Il conflitto Israele-Hamas può essere il punto di partenza per mettere ordine nell’attuale disordine geopolitico. E superare l’architettura internazionale creata all’indomani della Seconda guerra mondiale. Il nodo di leader all’altezza di una sfida storica.
Dal Pacifico al Mediterraneo: improvvisamente, con lo scoppio della guerra Israele-Hamas, il centro del mondo è tornato al passato. Doveva essere il Secolo Asiatico corroborato dalla crescita geopolitica e geoeconomica dell’Indo-Pacifico. Ma, in tempi di fratture e crisi permanente dell’ordine internazionale costituito dopo la Seconda Guerra mondiale, può anche accadere di essere fuorviati nelle analisi e nelle previsioni dall’attuale disordine multipolare.
Come anche dalle contraddizioni di un Occidente a guida americana che pure pareva aver ritrovato unità di intenti a fronte della sfida russa per l’Ucraina e la sfida cinese per la leadership mondiale. Il ”pivot to Asia” USA è al momento passato in secondo piano proprio a causa di Ucraina e Gaza. Il Medio Oriente è di nuovo prioritario nell’agenda della politica estera di Washington. E il processo di pace degli Accordi di Abramo è stato spazzato via (almeno per ora) da Hamas e i suoi sostenitori (Iran in prima linea).
L’Europa, sempre alla ricerca di un’identità più forte sulla scena internazionale, si è ritrovata da un giorno all’altro avvolta nella spirale di ben due fronti bellici: a Est e a Sud, con il rischio che un’escalation militare in Medio Oriente porti a una vera e propria guerra regionale. Con tutte le conseguenze del caso sul fronte di sicurezza e rotte commerciali vitali per un’economia già in difficoltà e dalla vocazione trasformatrice.
Una cesura storica?
Uno scacchiere complesso e pericoloso, in verità, per tutti gli attori internazionali: Re, Regine o pedoni che siano. Eppure, dopo la pandemia e la sfida di Putin alle porte dell’Europa, proprio la nuova guerra mediorientale potrebbe costituire una cesura storica. Il mondo si ritrova ad affrontare una crisi geopolitica potenzialmente più impattante dal punto di vista globale della stessa guerra ucraina, retrocessa oggi a confitto “locale” europeo. Un altro tassello della “depressione geopolitica”, come l’ha definita Nouriel Roubini, che potrebbe avere pesanti ripercussioni economiche e finanziarie con un ulteriore esplosivo aggravamento delle diseguaglianze, nei Paesi e tra Paesi. Un punto di non ritorno? Per uscirne oggi diventa imperativo affrontare i problemi e mettere ordine. Al passo con i tempi ma soprattutto rinunciando a parametri del passato.
A fronte del disordine globale, c’è chi dice che occorre una nuova Yalta, la conferenza in terra di Crimea con cui Roosevelt, Churchill e Stalin (nel bene e nel male) nel 1945 posero le basi del mondo post – Seconda guerra mondiale ma anche della Guerra Fredda. Significa però rifarsi a un contesto ben diverso da quello attuale. E molto diverso è anche il contesto della cosiddetta Guerra Fredda 2.0, se così la si può chiamare: oggi il “nemico numero 1” degli USA e dell’Occidente, la Cina superpotenza politica ed economica pur in difficoltà, non è certo l’URSS, potenza militare ma nano economico dei suoi tempi.
Soprattutto il mondo vive una crisi di leadership: per citare Henry Kissinger in uno degli ultimi libri della sua lunga vita (“Leadership: Six Studies in World Strategy”), a differenza del secolo scorso non ci sono grandi statisti che possano non solo risolvere i problemi attuali, ma che possano cambiare la Storia. Se ci sono, si può aggiungere, appartengono a realtà non protagoniste nel Novecento, che oggi portano avanti interessi propri e di chi vuole avere più voce in capitolo nel Terzo millennio. Una sfida definitiva al Washington Consensus, alla ricerca di un nuovo e più equo ordine mondiale basato su regole possibilmente condivise. Una sfida tra democrazie e poteri autocratici.
Ma quali i possibili scenari? E chi si siederà al tavolo di trattative ormai difficilmente rinviabili?
Nuovi elettori, vecchie contraddizioni
Particolare influenza sugli sviluppi futuri potrebbero avere gli esiti delle più di 70 elezioni che nel 2024 coinvolgeranno per la prima volta nella storia più di 4,2 miliardi di persone: dall’Unione Europea al Regno Unito, dall’India all’Indonesia, dal Messico alla attesissima Taiwan, per citarne solo alcune. Rispetto al passato, gli elettorati sono però molto cambiati: in tanti Paesi (specie in Africa) oggi viene messo in dubbio il reale funzionamento della democrazia stessa e del libero mercato.
A causa anche di un Occidente più debole che, vittima delle sue contraddizioni, non ha saputo o potuto salvaguardare la legittimità delle istituzioni internazionali (ONU in testa) e delle loro regole: lo sottolineano su “The Economist“ anche lo storico Niall Ferguson e l’ex Segretario di Stato USA Condoleezza Rice. Molte di queste elezioni non saranno libere né regolari. In ogni caso, innegabilmente la Storia verrà scritta dalle presidenziali USA del prossimo novembre: l’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca viene considerato catastrofico per il futuro delle democrazie, un solco profondo tra l’America e il mondo in generale. Con tutte le conseguenze del caso per la bilancia degli equilibri internazionali.
Economia: la sfida di Brics+ e Global South
Cambiati sono anche i pesi sulla bilancia dell’economia globale, che pende verso le nuove economie emerse o emergenti del cosiddetto Global South. In effetti per la prima volta dal 19° secolo la quota sul Pil mondiale dell’Occidente industrializzato è scesa nei dintorni del 50%. Fa proseliti il gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che coi nuovi ingressi (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran, Egitto, Etiopia e forse Argentina) peserà per il 46% della popolazione e il 29% del Pil mondiali. E dal BRICS+ è partita la sfida al sistema internazionale a guida USA.
Obiettivi dichiarati: il sistema economico- finanziario disegnato a Bretton Woods dai potentati economici del secolo scorso, la supremazia di re dollaro e dei pagamenti internazionali ad esso collegati, il potere del G7. Turchia e India sottoscrivono. Data l’eterogeneità e le contraddizioni degli sfidanti, la minaccia per ora è contenuta. Ma il cammino è avviato. Le ambizioni delle potenze emergenti (dalla Turchia all’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi all’Indonesia…) potrebbero mettere benzina nel motore.
Le regole di una nuova mappa geopolitica
Se non si troverà una via d’uscita, gli anni Venti del Terzo millennio sono dunque destinati a essere pericolosi sul piano politico come economico. Riserveranno però anche sorprese positive. La transizione energetica sta già facendo nascere nuove superpotenze green e la competizione per i materiali strategici ridisegnerà la mappa geopolitica e gli scambi globali. Sul fronte della transizione tecnologica, la rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale favorirà chi prima saprà sfruttarne i vantaggi competitivi: istituzioni, imprese e cittadini. Rispetto alla prima Guerra Fredda, sarà questa la deterrenza: innovazione tecnologica avanzata, non solo armi sia pure molto più sofisticate.
E proprio qui i protagonisti della scena mondiale potranno essere anche molto diversi da quelli del Novecento. Le frontiere nazionali sono destinate ad essere molto più porose. Sempre più influenti sono realtà non governative nel senso classico del termine. Sempre più veloce tra Paesi e continenti è lo scambio di dati che corrono lungo i cavi posati sui fondali di mari e oceani (e qui il Mediterraneo torna ancora una volta protagonista). Più veloci quindi i cambiamenti in corso. Procedere come sonnambuli col passo di sempre significa perdere in partenza la partita del futuro.
Chi siederà dunque al tavolo della riscrittura delle regole della convivenza globale? La Storia lo dirà. Come dirà quando, dove e come si svolgeranno le trattative. Certo è che i partecipanti saranno ben più dei “tre di Yalta”. Il copione in ogni caso lo scriveranno in due: America e Cina (il vertice Xi-Biden di San Francisco è stato un punto di partenza). Sull’esito finale conterà il peso dei rispettivi alleati o “simpatizzanti”. Ma questa partita di reclutamento è già in corso, in Occidente come nel sempre più ambizioso Sud del globo.
Sara Cristaldi
Co-Head, Geoeconomics Centre
[ ISPI Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ]