tematiche di approfondimento su diverse fenomenologie, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente osservati dall’Eurispes, tra i quali: la fiducia nelle Istituzioni; i conflitti internazionali e la crisi energetica; la situazione economica delle famiglie; il conflitto israelo-palestinese; l’Intelligenza Artificiale e i Social; l’opinione sui temi etici; i nuovi stili alimentari; il rapporto con il mondo animale e numerosi altri contenuti di stretta attualità.
Comparando i risultati con le precedenti rilevazioni dell’Eurispes emerge, rispetto allo scorso anno, un lieve miglioramento di alcuni indicatori della situazione economica delle famiglie italiane. Resta però una parte della popolazione che si trova a dover affrontare situazioni difficili come quella di non riuscire ad arrivare a fine mese senza grandi difficoltà (57,4%). Anche le bollette (33,1%), l’affitto (45,5%) e le rate del mutuo (32,1%) sono un problema per molte famiglie. D’altronde, i prezzi dei beni di consumo sono in aumento secondo il giudizio dell’83% degli italiani e questo andamento costringe a trovare degli escamotage per far quadrare i conti. Si chiede aiuto soprattutto alla famiglia d’origine (32,1%) e si usa molto l’acquisto a rate (42,7%), si pagano in nero alcuni servizi come ripetizioni, baby sitter, ecc. (33,6%) e quasi 3 italiani su 10 rinunciano a cure/interventi dentistici o controlli medici.
La maggior parte degli italiani (55,5%) ritiene che la situazione economica del Paese abbia subìto un peggioramento nel corso dell’ultimo anno, per il 18,6% la situazione è rimasta stabile, mentre solo un italiano su dieci (10%) ha indicato segnali di miglioramento. Il 15,6% non sa o non ha voluto fornire alcuna risposta. Guardando al futuro, i cittadini sono invece cauti: per il 33,2% la situazione economica italiana resterà stabile nei prossimi dodici mesi. I pessimisti, che attendono un peggioramento, sono il 31,6%, mentre il 10,8% prospetta un periodo di crescita economica. Il 40,9% dei cittadini afferma però che la situazione economica personale e familiare negli ultimi 12 mesi è rimasta stabile. Anche se con diversa intensità, complessivamente il 35,4% degli italiani denuncia un peggioramento della propria condizione economica, mentre il 14,2% parla di un miglioramento.
Poco più di uno su quattro riesce a risparmiare (28,3%), il 36,8% attinge ai risparmi per arrivare a fine mese.
Nelle difficoltà economiche alcuni sono ricorsi al sostegno di amici, colleghi e altri parenti (17,2%); il 16% ha richiesto un prestito in banca, mentre il 13,6% ha dovuto chiedere soldi in prestito a privati (non amici o parenti) con il pericolo di scivolare nelle maglie dell’usura. Diffusa la vendita online di beni e oggetti (27,5%). Il 37,6% degli italiani ha dovuto rinunciare alla baby sitter e il 24,3% alla badante. Il 15,3% ha dovuto vendere o ha perso beni come la casa o l’attività commerciale/imprenditoriale.
Si acquista molto a rate (42,7%), spesso su piattaforme online a interessi zero (21,3%). Il 14,6% ha noleggiato abiti e accessori in occasione di feste o cerimonie, e l’11,7% è tornato a vivere in casa con la famiglia d’origine. Poiché far fronte alle spese mediche mette in difficoltà nel 28,3% dei casi, le rinunce toccano anche la salute e si fa a meno di visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche (23,1%), a terapie/interventi medici (17,3%), all’acquisto di medicinali (15,9%).
Come Istituto continuiamo a caldeggiare, così come facciamo da orami vent’anni, l’introduzione del quoziente familiare come sostegno al reddito delle famiglie italiane. Il quoziente familiare, a differenza di quanto avviene oggi in Italia, dove la tassazione ha una base individuale che, a parità di reddito, penalizza le famiglie monoreddito e quelle con figli a carico, favorirebbe una riduzione delle tasse. In sostanza, ribalterebbe il sistema attuale di tassazione, basato sui redditi individuali. Questo sistema avvantaggerebbe le famiglie con figli, diventando così, seppur indirettamente, un incentivo alla natalità. L’imposizione fiscale cadrebbe, quindi, sul reddito medio pro capite, piuttosto che su quello familiare unitario. Introdurre anche in Italia il quoziente familiare secondo il modello francese potrebbe senz’altro comportare per le famiglie un risparmio medio annuo di imposta, che andrebbe ad aumentare al crescere del reddito e del numero dei componenti delle famiglie. I vantaggi sono assicurati dal fatto che le aliquote progressive verrebbero applicate sul reddito medio pro capite (per definizione inferiore) e non sul reddito di ogni componente familiare.
Probabilmente spinta da un rinnovato bisogno di sicurezza in un contesto incerto come quello attuale, torna a crescere la fiducia dei cittadini ma viene espressa, con oltre la metà dei consensi, in particolare solo per alcune Istituzioni: il Presidente della Repubblica, le Forze dell’ordine e di Polizia, le Forze Armate e l’Intelligence. Accanto a questi: la Chiesa, la Scuola, la Sanità, la Protezione civile e le Associazioni di volontariato.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, raccoglie un largo consenso in termini di fiducia espressa dai cittadini nei suoi confronti (60,8%; +8,6% rispetto al 2023).
Il Parlamento fa registrare un lieve aumento di fiducia (dal 30% del 2023 al 33,6% del 2024), ma i cittadini delusi restano la maggioranza (58%). I cittadini sono divisi sul giudizio nei confronti della Magistratura: il 47% si dice fiducioso contro il 44% degli sfiduciati e sui Presidenti di Regione (apprezzati dal 41,2% e “bocciati” nel 47,4% dei casi).
Esprimono consenso nei confronti del Governo poco più di un terzo degli italiani (36,2%), ma gli sfiduciati restano la maggioranza (55,4%).
Nel 2024, troviamo molto in alto, nella graduatoria delle Forze dell’ordine, l’Arma dei Carabinieri che, raggiungendo il 68,8% del consenso accordato dagli italiani, riprende, rispetto al 2023, ben 16 punti percentuali e torna a risultati più vicini a quelli del 2019 e del 2020. Cresce anche la Guardia di finanza: dal 55,1% dei consensi del 2023 al 66,1% del 2024 (+10%). In maniera similare, la Polizia di Stato ottiene il 10,7% in più dei consensi, passando dal 52,8% del 2023 al 63,5% del 2024.
Per quanto riguarda la Difesa, l’apprezzamento degli italiani per l’Esercito Italiano passa dal 64,3% del 2023 al 69,4% del 2024 (+5,1%). L’Aeronautica Militare cresce di quasi 10 punti (dal 64% al 73,7%), la Marina Militare di 6,4% (dal 67,5% al 73,9%). La nostra Intelligence raccoglie un consenso pari al 62,8% delle risposte e si spinge in avanti di 7,3 punti percentuali rispetto al 2023.
Per quanto riguarda gli altri Corpi, entrati più recentemente a far parte della rilevazione, troviamo in alto i Vigili del Fuoco con un larghissimo tasso di fiducia (84,1%). La Guardia Costiera arriva al 71,8% dei consensi. Torna a crescere anche la fiducia nei confronti della Polizia penitenziaria dal 53,4% dei consensi del 2023 al 59,5% del 2024. Mentre per la Polizia locale si evidenzia un aumento contenuto: dal 53,2% al 54,3%.
Tra le altre Istituzioni, pubbliche e private, che crescono nel grado di fiducia da un anno all’altro troviamo: la Chiesa Cattolica (52,1%), la Scuola (66%), il Sistema sanitario (58,3%). Aumentano i fiduciosi nelle Associazioni dei consumatori (dal 46% al 48,1%) senza tuttavia arrivare alla metà dei giudizi positivi come pure accade per la Pubblica amministrazione (dal 39,6% al 44,4%) e per le Associazioni degli imprenditori (dal 39% al 46%). Il balzo in avanti più deciso lo si registra per la Protezione civile con il 78,5% (69,9% nel 2023). Interessante anche il risultato ottenuto dall’Università (dal 64,9% al 71,8%), e dalle Associazioni che operano nel Volontariato (dal 60,6% al 68,7%).
Sono soltanto tre le Istituzioni che subiscono un calo dei consensi rispetto al 2023: i partiti che passano da una fiducia del 32,5% al 29,8%, i sindacati che diminuiscono lievemente dal 43,1% al 42,7% e le altre confessioni religiose diverse da quella cattolica (dal 38% al 34,5%).
Nel Rapporto Italia di quest’anno, l’Eurispes ha inteso esplorare, da un lato, le opinioni degli italiani rispetto al conflitto israelo-palestinese, dall’altro, la diffusione e le caratteristiche di pregiudizi antisemiti nel nostro Paese. In alcuni casi è stato possibile confrontare i dati con i risultati emersi dall’indagine condotta dall’Istituto nel 2004, a distanza quindi di ben venti anni.
L’indagine dell’Eurispes su antisemitismo e conflitto israelo-palestinese ha messo in luce i giudizi degli italiani rispetto ad alcuni temi particolari. La maggioranza, il 60,7%, non mette in discussione il diritto dello Stato d’Israele ad esistere; ma, all’interno di questa percentuale, il 32,1% sottolinea anche come ciò debba essere accanto al riconoscimento di uno Stato palestinese. Il 18,8% nega, invece, in modo netto, il diritto di esistenza dello Stato israeliano. Un quinto del campione (20,5%) non sa esprimersi in merito. Rispetto a quanto emerso nel 2004 rivolgendo la stessa domanda ai cittadini italiani, si osservano differenze non trascurabili: in particolare, solo il 2,8% negava tale diritto.
Il terrorismo islamico è indicato come l’elemento più pericoloso per una pacificazione del conflitto nella regione mediorientale (21,7%). Al secondo posto si collocano la politica del Governo guidato dal Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu (12,8%) e la politica degli Stati Uniti in Medio Oriente (12,5%), segue il conflitto tra moderati e fondamentalisti all’interno di alcuni paesi arabi (10,9%).
I sostenitori della necessità di aiuti (economici, strategici, nella fornitura di armi, ecc.) ad Israele sono una minoranza (15,9%), mentre esattamente la metà (50,1%) si dice contrario. Ben un terzo del campione (33,9%), invece, non sa o preferisce non dare una risposta a questa domanda.
Un terzo del campione (33,4%) concorda con l’affermazione secondo cui gli ebrei controllerebbero il potere economico e finanziario; 3 su 10 sono convinti che controllino i media e il 27,5% sostiene la tesi secondo cui gli ebrei determinano le scelte politiche occidentali.
Il 15,9% degli italiani sminuisce la portata della Shoah (non avrebbe prodotto così tante vittime), il 14,1% la nega.
Il 54% degli italiani giudica gli episodi di antisemitismo come indice reale di un problema e il 55,4% ritiene che siano la conseguenza della diffusione di un linguaggio basato su odio e razzismo.
Nonostante una certa cautela nel parlare di una “Terza Guerra Mondiale a pezzi”, precarietà e conflitti internazionali preoccupano gli italiani. Le risorse per la Difesa sono un argomento divisivo. La maggior parte dei cittadini non sono convinti che l’Esecutivo riuscirà a far fronte alla complessità di una serie di temi di politica interna ed estera proposti, i sostenitori invece rispecchiano numericamente la quota di quanti dichiarano la propria fiducia in questa Istituzione. I cittadini dicono “no” al Ponte sullo Stretto, alla reintroduzione del Reddito di Cittadinanza e al prolungamento del Superbonus.
A preoccupare particolarmente gli italiani sono: la precarietà lavorativa (13,8%), i conflitti internazionali (12,8%), la possibilità che si ammalino le persone care (12,5% vs 18,1% dello scorso anno), l’aumento di luce, gas e affini (12,3% contro il 16,3% del 2023), il possibile coinvolgimento dell’Italia nei conflitti internazionali (10,2%).
Il 72,6% dei rispondenti crede “poco” o “per niente” che questo Governo sarà in grado di risanare i conti pubblici (erano il 77,2% nel 2023); di tutelare il Paese dal terrorismo internazionale (59,1%, gli sfiduciati erano il 65,8% nel 2023), di contrastare la microcriminalità (61,8%, erano il 65% lo scorso anno) o la criminalità organizzata (62,1% rispetto al 66,4% del 2023). La maggioranza (il 64,9%; -3,5% rispetto alla rilevazione precedente) non crede che questo Governo sarà in grado di rilanciare i consumi, o di gestire la crisi immigrazione (68,3%; -2,6%). In linea con quanto emerso dalla precedente rilevazione, il 68,6% crede poco o per niente che l’Esecutivo saprà combattere la disoccupazione, o dare prospettive ai giovani (70,7%; -2,4%), né sostenere la natalità nelle famiglie italiane (63,4%). Anche la possibilità di aumentare i diritti dei cittadini (70,2%) e di costruire un rapporto collaborativo tra maggioranza e opposizione (74,7%) trovano un diffuso scetticismo. 6 italiani su 10 (60,7%) esprimono sfiducia nella capacità dell’Esecutivo di affermare il ruolo dell’Italia nella politica internazionale, mentre il 53,3% non è convinto della capacità di sostenere il Made in Italy nel mondo. Infine, una quota maggioritaria esprime sfiducia anche nella possibilità che questo Governo possa portare a termine una buona riforma elettorale (69%).
Il 39,1% degli italiani pensa che non sia ancora il caso di parlare di Terza Guerra Mondiale come affermato da Papa Francesco, ma che ci sia un rischio concreto. Il 26,2% è invece d’accordo, mentre il 13,6% non pensa che ci sia un rischio concreto. Infine, il 21,1% dei rispondenti non ha un’opinione precisa. Il 36,2% ritiene che in questo momento storico le spese per la Difesa rappresentino un costo, il 30,5% le vede invece come un investimento. Non ha un’opinione in merito, invece, 1 italiano su 3 (33,3%).
Ancora sui temi della sicurezza e della Difesa, gli italiani sono divisi sulla possibilità di ripristinare il servizio militare di leva per i giovani: si dichiara infatti favorevole il 50,2% degli italiani, contrario il 49,8%. Una percentuale più alta (54,4%) è invece favorevole ad addestrare volontari che, in caso di necessità, possano essere attivati per affiancare le Forze armate, mentre la maggioranza degli italiani (61,9%) è contraria al reclutamento obbligatorio al servizio militare tramite normativa o disposizione straordinaria, in vista della possibilità di difendere il Paese. Inoltre, sul tema gli italiani si dichiarano contrari (59,3% contro il 40,7%) anche all’incremento della spesa militare per garantire dotazione adeguata alla difesa del Paese.
Il 60,4% dei rispondenti è contrario alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. In maggioranza, gli italiani si dicono contrari anche alla reintroduzione del Reddito di Cittadinanza (61,2%) e al prolungamento del Superbonus per l’edilizia (58,5%). Il 52,7% del campione è contrario all’ipotesi di fissare il limite di velocità di 30 Km/h all’interno dei centri urbani, mentre il 64,6% si dichiara favorevole all’introduzione dell’educazione finanziaria a scuola.
Sul fronte dei nuovi fenomeni criminali, nell’ambito del Protocollo d’intesa tra la Direzione Centrale della Polizia Criminale e l’Eurispes, rinnovato ad aprile 2024, si è cercato di osservare il fenomeno delle gang giovanili partendo dal vissuto e dall’esperienza diretta dei cittadini.
Le gang giovanili in Italia sono composte da meno di 10 individui, in prevalenza maschi e con un’età compresa fra i 15 e i 17 anni. Nella maggior parte dei casi, i membri delle gang sono italiani. I crimini più spesso attribuiti alle gang giovanili sono reati come risse, percosse e lesioni, atti di bullismo, disturbo della quiete pubblica e atti vandalici. Secondo la rilevazione dell’Eurispes, nel 2024, quasi 4 cittadini su 10 denunciano la effettiva presenza di questo fenomeno nella zona in cui vivono, soprattutto nelle regioni del Sud (42,1%) e del Nord-Ovest (40,5%) e nei Comuni di medie e gradi dimensioni. Soprattutto i giovanissimi tra i 18 e i 24 anni affermano di essere a conoscenza della presenza di gang giovanili nel posto in cui vivono (55,7%).
Attraverso una serie di domande mirate, è stato possibile delineare un’immagine delle opinioni degli italiani sull’Intelligenza Artificiale e sui Social Network, ottenendo una panoramica chiara sul grado di informazione (decisamente scarso) e sulla percezione dei rischi associati a queste tecnologie.
Ha una vaga idea di che cosa sia l’Intelligenza Artificiale il 33,9% degli italiani e una quota simile afferma di non saperne nulla (31,9%). Fra i più informati, prevalgono quanti affermano di saperne abbastanza (25%), mentre solo uno su dieci dichiara di essere molto informato sull’argomento (9,2%). La maggioranza di chi ha dichiarato di conoscere in qualche misura l’Intelligenza Artificiale, afferma però di non averla mai provata (53,9%). Il giudizio sull’AI è generalmente positivo (65,8%), prevale l’idea che sia una tecnologia controllabile (54,1%) anche se pericolosa (57,4%) e che si sostituirà all’uomo (54,2%). Meno condivisa è l’opinione che ci pentiremo di averla creata (47,6%). Chi ha provato ad utilizzare l’AI, lo ha fatto spinto dalla curiosità di vedere come funzionasse (72,4%) e per motivi di svago/gioco (63,7%). Il 46% l’ha utilizzata per lavoro e il 41,5% per motivi di studio.
I giudizi sui Social sono invece severi: favoriscono la diffusione di fake news (78,3%); alimentano il cyberbullismo (73,3%), diffondono modelli di comportamento sbagliati (72,3%); favoriscono l’espressione dell’aggressività e della violenza verbale (69,5%); il 66,1% è convinto che danneggino la vita sociale.
Circa un intervistato su cinque è stato vittima di aggressività o ingiurie sui Social/in Rete (21,3%) e di truffe informatiche (20,7%); il 18% ha visto violata la propria privacy; poco meno sono le vittime di inganno da falsa identità (17,7%); il 14,9% ha subìto il furto di identità; il 14% cyber stalking e l’8,1% è stato vittima di revenge porn.
Il nomadismo digitale non è un fenomeno ancora diffuso nel nostro Paese, ma molti (47,3%) valuterebbero di spostarsi all’estero. Il lavoro nero invece è o è stata una realtà per 4 lavoratori su 10. Complessivamente in un terzo dei casi si denuncia la mancanza di sicurezza sul lavoro.
Meno di un decimo degli italiani (9,1%) lavora interamente da remoto in una località diversa da quella dove ha sede la sua azienda, è dunque un nomade digitale, e un 38,3% conosce persone che lo fanno. L’8,2% ha lasciato il lavoro che svolgeva per privilegiare la propria qualità della vita e le proprie inclinazioni; il 28,5% ha almeno un parente, amico, conoscente, che ha fatto questa scelta.
Il 5,2% riferisce di aver lasciato definitivamente il lavoro per la nascita di un figlio; molti di più, il 31,2%, conoscono qualcuno che lo ha fatto. Per il 6,7% la rinuncia a lavorare conseguente alla nascita di un figlio è stata temporanea; il 36,6% ha parenti, amici o conoscenti che hanno smesso di lavorare per qualche tempo.
Quasi la metà dei lavoratori italiani (47,3%) ha valutato, più o meno concretamente, l’eventualità di un trasferimento lavorativo in un paese straniero; alla base di questa ipotesi, la ricerca di migliori condizioni economiche (28,2%).
La maggioranza degli intervistati che lavorano attualmente o lo hanno fatto in passato (59,5%) afferma di non aver mai lavorato senza contratto. Tra questi, il 38,2% non accetterebbe di farlo, il 21,3%, invece, accetterebbe in caso di bisogno. Il 40,5% dichiara, invece, di aver lavorato senza contratto. Un terzo dei lavoratori denuncia la mancanza di sicurezza sul lavoro (33,8%).
L’Eurispes da diversi anni conduce un’indagine per sondare l’opinione degli italiani su argomenti di primaria importanza, i cosiddetti temi etici: l’approfondimento etico e giuridico di tali questioni è cruciale, poiché coinvolge temi intimamente legati ai diritti civili, alla libertà individuale e alla dignità umana.
Nel 2024 il 66,7% dei cittadini è favorevole all’eutanasia, il 65,3% approva l’eutanasia in caso di demenza senile, se indicato dal soggetto nelle proprie disposizioni anticipate, il 78,4% sostiene la necessità di poter aderire al testamento biologico, mentre il suicidio assistito raccoglie il 47,8% dei favorevoli.
Sul fronte della maternità, la fecondazione eterologa è largamente sostenuta come pratica medica (60%), mentre la possibilità di ricorre al cosiddetto “utero in affitto” trova riscontro presso una percentuale decisamente più bassa di italiani (37,1%), lo stesso accade per l’ipotesi dell’utero artificiale (39,9%).
Per quanto riguarda l’ampliamento dei diritti civili, la possibilità di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso vede favorevoli il 64,5% degli italiani, che in misura anche maggiore (il 69,3%) concordano con la tutela giuridica delle coppie di fatto indipendentemente dal sesso.
L’adozione di bambini anche per le coppie omosessuali continua a non essere del tutto condivisa (54,5%), anche se nel tempo le posizioni favorevoli sono notevolmente aumentate nel corso degli anni (+23,4% rispetto al 2019). L’adozione anche per i single, rispetto alla stessa possibilità per gli omosessuali, trova un maggior indice di gradimento (61,5%). Il riconoscimento dei figli di coppie dello stesso sesso (adozione del figlio del partner o dei figli nati con fecondazione eterologa o con gestazione per altri, consentite all’estero) vede gli italiani favorevoli nel 58,4% dei casi.
Rispetto alla possibilità di autorizzare il cambiamento di sesso tramite autodichiarazione dell’interessato, anche senza certificazioni mediche, solo quattro italiani su dieci sono d’accordo (40,7%). Sul riconoscimento delle identità di genere che non si rispecchiano nel femminile o nel maschile, il consenso supera la metà delle indicazioni (53,5%). Infine, legalizzazione delle droghe leggere e della prostituzione sono un’idea lontana per la maggior parte dei cittadini (i favorevoli, in entrambi i casi, non superano la metà del campione).
Nel corso dell’ultimo anno, gli sbalzi d’umore hanno rappresentato uno stato emotivo condiviso dal 60% degli italiani: circa 3 su 10 hanno cercato il supporto di uno psicologo.
Secondo i dati rilevati dall’Eurispes, nell’ultimo anno quasi 1 italiano su 5 ha assunto farmaci come ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore, antipsicotici (19,8%). Ansiolitici e tranquillanti sono tra i farmaci psicotropi più utilizzati (85,1%). Circa 3 italiani su 10 hanno cercato il supporto di uno psicologo (29,7%). Il 10,3% ha seguito sedute di terapia online. Una percentuale più bassa ha sperimentato la terapia psichiatrica (7,6%) oppure ha partecipato a terapie psicologiche di gruppo (6,7%). Il 5,3% ha indicato di aver frequentato centri di sostegno per le dipendenze. Pochi hanno praticato l’ipnosi (3,5%).
Nel corso dell’ultimo anno, gli sbalzi d’umore hanno rappresentato uno stato emotivo condiviso dal 60% degli italiani. Diffuse in egual modo l’insonnia (59%) e la sensazione di sentirsi depressi (58,9%). Inoltre, il 38% ha dichiarato di aver avuto crisi di panico. Tra tutti, i ragazzi tra i 18 e i 24 anni di età sono i più colpiti da sbalzi d’umore (72,7%), sintomi depressivi (71%), crisi di panico (51,2%).
Nell’incertezza dei nostri tempi, credere in qualcosa diventa sempre più un’urgenza per l’individuo insieme all’incessante desiderio umano di comprendere ed esercitare una qualche forma di controllo sul proprio destino. In questo senso, l’Eurispes ha voluto indagare l’idea che i cittadini hanno del mondo dell’occulto.
Il 15,9% degli italiani si è rivolto a maghi e cartomanti. Tra questi, la maggior parte lo ha fatto di persona (52%); altri, invece, hanno preferito la modalità online (21,6%). La motivazione che li ha spinti è stata soprattutto la ricerca di risposte a questioni sentimentali (24%). La consulenza ha avuto un costo al di sotto dei 100 euro nel 62% dei casi. Mentre il 36% ha dichiarato di aver speso cifre più consistenti, con il 27,9% che si colloca nella fascia di spesa compresa tra 101 e 500 euro ed il 6,9% tra 501 e 1.000 euro.
Esiste, inoltre, un quarto degli italiani (26%) che crede nel fatto che alcuni individui abbiano delle capacità sensitive. Alcuni (21,7%) si dicono convinti della possibilità di comunicare con i defunti, credono nella reincarnazione (17,8%) o che ci siano persone in grado di prevedere eventi futuri (18%). Per il 26,6% alcune persone poterebbero sfortuna, così come alcuni oggetti (27,5%). Dell’esistenza di numeri fortunati o sfortunati si dice convinto il 24,9%. D’altra parte, per il 25,9% degli italiani un po’ di scaramanzia può aiutare ad evitare eventi sfortunati. Più numerosi, infine, coloro che credono nell’esistenza di altre forme di vita nell’universo (38,1%), mentre il 25,9% ritiene veri alcuni avvistamenti ufo.
La dieta degli italiani continua a cambiare, nascono nuove abitudini e tendenze, si affermano nuovi consumi alimentari.
È vegetariano il 7,2% degli italiani, seguiti dal 2,3% di chi si dichiara vegano (complessivamente il 9,5%, erano il 6,6% nel 2023). Il 5% dichiara di essere stato vegetariano in precedenza. Tra i vantaggi di questa alimentazione ci sarebbero la sensazione di una migliore condizione fisica (86,4%), la facilità di mantenere il peso forma (73,3%), maggiore creatività in cucina (66,5%). Rimpiange invece i sapori dell’alimentazione “tradizionale” il 39,8%.
Il 36,1% dei vegetariani/vegani non si sente “mai” infastidito in presenza di persone che mangiano carne/pesce, ma nel complesso il 63,8% dice di esserlo “qualche volta”, “spesso” o “sempre”. Solo il 23,6% non ha mai notato un atteggiamento negativo e intollerante nei suoi confronti, mentre il 76,4% riporta episodi di questo tipo, anche se con diversa frequenza. Sull’altro versante, sembrerebbe esserci più tolleranza: infatti, l’86,8% di chi è onnivoro dichiara di sentirsi per nulla o poco infastidito in presenza di persone che seguono un’alimentazione vegetariana/vegana.
Tra le nuove abitudini alimentari anche le diete “senza” sempre più diffuse: i più consumati sono gli alimenti senza lattosio (30,9%), gli alimenti senza zucchero (25%), senza glutine (21%), senza lievito (18,3%) e senza uova (13,8%). Ad acquistarli sono soprattutto coloro che non sono intolleranti rispetto a coloro che hanno un’intolleranza certificata.
Tra le altre opzioni alimentari proposte, il 33,5% degli italiani dichiara di utilizzare spesso e abitualmente i mix di frutta secca e semi, il 25,2% gli alimenti proteici, il 23,5% i semi (lino, girasole, canapa, ecc.) e il 22,6% gli integratori alimentari. Gli alimenti contenenti cannabis vengono utilizzati nel 19,6% dei casi.
La presenza di animali da compagnia nelle nostre case è ormai consolidata. Gli amici animali diventano a tutti gli effetti componenti del nucleo familiare, anche in termini di cura e accudimento. I pet vengono soprattutto salvati dalla strada o scelti in un canile/gattile. L’amore per gli animali è comunque generalizzato poiché in larghissima maggioranza gli italiani continuano a dirsi contrari a caccia, vivisezione, uso delle pellicce e animali nei circhi.
In quasi una casa su quattro in Italia troviamo almeno un animale da compagnia (37,3%; +4,6% rispetto al 2023). Poco più di 4 italiani su 10 che accolgono un animale possiedono un cane (41,8%) e quasi 4 su 10 un gatto (37,7%). Il 20,3% di chi ha con sé un animale spende meno di 30 euro al mese per la sua cura e il mantenimento. Circa il 60% degli italiani, invece, effettua una spesa mensile superiore ai 30 euro ed entro i 100 euro. Dal 2015 ad oggi è sensibilmente diminuita la percentuale di coloro che riescono a spendere meno di 30 euro al mese e dai 30 ai 50 euro.
I pet vengono soprattutto salvati dalla strada o scelti in un canile/gattile/simili (39,7%), ma in un caso su quattro (25%) si è trattato di un acquisto in negozio o allevamento, mentre in uno su cinque di un regalo (20,8%).
Il 14% dei proprietari di un pet ha pensato di dare in affido il proprio animale a causa di difficoltà economiche ma di non averlo fatto, mentre il 7,1% ha dovuto prendere questa decisione. Il 13,9% ha pensato di dare in affido il proprio animale a causa delle difficoltà nel gestirlo in termini di tempo o di incompatibilità con la famiglia, ma di non aver poi proceduto in tale senso, mentre il 6,5% ha dovuto optare per l’affido ad altri. Il 20% ha rinunciato ad avere altri animali, oltre a quelli già in loro possesso, a causa di difficoltà economiche, il 29,2% ha dovuto rinunciarvi per difficoltà nel gestirli.
Per quanto riguarda i temi etici legati al mondo animale, gli italiani continuano a dire “no” alla vivisezione (76,6%), alla caccia (72,9%), alla produzione e all’uso delle pellicce (78,3%) e all’utilizzo degli animali nei circhi (78,1%).