«Aiutami Ronald. Per favore aiutami». Questo l’ultimo grido disperato di Silvia Costanza Romano, la 23enne milanese, rapita da un commando armato a Chakama, villaggio rurale del Kenya a 60 chilometri da Malindi, area turistica frequentata da moltissimi italiani. I sequestratori sono andati a colpo sicuro, alla ricerca del «mgeni» (lo straniero in swahili). Hanno agito di notte, senza remore, facendosi largo con petardi e kalashnikov, sfruttando la totale assenza di sicurezza.
Ronald Kazungu Ngala, un 19enne keniota, beneficiario del programma d’istruzione della «Africa Milele», la onlus marchigiana per cui lavora Costanza, ha provato a fare di tutto per fermarli prima di scappare. «I sequestratori sono entrati minacciosi nell’ufficio chiedendomi dove fosse Costanza – la ricostruzione del ragazzo all’Associated Press – gli ho detto che era andata a prendere un caricabatterie, ma non mi hanno creduto, quando l’hanno trovata prima di legarla l’hanno schiaffeggiata. Ho provato a reagire per liberarla, ma mi hanno bastonato da dietro e sono quasi svenuto e con le poche forze rimaste sono riuscito solo a scappare».
Sparando all’impazzata, ferendo gravemente tre bambini e due abitanti del villaggio, i rapitori sono fuggiti con Costanza attraversando, probabilmente con una piroga, il fiume Galana, il secondo corso d’acqua maggiore del Kenya.
Il sequestro non è stato ancora rivendicato, ma le piste che sta seguendo la polizia keniota sono due: i pastori Orma e gli jihadisti di Al Shabaab. Secondo le prime ricostruzioni del ragazzo che ha provato a salvare Costanza, i rapitori avevano vestiti e accento molto simile alla comunità degli Orma, un gruppo di pastori semi-nomadi di religione musulmana messo a dura prova dalla siccità che ha colpito la regione. In Kenya molte etnie, a causa dei cambiamenti climatici hanno visto ridurre notevolmente il numero di bestiame e quindi gli introiti, spingendo alcuni membri ad usare le armi non più per difendere il bestiame, ma per compiere rapine in cerca di soldi. Una sorte toccata lo scorso anno anche alla scrittrice italo-keniota Kuki Gallmann salvatasi per poco dopo esser stata ferita gravemente nella sua tenuta nella contea di Lakipia.
Non è da escludere il coinvolgimento di Al-Shabaab, il gruppo terrorista di matrice qaedista somalo, responsabile degli attentati al centro commerciale Westgate di Nairobi e al campus dell’Università di Garissa, nel Nord del Kenya, Paese in prima linea nella lotta al terrorismo islamico. La cellula keniota di Al-Shabaab, nota come Jaysh al-Ayman, dal nome del suo fondatore, Maalim Ayman, un somalo considerato tra i più feroci guerriglieri dell’organizzazione jihadista, ha la sua base operativa nella foresta di Beni, distante oltre 400 chilometri dal luogo in cui Costanza è stata rapita.
Sono ormai 6 anni che nella contea di Chakama, dove opera la onlus e dove lavora la cooperante italiana, non si sono registrati rapimenti di stranieri da parte dei fondamentalisti islamici somali, che, tuttavia, hanno nei sequestri una delle loro tattiche principali per finanziare con i riscatti le loro operazioni.
Sconvolta Lilian Sora, fondatrice di «Africa Milele», la onlus dove lavora Silvia: «Non mi capacito di come sia potuto succedere, non è una zona a rischio». Diversa la versione di Davide Ciarrapica, responsabile di Orphan’s Dreams, un’altra onlus che opera in Kenya e con cui Silvia aveva lavorato per qualche mese, «le avevamo detto di non andare da sola in mezzo alla foresta», ma la giovane milanese galvanizzata dalla nuova opportunità gli avrebbe risposto: «Lì sono tutti miei amici». Tutti tranne uno, quello che, forse, l’ha venduta ai suoi rapitori.