Bisogna sinceramente ammettere che il premier Giuseppe Conte è uno straordinario avvocato. Più che del popolo, delle cause impossibili. Riesce a tenersi in equilibrio nonostante le laceranti contraddizioni tra le parti della sua maggioranza. E, dunque, è anche un buon navigatore della politica. Cammina con insospettata leggerezza sulle uova, non solo pasquali, dei dossier di governo. Crediamo sia consapevole — anche se dalle sue parole non si evince — che dopo le elezioni europee lo scenario sarà del tutto diverso. Compreso il suo destino. Del resto sa, per esperienza legale, che un arbitrato può saltare se uno dei litiganti risulta rafforzarsi troppo rispetto all’altro. Se Matteo Salvini avrà molti più voti di Luigi Di Maio e la tentazione di mandare all’aria tutto per chiedere le elezioni anticipate. Salvo fare i conti con l’oste, che si dimentica sempre in questi scenari, cioè il presidente della Repubblica cui spetta il potere di scioglimento delle Camere (in autunno poi non si è mai votato).
Nell’intervista pubblicata dal Corriere rilasciata a Massimo Franco, Conte sostiene che il suo governo non sopravviverà al test elettorale del 26 maggio ma continuerà a essere vivo e vegeto. Si sopravvive, anzi si tira a campare (Andreotti diceva: sempre meglio che tirare le cuoia), se si tergiversa sulle questioni di fondo, si pesca nell’ambiguità, si gioca con i numeri, si nasconde un po’ di polvere sotto il tappeto.
Cioè se si fa come si è fatto in questi ultimi mesi. Solo alcuni esempi. I venti di recessione che incombono sull’economia italiana non sono solo la conseguenza della battuta d’arresto della congiuntura internazionale, ma anche il precipitato di una legge di Bilancio inadeguata. L’effetto di Quota 100 e reddito di cittadinanza sui consumi e crescita, almeno nel breve periodo, è pressoché nullo e sull’occupazione negativo. Lo spread a 250 punti incide profondamente sulla finanza pubblica, aumenta il debito, e frena l’economia. È un veleno silenzioso a rilascio costante che non può essere sottostimato come ha fatto finora, con baldanzosa sicurezza, la maggioranza. Se rimane a questo livello le conseguenze saranno ancora più negative. Non possiamo considerarla una condizione di normalità. Ci strangola. E il 26 aprile è atteso il giudizio di Standard and Poor’s.
Per preparare la prossima legge di Bilancio mancano all’appello oltre 46 miliardi, 23,1 per non aumentare le aliquote Iva, senza calcolare altri oneri, solo per rimanere nei parametri fissati con Bruxelles. Parlare di flat tax in queste condizioni appare quantomeno temerario. Il governo ha poi attribuito a Massimo Garavaglia e Laura Castelli il compito di riaprire il cantiere della spending review. Serietà vorrebbe che prima si individuassero i tagli – non dimenticando che la revisione di detrazioni e deduzioni si traduce in un aumento della tassazione – e poi si decidesse come impiegarne il ricavato. Non si può credere ancora a lungo alla favola di 18 miliardi di privatizzazioni da realizzare quest’anno e 5,5 l’anno prossimo. Sarà già un miracolo se si riuscirà a vendere sul mercato, come previsto, immobili per 950 milioni. La Cassa Depositi e prestiti non può fare più di tanto per non correre il rischio di essere riclassificata da Eurostat nel perimetro della pubblica amministrazione con conseguente esplosione del debito pubblico. E il tutto mentre lo Stato si appresta a rientrare, attraverso le Ferrovie, nel capitale di Alitalia che è già costata al contribuente tra gli 8 e 9 miliardi oltre a una «tassa occulta» su ogni biglietto emesso. Perde più di 500 milioni l’anno. Per chiedere infine l’intervento di Atlantia la cui concessione autostradale si voleva revocare dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.
La Libia è il dossier di politica estera più delicato. Il presidente del Consiglio dovrebbe richiamare gli alleati a non farne un argomento da campagna elettorale. A difendere gli interessi nazionali e la sicurezza del Paese. Oltre a mostrare agli altri un volto serio e responsabile, il più possibile unito. È troppo? No, è il minimo. Confidiamo che nelle settimane della campagna elettorale europea, Conte userà tutto il proprio prestigio per pretendere dalla sua maggioranza un po’ più di disciplina, ammesso che sia ancora possibile. Lega e Cinque Stelle non devono anteporre i propri interessi elettorali a quelli del Paese. Mettere in pericolo la stabilità per qualche percentuale di voto in più. Mangiarsi un po’ di futuro italiano buttando la palla in là. Uno sforzo di sincerità, di verità e di trasparenza, soprattutto sulle precarie condizioni finanziarie, non muterà forse il destino politico del premier ma ne salverà l’immagine e il posticino nella Storia che già gli tocca. Ne abbia cura.