La dichiarazione per l’accordo congiunto era già scritta, e i camerieri dell’hotel Metropole stavano apparecchiando la tavola per il pranzo di lavoro tra i presidenti Trump e Kim, quando l’ufficio stampa della Casa Bianca ha improvvisamente annunciato che c’era stato un cambiamento di programma. Poco a poco, i dettagli sono emersi: niente pranzo, niente dichiarazione, e conferenza stampa anticipata di due ore.
Così è fallito il vertice che doveva avvicinare Donald al premio Nobel per la pace, e soprattutto togliere dalla testa della comunità internazionale la spada di un possibile conflitto nucleare. Poco dopo il capo della Casa Banca ha spiegato che la colpa è stata delle sanzioni economiche, perché Kim aveva chiesto di eliminarle, senza però impegnarsi a distruggere anche i siti segreti del suo programma nucleare. Trump ha detto che il dialogo continua, ma non si è impegnato a tenere un terzo vertice, e i critici hanno subito sottolineato che la sua improvvisazione mette ora a rischio la stabilità internazionale.
La giornata era cominciata sotto la stella dell’ottimismo, dopo i convenevoli di mercoledì sera, con il leader nordcoreano che iniziando il vertice aveva accettato forse per la prima volta nella sua vita di rispondere alle domande dei giornalisti stranieri. È disposto – gli avevano chiesto i colleghi del pool della Casa Bianca – a denuclearizzare il suo Paese? «Se non lo fossi, non sarei qui». State discutendo anche dei diritti umani? «Parliamo di tutto», si era intromesso Trump. È pronto a scambiare l’apertura di rappresentanze diplomatiche a Washington e Pyongyang? «Sarebbe un’iniziativa benvenuta», aveva risposto Kim, nonostante i suoi assistenti stessero cercando di allontanare i reporter dalla stanza. Tutto, insomma, sembrava preparare la firma dell’accordo, che il programma della Casa Bianca aveva già previsto e annunciato per le due del pomeriggio. Invece niente.
Poco dopo, in conferenza stampa, Trump ha spiegato così il motivo: «Sono state le sanzioni. Kim voleva la totale eliminazione, ma quando gli abbiamo domandato di fare un passo ulteriore, si è fermato». Fonti informate dicono che il presidente aveva chiesto al suo interlocutore di distruggere non solo il centro nucleare di Yongbyon, ma anche gli altri reattori segreti, e il leader nordcoreano si è rifiutato di prendere impegni. «Potevo firmare l’accordo, però a quel punto abbiamo pensato che non fosse più opportuno. Certe volte devi essere pronto ad alzarti dal tavolo», come insegna il suo libro «The Art of the Deal». Il capo della Casa Bianca ha detto che non è stata una rottura traumatica: «Ci siamo stretti la mano. La relazione che abbiamo costruito resta e il dialogo prosegue». Come era accaduto con Putin, Trump ha anche creduto alle scuse di Kim per la morte dello studente americano Otto Warmbier, di cui secondo lui non era informato. Però l’appuntamento per il terzo vertice non c’è, e Donald ha detto che «potrebbe servire un po’ di tempo prima di arrivarci».
I critici del presidente, come Richard Haass del Council on Foreign Relations, hanno subito sottolineato che le relazioni internazionali non funzionano così: «È stato meglio non aver fatto l’accordo, che accettarne uno cattivo, ma il negoziato andava preparato meglio, chiarendo gli obiettivi prima di impegnare il leader». La smania di Trump per ottenere un risultato storico ha spinto Kim a forzare la sua mano. Forse dietro le quinte ha frenato anche la Cina, che non voleva concedere questo successo al capo della Casa Bianca, mentre sta negoziando con lui un accordo commerciale vitale per i suoi interessi. Il pericolo però è che questo fallimento rilanci i falchi, da entrambe le parti, riaprendo la porta al rischio di uno scontro militare.