Prima di Internet, per far arrivare i loro messaggi i lettori dovevano scrivere una lettera, comprare un francobollo e spedirla al giornale. Oggi, tra posta elettronica e social media quando il pubblico vuole sfogare la propria rabbia o la propria frustrazione non ha barriere che possano rallentare l’azione a favore del pensiero. Anche «contro» noi giornalisti. Specie quando non diamo un buon esempio.
Siamo sempre stati considerati come degli impiccioni di professione. Raccontiamo storie che non sempre la gente vuole che vengano raccontate. Ci palesiamo in momenti della vita di qualcuno che sono difficili. La gente si arrabbia. Ma c’è qualcosa che è peggiorato. I sondaggi danno la fiducia nei giornali ai minimi storici. A contribuire al clima negativo c’è la politica divisiva con la sua retorica anti-media.
Negli Usa c’è un presidente che aggredisce i giornalisti tutti i giorni e c’è chi ai giornalisti ha addirittura sparato: il mese scorso alla redazione della Capital Gazette di Annapolis si trattava di una persona disturbata, ma che tutto il Paese sia stato disposto a credere che si trattasse di un attacco al giornalismo come professione la dice lunga. Un problema non solo americano, non dimentichiamo l’attacco mortale alla redazione francese di Charlie Hebdo. E l’Italia non è esente da questo clima antagonista, dove spesso e volentieri i politici se la prendono con i giornalisti. Che a loro volta per difendersi litigano in pubblico, con il risultato di alzare i toni dello scontro. Che cosa possiamo fare per contrastare l’odio?
«Per mantenere il confronto, anche aspro, sul piano delle idee, è importante che chi fa il giornalista di mestiere non partecipi alla rissa e spieghi il proprio lavoro, chi è, che cosa fa, perché lo fa, perché è importante che lo faccia» sostiene Indira Lakshmanan, esperta di etica del giornalismo. Dobbiamo cominciare a comportarci come se la nostra vita fosse in gioco, perché lo è. Per essere persone che raccontano storie di mestiere, non siamo molto bravi a raccontare le nostre.
Il nostro ruolo non è compreso? «Forse è perché la nostra etica non è sufficientemente trasparente» dice Joy Mayer, che ha fondato Trusting News , un progetto che studia come le redazioni comunicano con il pubblico. «La nostra credibilità non è scontata, dobbiamo guadagnarci la fiducia del pubblico ogni giorno». Lo scopo del nostro lavoro è fare luce, dare voce a chi non ce l’ha e chiedere conto a chi governa. Poi esercitiamo la libertà di espressione come tutti. Ma se vogliamo che i giornalisti siano riconosciuti come cittadini da rispettare e non nemici del popolo, non dobbiamo rinunciare a dare l’esempio.