S’innalza ancora ulteriormente la tensione fra Russia e Ucraina, con il Cremlino che accusa le forze speciali di Kiev di essere il mandante dell’assassinio della polemista ultranazionalista Darya Dugina, mentre Zelensky suona l’allarme su una possibile escalation “particolarmente odiosa, particolarmente crudele.”
Alla fine, è arrivata l’accusa: l’opinionista politica russa ventinovenne Darya Dugina, morta sabato nell’esplosione della macchina che guidava, sarebbe stata assassinata per volontà dei servizi speciali ucraini. È quanto sostenuto dal Servizio di sicurezza federale russo (FSB), che accusa Kiev di aver assoldato una sicaria. La killer sarebbe una cittadina ucraina di 43 anni, insediata a Mosca con la propria figlia a metà luglio per spiare i movimenti di Dugina. Al momento le due sarebbero fuggite in Estonia. Sabato, prima della detonazione dell’ordigno, avrebbe seguito la vittima a un evento a cui aveva partecipato con il padre, il commentatore ultranazionalista Alexander Dugin, sostenitore di Putin.
L’Ucraina ha però finora negato ogni coinvolgimento nell’attentato, e ha anzi suonato l’allarme su una possibile recrudescenza del conflitto per possibili provocazioni russe nei prossimi giorni. La notizia sulla fuga della sospetta assassina in Estonia arriva inoltre nel mezzo di rinnovate tensioni fra Mosca e Tallin, dopo che il governo estone ha annunciato la decisione di rimuovere centinaia di monumenti sovietici e il divieto di ingresso per i cittadini russi, includendo anche coloro in possesso di un visto valido per l’area Schengen. Mykhailo Podolyak, assistente di Zelensky, ha comunque risposto all’accusa dicendo che le autorità russe vivono in “un mondo di finzione”, e che è iniziata la guerra intestina dei servizi russi.
L’ultranazionalista Dugin vero obiettivo?
Dugina stava guidando la macchina del padre quando l’esplosione l’ha avvolta fra le fiamme. Secondo gli investigatori russi, si sarebbe trattato della detonazione di un ordigno installato sotto la macchina. Nonostante Dugina dirigesse il sito United World International, definito dalWashington Post come una vera e propria pagina di disinformazione che ha fortemente supportato la guerra in Ucraina, e fosse stata anche inclusa nella lista di dirigenti soggetti alle sanzioni statunitensi, diversi analisti e amici sospettano che il vero bersaglio dell’attentato fosse il padre. Dugin ha però preso all’ultimo minuto una macchina diversa.
Un feroce critico degli Stati Uniti, Dugin è un autodichiarato filosofo e commentatore politico che ha teorizzato una guerra perpetua fra la Russia e l’occidente e rivendicato pubblicamente un riassorbimento dell’Ucraina nella Russia. Secondo il Tesoro americano, avrebbe lavorato per il reclutamento di individui con formazione militare e esperienza in combattimento sia durante la guerra del 2008 con la Georgia, che nella sollevazione della autroproclamata Repubblica popolare di Donetsk nel 2014. PerBBC News, la sua visione del mondo ruota tutto attorno all’idea che la missione della Russia sia di contrastare l’influenza degli Stati Uniti sul mondo, grazie all’aiuto dell’Iran e dei partiti Euroscettici. Già nel 2014 sosteneva che il prossimo passo doveva essere l’annessione dell’Ucraina orientale, da lui definita Nuova Russia (Novorossiya). Il suo reale legame con Vladimir Putin non è però chiaro, e la sua reale influenza sul presidente russo è stata spesso sovrastimata. Al momento, non ricopre inoltre alcuna posizione ufficiale nel governo.
La linea rossa e l’allarme di Kiev
L’importanza simbolica di un attacco contro un alleato di Putin nel distretto di Odintsovo, cuore del putinismo russo, è comunque evidente. Alcuni analisti sono però scettici sul coinvolgimento diretto dell’Ucraina: in Russia, infatti, decine di giornalisti, leader dell’opposizione e critici del governo sono stati uccisi negli anni recenti in modi sospetti. D’altro canto, dall’inizio della guerra ci sono state anche notizie di attentati esplosivi contro personalità considerate vicine al Cremlino.
A luglio, per esempio, l’amministratore responsabile di Velikyi Burluk, una cittadina a est di Kharkiv occupata dalle forze russe, è rimasto ucciso da un ordigno e le autorità regionali hanno incolpato dall’attentato dei gruppi di sabotaggio ucraini. Nonostante fosse comunque poco conosciuta al di fuori dei circoli ultranazionalistici, la paura è comunque che l’assassinio di Dugina possa marcare un punto di non ritorno – l’ennesimo – nel conflitto, allontanando ogni prospettiva di pace. Gennady Gatilov, ambasciatore russo presso l’ONU a Ginevra, ha infatti escluso una soluzione diplomatica alla guerra, affermando in una intervista alFinancial Times che Mosca si prepara a un conflitto prolungato. Per l’analista Yekaterina Shulman, l’assassinio “potrebbe essere utilizzato per mobilitare lo sdegno pubblico all’interno del paese e giustificare azioni ancora più repressive da parte dello stato.”
Il timore è che la miccia per far esplodere la situazione possa essere fornita dalla festa nazionale dell’indipendenza ucraina, che cadrà mercoledì insieme ai i sei mesi dall’inizio dell’invasione. Zelensky ha già suonato l’allarme nel suo messaggio alla nazione di domenica, avvisando che la Russia in quell’occasione potrebbe “fare qualcosa di particolarmente odioso, di particolarmente crudele”. Il presidente ucraino allude sia alla possibilità di una intensificazione degli attacchi, sia a un possibile processo agli ultimi combattenti catturati durante l’assedio dell’acciaieria Azovstal nella battaglia per conquistare Mariupol, che, secondo l’Intelligence Ucraina, la Russia starebbe programmando proprio per mercoledì.
E che costituirebbe “la linea oltre la quale ogni negoziazione diventerebbe impossibile.”Come fa notare il Washington Post, non è certo la prima volta che una delle due parti adotta una linea rossa da non varcare, atteggiamento che finora non portato ad alcun reale negoziato. Ogni celebrazione pubblica è stata comunque vietata da Kiev, mentre la città di Kharkiv ha dichiarato il coprifuoco a causa della minaccia.
L’offensiva russa ha perso slancio?
Anche se sul campo i bombardamenti non sembrano cessare di intensità, secondo l’Istituto per gli studi sulla guerra di Washington l’offensiva russa ha però probabilmente esaurito lo slancio che aveva riconquistato alla fine di luglio. L’esercito ha infatti difficoltà a capitalizzare le proprie conquiste parziali, non riuscendo a trasformarle in successi operativi significativi. Secondo il Ministro della difesa britannico, al momento la Russia “sta probabilmente incontrando anche difficoltà nel motivare le sue forze ausiliarie per supportare le proprie truppe regolari nel Donbass”.
Paradossalmente, proprio il fatto che il Cremlino non voglia riconoscere che quella in Ucraina sia una vera e propria guerra, ma continui invece a impuntarsi sul definirla “operazione speciale”, non gli conferisce la possibilità di adottare obblighi legali più stringenti per i combattenti. Ma anche sul lato ucraino, le perdite sono ormai importanti: per la prima volta, Kiev ha rivelato che 9.000 suoi soldati sono morti dall’inizio del conflitto. Di contro, la CIA ha stimato le perdite russe finora attorno alle 15.000 (anche se l’Ucraina continua a rivendicare di averne uccise il triplo). Smosso dall’impazienza per una situazione che si sta protraendo, il rischio è dunque che, pur di smuovere la situazione, Putin decida di rovesciare il tavolo. Con la centrale nucleare di Zaporizhzhia sempre in mezzo ai bombardamenti.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.