martedì, 26 Novembre 2024

Nuove vie della seta: tra UE e Cina scontro o integrazione?

Stefano Riela | Alessandro Gili (ISPI)

Europa e Cina sulle Nuove Vie della seta: due modelli a confronto per le infrastrutture del Terzo Millennio.

Negli ultimi cinque anni abbiamo familiarizzato con il progetto cinese Belt and Road Initiative(BRI), noto anche come One Belt One Road (OBOR), per migliorare i collegamenti tra la Cina e l’Europa passando per l’Asia centrale e per l’Africa. Un progetto significativo per la sua dimensione economica e geografica: investimenti per 1.000 miliardi di dollari in oltre 70 paesi rappresentanti oltre il 30% del PIL mondiale, il 62% della popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute[1].

Le cosiddette Nuove Vie della seta promuovono la realizzazione di infrastrutture quali ferrovie, autostrade, porti e oleodotti con la finalità di garantire per la Cina innanzitutto un migliore accesso alle sue esportazioni e importazioni. L’interesse per tali infrastrutture deriva dal loro potenziale utilizzo “speculare”, ovvero anche da parte dei paesi che si trovano lungo il tragitto fino all’estremo occidentale. Per l’Italia BRI è particolarmente interessante, poiché i tracciati dei collegamenti via terra e di quelli via mare confluiscono nella nostra penisola e precisamente nella Venezia di quel Marco Polo[2] che aveva seguito la Via della seta andando proprio in Cina.

Potenziare i collegamenti tra Oriente e Occidente è una necessità fisiologica se si guarda ai numeri della crescente integrazione economica. Con riferimento ai flussi commerciali, Pechino rappresenta il 35% delle esportazioni (secondo partner) e il 45 % delle importazioni (primo partner) dell’UE. Attualmente, il 70% degli scambi commerciali in valore avviene per mare e oltre il 25% per via aerea. Se si guarda al traffico ferroviario, tipologia di trasporto che BRI intende potenziare – in quanto meno costoso di quello via aerea e più veloce di quello via mare – quello da Cina a Europa è cresciuto del 450% dal 2013 al 2016 per raggiungere le 311 mila tonnellate; quello in direzione opposta è cresciuto del 250% per raggiungere le 200 mila tonnellate[3]. Sempre in valore, il traffico ferroviario nel 2017 ha raggiunto i 23 miliardi di euro (ovvero il 4% del commercio totale UE-Cina), e questo dato può più che triplicare entro il 2020. Dei 3.673 collegamenti ferroviari del 2017, più di due terzi sono operati nella direttrice Cina-Europa, coerentemente con il surplus commerciale cinese nei confronti dell’UE[4].

Figura 1 La Belt and Road Initiative

Fonte: The Economist, “Tutti a bordo della cintura e strada”, 6 maggio 2017.

Il 19 settembre 2018[5] l’UE ha presentato una sua proposta di collegamento tra Europa e Asia. L’iniziativa, denominata “Connessione Europa-Asia – Elementi essenziali per una strategia dell’UE”, è stata immediatamente approvata dal Consiglio del 15 ottobre[6] in vista del 12° summit Asia-Europa (ASEM) del 18-19 ottobre.

Una coincidenza di fattori fa sì che il progetto europeo riveli un elevato contenuto strategico, considerando: 1) la velocità della sua approvazione, 2) il suo impegno di budget nel momento in cui l’UE subirà una riduzione delle risorse disponibili con l’uscita di un paese contributore netto quale il Regno Unito, 3) gli obiettivi di connettività europei apparentemente analoghi a quelli cinesi.

La risposta europea alla BRI trova una spiegazione se si guarda al progetto cinese oltre i suoi dati quantitativi seppur impressionanti. BRI rappresenta uno dei principali strumenti di politica estera della nuova era cinese segnata dalla presidenza di Xi Jinping[7] ed è volto ad espandere l’area di influenza politica, economica e finanziaria di Pechino. In pochi anni la Cina è diventata la terza economia per Pil, sempre più vicina agli Stati Uniti e praticamente a pari livello con un’UE-27 post Brexit[8].

Le diversità che l’UE evidenzia rispetto alla Cina in materia di modello economico pone degli elementi di rischio per quanto concerne tre fasi principali di un investimento infrastrutturale: la definizione del progetto di investimento, la realizzazione dell’infrastruttura e la gestione della stessa.

Per quanto riguarda la prima fase, quella relativa alla definizione del progetto di investimento, è interessante vedere le dinamiche del gruppo noto come 16+1 dove l’1 è la Cina e i 16 sono 11 paesi membri dell’Est Europa e 5 paesi dei Balcani interessanti dal processo di allargamento[9]. L’Est Europa, in particolare, ha un forte bisogno di infrastrutturazione e la Cina ha le risorse finanziarie per occuparsene. Il problema del gruppo dei 16, nato nell’aprile 2012, risiede nella sua incapacità di funzionare come un gruppo coeso: ogni paese europeo ritiene di poter beneficiare di una relazione speciale con la Cina, la quale agisce secondo una logica di divide et impera[10]I risultati di questa influenza si sono visti recentemente nella Repubblica Ceca, in Grecia, in Ungheria e in Italia.

Gli investimenti cinesi nella Repubblica Ceca hanno conosciuto un forte incremento negli ultimi due anni, in particolare su impulso della CEFC China Energy, che ha acquisito rilevanti e diversificate partecipazioni azionarie in svariati settori dell’economia ceca[11]. Non a caso il presidente Milos Zeman ha offerto di trasformare il suo paese in una “portaerei inaffondabile” per la Cina nei mari europei[12]. Nel frattempo la Praga ha avuto modo di dimostrare la sua amicizia a Pechino vietando una manifestazione pro-Tibet in occasione di una visita del Presidente Xi nel 2016 a Praga (abbandonando quindi il suo impegno di lungo corso nei confronti dei diritti umani) e cercando di depotenziare all’interno del Consiglio europeo la portata del nuovo regolamento[13] per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’UE, dove per “esteri” Bruxelles intende sostanzialmente “provenienti dalla Cina”.

In Grecia, la China Ocean Shipping Company (COSCO) ha ottenuto il controllo per 35 anni del porto del Pireo. Dal momento dell’acquisizione cinese, avvenuta nel 2008, il porto ha conosciuto una crescita senza precedenti grazie all’apporto di nuove tecnologie e ai miglioramenti delle infrastrutture collaterali. In sei anni, il traffico portuale è cresciuto del 300%, divenendo uno dei più importanti d’Europa e punto di accesso per quello che i cinesi chiamano Land-Sea Express Route, una rete di connessioni ferroviarie che dovrebbero collegare il porto ai Balcani occidentali e al Nord Europa[14]. La Grecia ha trovato il modo di essere riconoscente nel giugno 2017, bloccando a sorpresa una dichiarazione UE alle Nazioni Unite che criticava le violazioni dei diritti umani da parte della Cina.

L’Ungheria di Viktor Orbán è stata uno dei primi paesi europei a sviluppare relazioni bilaterali con la Cina finalizzate a migliorare le relazioni commerciali e di investimento con Pechino. Una pietra miliare è stata raggiunta quando Cina, Ungheria e Serbia hanno approvato il piano di modernizzazione della ferrovia tra Belgrado e Budapest[15]. Anche l’Ungheria ha espresso la sua riconoscenza quando, nel 2016, insieme a Grecia e altri paesi ha indebolito una dichiarazione dell’UE volta a sostenere la condanna, da parte di un tribunale internazionale, delle attività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale[16].

Anche l’Italia ha recentemente trovato occasione per ribadire l’importanza dei suoi legami con la Cina. Dopo essere stato uno dei tre paesi, con Germania e Francia, a proporre un coordinamento per il controllo degli investimenti esteri nell’UE dove, come già detto, l’obiettivo era soprattutto controllare gli investimenti cinesi, Roma ha modificato il proprio orientamento[17] e ha successivamente espresso l’intenzione di depotenziare la portata del regolamento. L’Italia vede infatti nella Cina un buon partner, capace di investire e di favorire la tanto agognata crescita. 

Per quanto riguarda la seconda fase, la realizzazione dell’infrastruttura, possono emergere problemi relativi al finanziamento della stessa e alle caratteristiche della costruzione. Un caso è l’autostrada in Montenegro finanziata all’85% dalla cinese Export–Import Bank (anche nota come Exim Bank) che, dato il costo elevato per il bilancio montenegrino, potrebbe portare a un passaggio di controllo alla Cina[18]. Questo è già successo in Sri Lanka con la costruzione del porto di Hambatonta che rimarrà sotto controllo cinese fino al 2116, e si tradurrà quindi in una concessione di 99 anni in cambio di una riduzione del debito. La Malaysia ha recentemente cancellato dei progetti di oleodotti e gasdotti e ne ha sospeso altri per un valore di 23 miliardi di dollari[19] e il rischio potrebbe estendersi ad altri paesi che si sono fortemente indebitati per progetti inclusi nel disegno generale della BRI[20]. Per quanto riguarda le caratteristiche del progetto stesso vi è da considerare la questione della sostenibilità ambientale dell’infrastruttura. La Cina sta aiutando il Pakistan a rispondere ai suoi bisogni energetici finanziando la realizzazione di diverse centrali a carbone, tecnologia che è stata abbandonata da altri paesi nella stessa regione per il suo impatto ambientale[21]. Inoltre, quando i progetti non sono finanziati completamente dalle autorità cinesi (si pensi a quelli che vedono un coinvolgimento di Asian Infrastructure Investment Bank[22]) può sorgere un problema di equità se viene concessa una preferenza alle imprese cinesi in fase di realizzazione. Da diverse fonti emerge la sensazione che ci sia poca trasparenza negli appalti[23], come il caso dei lavori per l’ammodernamento della linea ferroviaria Belgrado-Budapest per il quale due società pubbliche cinesi – la China Railway International Corporation e la già citata Exim Bank – sono state scelte senza una gara pubblica[24].

Infine, per quanto riguarda la terza fase, la gestione dell’infrastruttura, è utile ricordare come alcune infrastrutture possano avere delle caratteristiche di monopolio naturale. Questo potrebbe richiedere un’efficace regolamentazione ex-ante per permettere a tutti gli operatori che gestiscono servizi di trasporto di usufruire dell’infrastruttura senza discriminazione. Lo stato di liberalizzazione del trasporto ferroviario in Europa, ancora poco sviluppato rispetto a quello aereo e marittimo, dimostra come sia importante evitare che un’integrazione verticale tra il gestore dell’infrastruttura e l’operatore del servizio possa favorire quest’ultimo a danno dei concorrenti

Considerando le tre tipologie di rischi appena evidenziati, la proposta di infrastrutturazione europea differisce dal modello cinese.

In primo luogo, per quanto riguarda la definizione del progetto di investimento, l’UE adotta un approccio che intende portare benefici a tutti i paesi dell’Unione evitando disparità di trattamento. Prova ne è la rete di trasporto nota come Trans-European Network (TEN), composta da un insieme di infrastrutture lineari (ferroviarie, stradali e fluviali) e puntuali (nodi urbani, porti, interporti e aeroporti), che interessa tutti gli attuali 28 Paesi membri e non solo. Guardando ad Oriente, l’obiettivo dell’UE è quello di potenziare le connessioni del mercato interno verso partner strategici con i quali sviluppare partenariati bilaterali per definire congiuntamente quali progetti realizzare e come realizzarli; l’obiettivo finale deve essere finalizzato a favorire il benessere e lo sviluppo di tutti i territori attraversati, dando voce alle persone interessate dai progetti, sulla base di opportune consultazioni pubbliche. L’UE, inoltre, intende agire in maniera inclusiva promuovendo una cooperazione regionale, ad esempio con l’ASEAN[25], attore fondamentale nel settore della connettività nel Sud-Est asiatico.

Figura 2 La rete di connettività TEN-T

Fonte: Commissione europea, The Core Network Corridors (TEN-T)

Il progetto europeo si distingue soprattutto per le caratteristiche dell’infrastruttura e la sua modalità di realizzazione. L’UE si fa promotrice di sistemi di connettività che rispondano alle sfide poste dai cambiamenti climatici e dal degrado ambientale, in particolare promuovendo la decarbonizzazione dell’economia e rispettando norme e standard rigorosi. Le politiche in materia di connettività dovrebbero ridurre gli effetti negativi esterni quali l’impatto ambientale, la congestione del traffico, il rumore, l’inquinamento e gli incidenti. Alla sostenibilità intesa dal punto di vista ambientale l’UE accoppia quella intesa dal punto di vista finanziario. Per facilitare il finanziamento delle opere previste, l’UE intende combinare le risorse delle istituzioni finanziarie internazionali e delle banche multilaterali di sviluppo con quelle del settore privato. Oltre alla recente esperienza del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), strumento del noto “Piano Juncker”, che è riuscito a fare leva sulle risorse pubbliche per attirare quelle private[26], l’UE ha una solida esperienza nel gestire strumenti di investimento a livello geografico quali, ad esempio, il Fondo di investimento per la politica di vicinato (NIF), il Fondo investimenti per l’Asia centrale (IFCA) e il Fondo investimenti per l’Asia (AIF). La Banca europea per gli investimenti (BEI), in quanto banca e partner dell’Unione in materia di investimenti, e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) stanno ampliando entrambe la loro attività di prestito, offrendo così nuove prospettive di cooperazione. Proprio perché l’approccio dell’UE è inclusivo e si vuole basare su standard condivisi a livello internazionale, l’obiettivo è quello di continuare la cooperazione con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale e approfondirla con la Banca asiatica di sviluppo (ADB) e con la AIIB.

Sul fronte della realizzazione delle opere, l’UE “esporterà” il suo modello basato sulla concorrenza; a tal fine un’adeguata parità di condizioni nell’accesso al mercato, l’equità e la trasparenza negli appalti pubblici, pratiche di mercato non discriminatorie e una protezione equilibrata dei diritti di proprietà intellettuale risultano essere i presupposti fondamentali. In particolare, l’UE intende adottare uno strumento per rendere gli appalti più trasparenti per condividerlo con i paesi partner[27].

Conclusioni

Nonostante la proposta europea sembri sovrapporsi geograficamente alla BRI cinese, abbiamo visto che gli obiettivi travalicano il mero aspetto trasportistico.

I due progetti si differenziano soprattutto per il modus operandi delle istituzioni coinvolte; differenze che l’UE ha voluto sottolineare in maniera esplicita nella sua proposta e che evidenziano come il supporto da parte cinese sia più facilmente accessibile in quanto meno soggetto a procedure trasparenti e a condizioni di realizzazione e gestione delle infrastrutture.

La risposta europea alla BRI è coerente con la recente proposta di regolamento per l’introduzione di un sistema coordinato di controllo europeo degli investimenti stranieri in settori strategici[28]; il destinatario de facto di tale proposta è la Cina dati i recenti flussi di investimenti in Europa e la sua natura di non economia di mercato.

Nonostante tale distanza “ideologica” è difficile pensare che non ci sia una cooperazione tra UE e Cina. Innanzitutto è necessario un approccio efficiente considerando che nel periodo 2016-2030 sono necessari oltre 20 mila miliardi di dollari per realizzare le infrastrutture relative a energia, trasporti, telecomunicazioni e gestione delle acque[29]. Sicuramente né l’UE, il cui bilancio annuale rimane poco al di sopra dell’1% del Pil europeo, né le istituzioni cinesi potranno contribuire a colmare questo gap in maniera significativa se dovessero agire unilateralmente.

Un coordinamento tra UE e Cina è quindi necessario per evitare duplicazione di opere e comunque un’integrazione tra BRI e la rete TEN-T con la sua estensione a Oriente[30] per dimensionare i tracciati in maniera tale da evitare colli di bottiglia che potrebbero richiedere anni prima di un loro effettivo potenziamento.

È l’UE stessa a porgere un ramo di ulivo alla Cina in quanto propone di rafforzare la cooperazione esistente nelle rispettive iniziative in materia di infrastrutture e sviluppo, promuovere l’applicazione dei principi dell’accesso al mercato e della parità di condizioni e basarsi sulle norme internazionali nel quadro delle iniziative riguardanti la connettività. L’UE sostiene infatti l’iniziativa “Unified Rail Law” della UNECE che mira ad unificare il regime giuridico per il trasporto di merci su rotaia in tutto il continente eurasiatico.

Quindi armonizzare gli standard ove possibile e comunque garantire l’interoperabilità tra i diversi sistemi di trasporto e comunicazione. Tale cooperazione potrebbe inoltre essere favorita dall’accordo UE-Cina sugli investimenti bilaterali le cui negoziazioni erano state lanciate nel 2013 e rivitalizzate nel 2016. La dimensione delle due parti e i principi ispiratori dei rispettivi modelli economici sono tali da non poter pronosticare un facile compromesso. Ma è responsabilità dell’UE e della Cina non lasciare nulla di intentato.

[1] Sul portale ufficiale della BRI non è facile trovare dati aggiornati in merito alla dimensione del progetto. I dati riportati sono forniti dalla Banca Mondiale, dallo studio del Parlamento europeo “The new Silk Route – opportunities and challenges for EU transport”, gennaio 2018, e dal factsheet della EBRD.

[2] Il riferimento è stato utilizzato da Robert. D. Kaplan nel suo ultimo libro “Return of Marco Polo’s World: War, Strategy, and American Interests in the Twenty-first Century”, Random House, 2018.

[3] The Economist “Le nuove rotte ferroviarie tra Cina ed Europa cambieranno i modelli commerciali”, 16 settembre 2017.

[4] Vedi Jacobowski J., Poplawski K., Kaczmarski M., The Silk Railroad. I collegamenti ferroviari UE-Cina: contesto, attori, interessi, Centro OSW per gli studi orientali, febbraio 2018.

[5] Comunicazione congiunta della Commissione Europea e Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza “Connessione Europa-Asia – Elementi essenziali per una strategia dell’UE” JOIN(2018) 31 del 19 settembre 2018.

[6] Conclusioni del Consiglio, 15 ottobre 2018.

[7] ISPI, commentario di Alessia Amighini, 31 ottobre 2018; Financial Times, “Belt and Road è la globalizzazione con caratteristiche cinesi” del 3 ottobre 2018 e Carnegie Endowment for International Peace L’approccio emergente dell’Europa all’iniziativa Cintura e strade della Cina del 19 ottobre 2018.

[8] Stime del Fondo Monetario internazionale, World Economic Outlook dell’ottobre 2018.

[9] I 16 paesi sono: Albania, Bosnia Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia.

[10] Politico.eu, “Europa, non lasciare che la Cina divida e vinca”, 20 aprile 2018.

[11] Allen-Ebrahimian E., Tamkin E. “Praga ha aperto la porta all’influenza cinese. Ora potrebbe essere necessario cambiare corso “, Foreign Policy, marzo 2018.

[12] The Economist, “Gli investimenti e l’influenza cinesi crescono in Europa”, 4 ottobre 2018.

[13] Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea. COM(2017) 487 finale del 13 settembre 2017.

[14] Pandya S., Tagliapietra S. “Gli investimenti strategici della Cina in Europa: il caso dei porti marittimi”, Bruegel, giugno 2018.

[15] Matura T. “Investimento cinese in Ungheria: pochi risultati ma grandi speranze”, in Seaman J., Huotari M., Otero-Iglesias M., Investimento cinese in Europa, IFRI e Elcano Royal Institute, dicembre 2017.

[16] Reuters, “La dichiarazione dell’UE sul Mar Cinese Meridionale riflette le divisioni”, 15 luglio 2016.

[17] Politico.eu, “Sotto pressione di bilancio, l’Italia rompe la linea commerciale dell’UE sulla Cina”, 9 novembre 2018.

[18] Reuters, “L’autostrada cinese verso il nulla” tormenta il Montenegro “, 16 luglio 2018.

[19] Financial Times “La Malesia cancella i progetti del gasdotto sostenuto dalla Cina”, 9 settembre 2018.

[20] Studio del Center for Global Development “Esaminare le implicazioni sul debito dell’iniziativa Belt and Road da una prospettiva politica”, marzo 2018.

[21] Financial Times, “Il perno del Pakistan verso il carbone per aumentare l’energia fa esplodere i critici”, 31 luglio 2018.

[22] L’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) è una banca multilaterale nata principalmente per finanziare grandi progetti infrastrutturali nel continente. La Banca ha iniziato le sue operazioni nel 2016 e attualmente coinvolge 87 Stati membri. L’istituzione dispone di un capitale di 100 miliardi di dollari, di cui quasi il 31% è cinese e il 23,2% è sottoscritto da membri esterni alla regione (l’Italia ha il 2,67%).

[23] Politico.eu “Il nuovo blocco dell’Europa orientale” “.

[24] Financial Times, “L’UE stabilisce rotta di collisione con la Cina sul progetto ferroviario” Via della seta “, 20 febbraio 2017.

[25] ASEAN, acronimo di Association of South-East Asian Nations, è stata creata nel 1967 per favorire la cooperazione economica e politica tra i paesi del Sud-est asiatico. I Paesi membri sono: Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Birmania, Laos e Cambogia

[26] Anche se si ha l’impressione che le risorse finanziarie dell’UE non sembrano adeguate alle necessità infrastrutturali dei paesi dell’Europa dell’Est, la sostanza è che gli investimenti cinesi in quell’area sono ancora molto pochi e inferiori rispetto a quelli cinesi nell’Europa occidentale e comunque l’UE rimane il principale investitore nell’ Europa dell’Est.

[27] Proposta modificata di Regolamento relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di beni e servizi dell’Unione europea ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi, COM(2016) 34 del 29 gennaio 2016.

[28] Vedi nota n. 13

[29] Asia Development Bank, “Rispondere alle esigenze delle infrastrutture in Asia”, febbraio 2017.

[30] L’UE ha esteso la rete di trasporto TEN-T ai paesi dei Balcani occidentali e, di recente, ha concordato l’estensione della TEN-T a sei paesi del partenariato orientale (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina).

CODICE ETICO E LEGALE