Per anni l’istruzione è stata l’ascensore sociale, il mezzo per divenire ciò che si voleva al di là dello start di partenza
Ormai quando si parla di giovani, quali che siano e qualunque sia il modo, mi sento irrimediabilmente tirata in ballo come adulta e come insegnante.
Il racconto, di pura letteratura, come qualche esimio giornalista l’ha definito, mette in risalto un «noi» e un «voi» utilizzando un appellativo desueto: «Lanzichenecchi», capace perfettamente di palesare le distanze.
La prima cosa che mi sono chiesta leggendolo, è da quale parte della barricata sarei stata inserita, io che non indosso abiti in lino, né posseggo lussuose borse di pelle, ma una più popolare borsa in stoffa nella quale ripongo chiavi di casa e libri di scuola, nonostante avessi letto già prima dei vent’anni e nella scontata versione italiana, Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.
È un noi e un voi assai stridente che va ricordato nasce spesso dalla volontà del fato piuttosto che da doti o capacità personali.
Ciò detto, di Lanzichenecchi ne ho conosciuti parecchi, vestiti tutti uguali con tagli di capelli dal dubbio gusto e poche parole a disposizione per raccontarsi, non avendo l’abitudine a farlo, ma da loro sono giunte le lezioni più preziose.
L’ultima quest’anno, poche settimane fa come commissario esterno durante l’Esame di Stato, in una scuola di periferia, corso serale, in cui una manciata di adulti, quasi tutti con più anni di me, immaginandosi altro, nonostante gli anni persi, i pochi mezzi, un lavoro che non ti piace e una famiglia da mandare avanti, nel loro vestito migliore, in camicia a mani lunghe, ma non in lino, sfidando le temperature sahariane, si sono presentati con orgoglio all’esame.
Qualcuno penserà che questa mia riflessione parte da un fraintendimento nelle parole di Elkann, forse. Ma quale che fosse il suo intento ha dato a noi l’opportunità di riflettere sulle distanze che fingiamo di non vedere, nonostante diventino sempre più plateali. Noi e loro, qualunque sia la parte dalla quale ci troviamo.
Per anni l’istruzione è stata l’ascensore sociale, il mezzo per divenire ciò che si voleva a prescindere da quale fosse lo start di partenza. Lo è ancora? E per quanto sia sopravvissuto qualche inguaribile romantico o visionario, alla quale mi pregio di far parte, i segnali sembrano andare controcorrente, sempre più spesso nelle scuole di ogni ordine e grado classi di serie, lontane dal resto…
«Ho 19 anni, sogno di diventare un medico. L’ho immaginato da quando ero bambino, ma sarebbe più facile avere una chance frequentando costosi corsi di preparazione ai quiz di medicina, peccato che non possa permettermelo!»
A quando un ripensamento sulle scelte sino ad ora compiute? Quando arriverà il tempo per la cultura alla portata di tutti? Quando sarà garantita una partenza comune, né respingente, né escludente?
Secondo il Ministro Sangiuliano è sensato dare un costo alla cultura, tanto più viste le agevolazioni già in atto per le famiglie e per i più piccoli, ma ciò nonostante non deve essere abbastanza se c’è chi non ha mai assistito ad uno spettacolo teatrale, reputa il cinema come un lusso e avverte l’ingresso ai musei come rituale per ricchi.
Dimenticando ancora una volta che serve a costruire l’uomo intero.
In queste settimane di vacanze i miei ragazzi mi inviano le foto dei luoghi, dei monumenti, delle opere d’arte e dei musei che stanno visitando, per volontà propria o altrui. Le foto sono tutte corredate da faccine con bocche aperte e messaggi scritti in maiuscolo: – «Prof! L’abbiamo studiato» – con incredulo stupore.
È il loro compito per le vacanze, l’unico assegnato: «Entrate nei musei, nelle chiese, fotografate i monumenti, anche quelli a due passi da casa. A Settembre ripartiremo da questo!»
Così è la scuola.
Per le prossime settimane, proverò anche io a prendere appunti nel percorso da Bari verso chissà quale altrove…magari a settembre vi farò sapere!
MIRELLA CARELLA
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]