L’Unione europea ieri si è rimessa in ordine di marcia dopo il rocambolesco sorteggio tra Amsterdam e Milano per assegnare l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) e tra Parigi e Dublino per l’Autorità bancaria europea (Eba). La Commissione di Jean-Claude Juncker ha annunciato che a giorni presenterà le modifiche legislative necessarie a far traslocare Ema e Eba da Londra. “Tutti si sono impegnati a fare in fretta, perché si parla di migliaia di persone che lavorano nelle agenzie e hanno bisogno di sapere che tutto questo si svolgerà in modo ordinato”, ha spiegato il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, ricordando che la procedura di voto – compreso il sorteggio in caso di parità – era stata decisa “all’unanimità” dai governi dell’Ue la scorsa estate. Il trasloco di Ema e Eba entro il 29 marzo 2019, data della Brexit, è prioritario per il buon funzionamento del mercato interno e non si poteva lasciare in balìa di interminabili negoziati politici. Di qui la scelta di una procedura-tagliola, che ha il vantaggio di preservare l’unità dei 27.
A parte lo strascico italiano, l’operazione ha avuto successo in termini di efficacia e unità. Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, su Twitter ha maledetto la sfortuna dopo aver perso al sorteggio con Parigi sull’Eba per poi subito passare a occuparsi della Brexit che, potenzialmente, ha un impatto molto più significativo per l’Irlanda dell’arrivo di 300 funzionari europei. Con la Germania bloccata dalla crisi politica interna, l’uscita del Regno Unito è l’unica cosa su cui l’Ue può mettersi d’accordo. I 27 paesi finora sono rimasti uniti sul “Brexit bill” perché sanno che, senza il contributo britannico al bilancio comunitario, o pagheranno di più o riceveranno di meno (tra i 10 e i 12 miliardi l’anno). A Bruxelles circolano simulazioni interne alla Commissione su un taglio del 30 per cento dei fondi di coesione per il dopo 2020. Ma la compattezza potrebbe iniziare a sgretolarsi lentamente, una volta che Theresa May avrà presentato la sua nuova offerta finanziaria. Quaranta miliardi di sterline sono ancora insufficienti, ma meglio dei 20 miliardi evocati negli scorsi mesi. Paesi come Olanda e Italia, malgrado la competizione sull’Ema, hanno interessi commerciali importanti nel Regno Unito e dunque fretta di passare alla seconda fase dei negoziati per definire l’accordo di libero scambio che reggerà le relazioni future e un periodo transitorio post Brexit per arrivarci. Ma altri, come Francia e Germania, insistono per la linea dura con May. Le fessure tra i 27 sulla Brexit potrebbero trasformarsi in una crepa a dicembre, quando i capi di stato e di governo saranno nuovamente chiamati a decidere se ci sono “progressi sufficienti” per passare alla seconda fase dei negoziati con Londra.
Al di là della Brexit, dietro al rocambolesco risultato sulle agenzie europee si nascondono due movimenti politico-tettonici importanti per l’Ue. Sull’Ema la disfatta di Bratislava conferma e approfondisce la crepa tra il gruppo di Visegrad e il resto del continente. Dopo l’uscita della sua capitale al primo turno di voto, la Slovacchia ha deciso di boicottare il voto su entrambe le agenzie in segno di protesta per il mancato rispetto degli equilibri geografici. L’est sembra diviso in due: da un lato i Baltici, la Slovenia, Romania e Bulgaria (molti di questi paesi hanno votato per Milano sull’Eba) vogliono integrarsi con il blocco storico; dall’altro il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia) si irrigidisce sempre di più su posizioni dogmatiche ed è pronto a boicottaggi e veti che non augurano nulla di buono per i dibattiti sul futuro dell’Ue (dai migranti all’euro). Ma a far discutere di più nei corridoi brussellesi è la sconfitta di Francoforte sull’Eba, che segna uno spostamento verso Emmanuel Macron dell’equilibrio di potere europeo nel momento in cui Angela Merkel si trova in difficoltà in Germania. Che la capitale finanziaria dell’Ue a 27 abbia ricevuto solo 4 voti (contro i 13 di Dublino e i 10 di Parigi) al secondo turno di votazioni sull’Eba lunedì evidenzia un malessere crescente verso l’egemonia politica tedesca. In quella votazione c’è stata molto più di una rivolta di piccoli e grandi, nord e sud, est e ovest: c’è stata una chiara indicazione che, malgrado la speranza di un ritorno alla stabilità merkeliana, il futuro europeo è di Macron.