domenica, 24 Novembre 2024

ALLARME MIGRANTI. ORA SERVE UN’EUROPA UNITA

GOFFREDO BUCCINI (CORRIERE DELLA SERA)

La tregua è finita. Con un weekend che ha portato sulle nostre coste un quarto di tutti gli sbarchi registrati nel 2018, le migrazioni tornano questione nazionale. Proprio mentre la Francia, varando una normativa in parte più severa, ci costringe a meditare sulle nostre regole (poiché è vero che, come dice il ministro dell’Interno francese Gérard Collomb, «se Francia, Germania e Italia non hanno le stesse procedure, i flussi si indirizzano tutti dove l’asilo è più facile»). L’ulteriore destabilizzazione libica legata all’incerta sorte del generale Haftar, l’ambizione di «sindaci» o capi tribù di ricontrattare col prossimo governo gli accordi stretti a suo tempo con Marco Minniti e, più banalmente, il bel tempo sono tutti fattori che spingono verso di noi nuove ondate di profughi.

Non è più il caso di baloccarsi sul calo di arrivi dell’80 per cento che il lavoro di Minniti (peraltro assai contestato dalla sinistra radicale e da alcune organizzazioni umanitarie) aveva ottenuto. E sarebbe inoltre sconsigliabile, almeno stavolta, il consueto gioco di speculazioni politiche. Qualunque maggioranza parlamentare uscirà dalla crisi, la questione migratoria va de-ideologizzata. Proviamoci. Possiamo dare in premessa che chi vuole accogliere i migranti non progetta di «sostituirli» agli italiani? E che chi vuole respingerli non ne desidera lo sterminio? Ma che, piuttosto, ciascuno vede un solo lato di un problema che non si presta a semplificazioni?

Le ultime polemiche attorno alle navi Ong (la Proactiva di Open Arms dissequestrata a Ragusa, sconfessando il pm catanese Zuccaro) mostrano una volta in più un’opinione pubblica radicalizzata sulle estreme. Le forze politiche dovrebbero fare lo sforzo inverso: convergere sul buonsenso. Sembra ingenuità ma è calcolo. Le elezioni sono passate, Mattarella non ne consentirà di nuove a breve, fare i furbi non è solo inutile, è nocivo per tutti. È davvero impossibile un disarmo bilaterale? La svolta di Minniti ha reso meno incompatibili le posizioni. Un certo irenismo, almeno nella sinistra riformista, pare archiviato. Gli spot della destra su «pulizie di massa» e su «600 mila rimpatri» ne seguiranno la sorte alla prima prova di governo.

Resta la realtà, con le sue priorità. Prima fra tutte, l’accoglienza. Su questo batte la riforma francese (passata, con molti mal di pancia, all’Assemblea nazionale e da approvare al Senato): sei mesi (come in Germania) per tutta la procedura d’asilo, dentro o fuori, e detenzioni amministrative prolungate. In compenso, si amplia l’elenco dei Paesi «non sicuri» per il rimpatrio e si deroga sui «delitti di solidarietà» (l’assistenza volta ad assicurare vita degna agli stranieri). Da noi l’accoglienza è un disastro certificato. Per inadeguatezza dei nostri Centri, «smarriamo» migliaia di migranti. Lo Sprar (il circuito territoriale) deve diventare obbligatorio (tre Comuni su quattro non vi aderiscono, penalizzando così i Comuni virtuosi); ma il migrante che ne fuoriesce, perché viola il contratto di accoglienza o perché la sua domanda è respinta, non può essere mandato a zonzo senza lavoro né identità, pena la rivolta delle periferie, geografiche o sociali che siano. Dice Romano Carancini, sindaco pd di Macerata: «Se escono dal circuito dell’accoglienza, i migranti vanno tenuti in luoghi confinati». Può non piacere. Ma il percorso di Innocent Oseghale deve far riflettere: il nigeriano accusato della morte di Pamela Mastropietro era stato per più di un anno nello Sprar rifiutando ogni integrazione; arrestato poi per spaccio ed espulso dallo Sprar, era rimasto a Macerata sparendo dai radar per un altro anno, fino all’arresto per l’omicidio della ragazza. Così com’è, il sistema è criminogeno.

Il secondo nodo è lo sblocco dei confini con una soluzione sui ricollocamenti. Emmanuel Macron, tentando di vestire i panni di unico leader europeo, si è appena speso contro le quote di ripartizione tra gli Stati, visto che quelle quote pochi le rispettano e nulla accade: meglio premiare chi accoglie, dice. Meglio ancora sarebbe togliere fondi europei a chi (come il gruppo di Visegrad) non ottempera alle decisioni europee sbarrando le frontiere. Molto meglio se Macron stesso riaprisse le sue frontiere lasciando attraccare anche nei porti francesi le navi Ong. Tuttavia non è sempre colpa degli altri: il Censis nel rapporto 2017 bacchetta anche le lentezze burocratiche del sistema Italia nell’avviare le «relocation».

Tutti vanno salvati dal mare, zero dubbi. Ma la vera riforma va fatta in terraferma. E nessuno può farla da solo, né uno Stato né un partito. La soluzione ultima sarà stabilizzare quanti più Paesi africani sia possibile, domani. «Vaste programme», sorriderebbe De Gaulle. Nel frattempo, l’Europa deve battere un colpo tutta insieme e l’Italia, unita, deve farlo in Europa. Chi spera nel contrario, magari contando di lucrare ancora sulla disgregazione, guardi gli scontri già in atto tra fazioni di giovani, con bandiere novecentesche, fascismo e comunismo, alle frontiere o dentro le periferie delle metropoli: rischia di vincere un cumulo di macerie.

CODICE ETICO E LEGALE

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