lunedì, 25 Novembre 2024

L’ITALIA E LA CRISI LIBICA

ARTURO VARVELLI (ISPI)

Gli episodi di violenza nella capitale libica Tripoli a cavallo tra agosto e settembre 2018, proseguiti anche nelle scorse settimane, seppure con minore intensità, testimoniano due fatti. Da un lato la crisi libica continua a protrarsi nel tempo, e dall’altro l’ingovernabilità del paese – derivante dalla mancata ricostituzione del monopolio dell’uso della forza da parte di un’autorità unica e riconosciuta – appare difficilmente sovvertibile nel breve periodo. Nonostante l’esistenza del Governo di Accordo Nazionale (GNA), presente nella capitale da ormai più di due anni, le istituzioni statali, riconosciute a livello internazionale, restano deboli e confinate in una piccola parte del territorio.

A dominare il quadro libico restano le appartenenze sub-nazionali che impediscono la ricostruzione di una legittimità e di un senso di identità estesi su tutto il territorio nazionale. Il GNA sembra vittima dello stesso cartello di milizie al quale si appoggia per garantire la propria sicurezza nella capitale Tripoli, mentre la figura del Feldmaresciallo Khalifa Haftar sembra guadagnare consensi non solo ad est, dove controlla gran parte delle milizie sotto il cappello della Libyan Army, ma anche a sud e ad ovest.

In queste condizioni sembra assai improbabile che la data delle elezioni (10 dicembre) fissata al vertice di Parigi nel maggio 2018 possa essere rispettata. L’impasse istituzionale è dettata da ragioni politiche piuttosto chiare. Il summit di Parigi ha stabilito che la Costituzione provvisoria – che definisce il quadro istituzionale nel quale le elezioni si dovrebbero tenere e che è stata redatta dall’Assemblea Costituzionale – avrebbe dovuto essere approvata tramite un referendum. Ma la Camera dei Rappresentati – che risiede a Tobruk – ha votato a favore di questo referendum solamente un paio di settimane fa e la stessa data del referendum appare ancora incerta (forse entro la fine dell’anno). L’attuale impianto istituzionale previsto dalla bozza costituzionale non prevede l’eleggibilità di Haftar poiché detiene una doppia cittadinanza. La Libia ha poi bisogno di una legge elettorale parlamentare e di una legge per le presidenziali.

Ad aggravare una situazione interna già assai complessa vi è l’azione di numerosi attori esterni che, nel tentativo di orientare la situazione libica a vantaggio dei propri interessi, alimentano caos e instabilità. Il presidente francese Macron ha insistito sul rispetto della scadenza elettorale alla recente Assemblea Generale delle Nazioni Unite, mentre Stati Uniti Gran Bretagna e Italia sono apparsi decisamente contrari. Era stato più volte lo stesso inviato ONU in Libia Ghassan Salamé a lanciare allarmi sulla possibilità di mantenere lo status quo nel paese ancora a lungo.

Visto il protrarsi della situazione di stallo politico e l’inefficacia dell’azione delle Nazioni Unite per risolvere la controversia, Salamé, davanti al Consiglio di Sicurezza ONU, il 5 settembre scorso aveva avanzato una serie di alternative da mettere in campo qualora una legislazione adeguata non venga prodotta presto. Nella redazione di una sorta di “piano B” rispetto all’attuale roadmap (che prevedeva una revisione mai avvenuta dell’accordo di Skhirat del 2015) è risultata particolarmente attiva la nuova vice rappresentante speciale per la Libia la statunitense, Stephanie Williams.

In questa situazione il dossier Libia è stato affrontato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso della sua visita a New York per l’Assemblea Generale Onu e ancor prima nella visita bilaterale avuta a fine luglio con Donald Trump. In quella sede era nato il progetto della conferenza internazionale che l’Italia intende organizzare a metà novembre in Sicilia. Una conferenza che il governo vuole il più inclusiva possibile ma che, dati i tempi limitati di preparazione non può limitarsi a essere una ennesima photo opportunity, magari con qualche rappresentante libico in più rispetto ai 4 di Parigi, per poi nei fatti non tradursi in misure concrete e realmente implementabili sul campo.

Ci vuole altro. Piuttosto è meglio lavorare concretamente a una serie di azioni che concorrano a ricreare un percorso di stabilizzazione condiviso. La conferenza potrebbe rappresentare un rilancio della missione delle Nazioni Unite, non un punto d’arrivo. Per questo, ancora più fondamentale di avere Haftar e Serraj a stringersi la mano, sarebbe il fatto di trovare un accordo tra i principali attori internazionali. Solo parlando con voce univoca alle fazioni libiche, la comunità internazionale potrebbe ottenere condizioni basilari di dialogo tra di esse.

Se dalla conferenza emergesse un percorso di avvicinamento alle elezioni condiviso e chiaro nei suoi obiettivi, sarebbe un importante successo. Le difficoltà non mancano. Haftar per esempio avrebbe chiesto di permettere che la “Costituzione possa essere modificata prima del referendum” e che vengano “indette elezioni sulla base delle leggi provvisorie”, quindi senza attendere i lavori del Parlamento. Se poi vi fosse il coraggio di accogliere in maniera palese all’interno del dialogo ONU temi importanti come la suddivisione dei proventi petroliferi, una questione rimasta un po’ ipocritamente sempre sullo sfondo, o un maggior coinvolgimento degli attori militari in un percorso di integrazione nel campo della difesa, sulla scorta del tentativo lanciato dal Cairo, i passi in avanti sarebbero rilevanti.

Questa azione da parte dell’Italia richiede però una capacità di mediazione – che storicamente l’Italia ha sempre avuto – anche con quelli che vengono percepiti come i nostri “rivali”, in particolare la Francia. Convenienza e interessi devono essere identificati chiaramente e posti al centro dell’azione di politica estera ma non possono essere perseguiti in maniera velleitaria senza una dose di sano realismo e pragmatismo per raggiungere gli stessi. La comprensione delle motivazioni delle preoccupazioni altrui sulla vicenda libica, molte delle quali lecite, dalle potenze regionali sino ai nostri partner europei, potrebbe un punto di partenza per identificare un comune denominatore che ribalti il gioco a somma zero creato sinora dalle differenti e contrapposte spinte dei vari attori esterni.

CODICE ETICO E LEGALE