Il sentiero è assai stretto e occorre prudenza: basterebbe un fortunale estivo per tramutare un successo in disastro. Tuttavia, se tre indizi fanno una prova, è impossibile negare che la politica sui migranti del nuovo governo italiano vada modificando, di fatto, prassi consolidate, equilibri europei che sembravano scolpiti nel marmo e che, come marmo, stavano diventando la pietra tombale della nostra convivenza democratica, trasformando le periferie italiane in bombe sociali.
Dopo i casi delle navi Aquarius e Lifeline, anche stavolta spuntano da ore di febbrili trattative nostri partner disposti a fare i partner, condividendo cioè non più solo a chiacchiere la comune responsabilità europea di fronte alle migrazioni e accogliendo quote dei 450 profughi dell’ultimo barcone, salvati nel Mediterraneo dall’intervento di un battello della nostra Finanza e di uno di Frontex. Poco conta se saranno un terzo o più i migranti ricollocati, vale il principio sostanziale: non è azzardato ipotizzare che, nei fatti, si stia superando l’odioso regolamento di Dublino per il quale restavano inchiodati da noi (e in Grecia) tutti i richiedenti asilo del Mediterraneo. Buona notizia è la (manifestata) disponibilità di Francia e Germania a fare il loro. Ottima notizia è l’apparizione, infine, del nostro presidente del Consiglio non da semplice comparsa.
Dopo esordi in cui era davvero sembrato il mero esecutore di un contratto alieno, Giuseppe Conte ha fatto sentire la sua voce e ha determinato una svolta durante il fine settimana nelle trattative con l’Europa, forte dell’esperienza e del sostegno del ministro degli Esteri Moavero dietro cui si staglia sempre più visibile e rassicurante il profilo di Sergio Mattarella: sicché si può sostenere che, adesso più che mai, la scrivania del premier abbia una terza gamba (oltre alla leghista e alla pentastellata) da cui trarre stabilità e autonomia, con effetti che potrebbero sorprenderci parecchio in futuro. Socio di maggioranza in materia continua a essere, com’è ovvio, Matteo Salvini. Che col suo «barbarico» puntare i piedi ha determinato la crisi del politicamente corretto che ci ingessava davanti agli europei: anche stavolta il «Capitano» ha sbarrato i porti, certo con l’ennesima scommessa sulla pelle di centinaia di profughi allo stremo.
Qui sta il suo punto di forza, per ora: la sinistra è ontologicamente nell’impossibilità di perseguire soluzioni così semplici e dure (gradite forse a due terzi degli italiani); e tutte le altre soluzioni sono più complesse, hanno tempi lunghi e sono difficili da veicolare. Qui stanno però anche i limiti del salvinismo. Se vuole uscire da una estenuante estate di «casi» da cui potrebbe prima o poi saltar fuori una tragedia, Salvini ha bisogno di strategia e partner. E quanto siano sbagliati i partner che si sta scegliendo è dimostrato ancora dalle risposte del gruppo Visegrád: l’ennesimo rifiuto a collaborare dell’Ungheria di Orbán e la sortita del premier ceco Babis secondo cui la via imboccata da Conte «ci porta all’inferno» e i profughi devono restare dove stanno: da noi. Il ministro leghista è uomo di marketing e in questo periodo sta vendendo come suoi anche i successi di Minniti: i raffronti sugli sbarchi di un anno fa sono scorretti perché la svolta del ministro pd (di cui beneficia anche Salvini) iniziò appunto ad agosto 2017 e ancora oggi dispiega i suoi effetti benché gli equilibri libici di allora siano mutati. Ora, per paradosso, la scomparsa delle «odiate» navi Ong e il ritorno delle carrette del mare rendono le mosse del «Capitano» più difficili: una cosa è fermare una nave attrezzata come Aquarius, tutt’altro sarebbe respingere profughi su un barcone che affonda.
Amando però il rilancio continuo, Salvini risponde al ceco Babis: aiutateci a raccogliere tutti e a riportarli in Libia. I profughi raccolti in queste ore hanno vissuto mesi in lager libici mangiando 30 grammi di pasta al giorno. Così qui l’azzardo sembra basarsi sulla durata dell’effetto Lucifero di cui parlava su queste colonne Mauro Magatti e che pare avere ipnotizzato l’Occidente e la sua psicologia di massa: oscurando non solo il ruolo della comunità europea ma il senso stesso di comune umanità.