venerdì, 29 Novembre 2024

Per usare i fondi europei servono obiettivi chiari e condivisi, non una macedonia di progetti

Fabrizio Barca e Sabina De Luca [ il Sole 24 ORE ]

Fra il 16 e il 17 Settembre i vertici politici e tecnici della Commissione Europea hanno parlato con forza e in relativa sintonia sulle priorità della nostra Unione e sull’uso della Recovery and Resilience Facility (RRF), la punta di diamante della strategia “Nuova Generazione UE”. E’ bene che l’Italia tutta presti forte attenzione – non ci è parso sinora – cogliendo novità, opportunità e punti deboli. Ci serve per disegnare con intelligenza il Piano italiano, perché esso risponda alle aspirazioni e alle necessità di ridisegno dei piani di vita di milioni di noi Italiani.

Il Discorso sullo Stato dell’Unione della Presidente Ursula von der Leyen rompe la tradizione della non-politica degli ultimi anni. Coglie i dolori, i fremiti e il desiderio di certezze di 450 milioni di Europei e con un linguaggio robusto prende impegni chiari: su hub europeo della salute, trasformazione verde e digitale, idrogeno, salario minimo, razzismo. Non mette al centro disuguaglianze e giustizia sociale, ma ne tiene conto nella strategia sul fronte digitale. Coglie, infine, solo parzialmente le esperienze e le nuove strade che vengono da migliaia di pratiche sociali e comunitarie nei territori di tutta Europa.

Questi tratti sono riflessi nei documenti prodotti dalla Commissione per indirizzare l’uso della RRF (Bozza di RegolamentoGuida per i Piani di ripresa e resilienzaStrategia annuale per lo sviluppo sostenibile 2021). La debolezza di attenzione alla missione sociale e alla dimensione territoriale viene qui significativamente temperata sul piano giuridico dall’individuazione della coesione economica, sociale e territoriale come obiettivo generale. E soprattutto questi documenti fissano un metodo di utilizzo della RRF che apre speranze e opportunità. Per tre ragioni: rendono chiaro che non dai progetti bisogna partire, ma da strategie che, unendo investimenti e riforme, identifichino obiettivi motivati, espressi in termini di risultati attesi, cadenzati e monitorati nel tempo; mettono un forte accento sulle condizioni istituzionali e di contesto necessarie per fare accadere davvero le cose: confermano che la Commissione sarà assai più presente che in passato nell’accompagnare e valutare tutto ciò. Vediamo in dettaglio, partendo dalle priorità strategiche.

Sulla transizione energetica si esprime tutta la forza e la concretezza di un mandato politico coeso, un’opportunità che ci invita e obbliga a obiettivi ambiziosi. Non così sul fronte sociale. Pesa il (dichiarato) continuismo con l’impianto tradizionale del “Semestre Europeo”. Nello specificare i 4 “key principles” – sostenibilità ambientale, produttività e trasformazione digitale, equità e stabilità macro – la declinazione di equità in “fairness” si concretizza nel riferimento alle opportunità di accesso al lavoro e allo spostamento delle tasse dal lavoro ad altri cespiti, ma resta debole nelle opportunità di accesso a servizi di qualità. La “coesione economica, sociale e territoriale”, nel muovere verso gli obiettivi concreti, scivola progressivamente a comprimario di secondo piano. E soprattutto il principio sociale evapora quando si tratta di indicare i 7 “obiettivi primari” a cui mirare – in ambito ambiente, digitale e istruzione – visto che persino nel descrivere l’istruzione il solo divario preso in considerazione è quello digitale.

Nel dettagliare, poi, gli obiettivi sul fronte digitale il testo tecnico fa un passo indietro rispetto allo stesso discorso della Presidente. Assieme al Cloud Europeo e alla copertura digitale delle aree rurali, Ursula von der Layen ha posto l’obiettivo di assicurare un uso controllato e regolato degli algoritmi: non solo, dunque, sovranità nazionale sul digitale … ma “sovranità popolare”. E invece, anche negli “obiettivi primari” tutto pare risolversi con la “digitalizzazione” – “digital” prende il posto di “smart” come parola ammiccante, che può coprire ogni cosa – senza guardare ai suoi effetti sulla qualità di vita delle persone. Un obiettivo che invece deve essere centrale nel Piano italiano.

Sono limiti di indirizzo che non impediscono a un governo “progressista” di portare l’obiettivo della giustizia sociale sullo stesso piano di quello della giustizia ambientale, anche come metro ultimo di ogni trasformazione digitale. E di farlo avendo davanti l’articolo 3 della Costituzione che assegna alla “Repubblica” il compito di “rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana”, ossia a quella libertà sostanziale che è la più avanzata definizione di giustizia sociale. E, nel farlo, si ricordi che quei due obiettivi sono la condizione anche per una ripresa della produttività: obiettivo importante per un paese dove – a causa delle stesse disuguaglianze – la produttività si è fermata da tempo e il cui incremento deve aiutarci a produrre le risorse con cui ripagare i debiti accumulati. E allora, su questa strada, arriva da Bruxelles la buona notizia. I materiali della Commissione disegnano un metodo di governo della RRF che ci può aiutare assai. Se sapremo applicarlo.

Sei sono le carte da giocare che leggiamo nei documenti. Primo: in ogni “componente” del Piano si supera la tradizionale segmentazione settoriale, combinandosi molteplici misure di riforma e di investimento che siano rivolte ad un comune obiettivo in termini di benessere collettivo; l’intero Piano dovrà essere coerente e complementare con le misure finanziate da altre risorse comunitarie. Secondo: la rendicontazione non dovrà riguardare solo la spesa – con riguardo a costi stimati “ragionevoli” – ma realizzazioni e risultati attesi e loro tappe di attuazione (rivedibili in modo motivato); è una svolta per l’Italia, visto che i pagamenti bi-annuali verranno effettuati in relazione alle “prove dei progressi compiuti” a ogni tappa. Terzo: viene data forte enfasi alle condizioni di contesto necessarie per assicurare attuazione ed efficacia; e fra le raccomandazioni fatte all’Italia nel 2019 e 2020, accanto a requisiti da lasciare nel passato – come ulteriori flessibilità nel lavoro! – spicca il rinnovamento della PA, condizione di quella “capacità amministrativa” che la Commissione torna ora a chiederci di dimostrare.

Quarto: la democraticità del processo decisionale; nel Piano dovrà essere indicato come i partner sociali e le organizzazioni della cittadinanza attiva, da un lato, e il Parlamento e le istituzioni regionali o locali “hanno contribuito al disegno del Piano” stesso. Quinto: presidio unitario del disegno strategico e responsabilità dell’attuazione; il Piano deve fare capo a un unico soggetto coordinatore con forti poteri e documentata capacità di svolgere tale funzione, mentre la responsabilità di attuare le singole componenti può essere assegnata a singole “entità responsabili”. Sesto: forte presidio tecnico e politico da parte della Commissione; essa presidierà il lavoro di programmazione e attuazione di ogni paese per mezzo di una Task Force articolata per paesi che, pur prevedendo un ruolo della Direzione finanziaria – dove si concentra il continuismo culturale col passato – farà capo direttamente alla Presidente della Commissione.

Si tratta di indicazioni chiare di metodo per il lavoro dell’Italia tutta nelle prossime settimane e mesi. Lo schieramento di forze della Commissione ci dice che al suo filtro non passerebbe certo un Piano che fosse palesemente frutto di una macedonia di progetti priva di strategia e obiettivi chiari e condivisi o che non indicasse un radicale rinnovamento degli strumenti attuativi. Sono indicazioni che si sposano e valorizzano ciò che il ForumDD lo scorso 24 luglio ha proposto al Governo e a tutto il paese in un suo Documento. Assieme ne escono chiare raccomandazioni al Governo, a Regioni e Comuni e all’intero partenariato. Che così riassumiamo:

• Completare la rimozione dal tavolo di lavoro della massa di progetti che il Governo ha raccolto nella sua “falsa partenza” per ripartire dall’individuazione di obiettivi prioritari, proseguendo nella strada di ravvedimento intrapresa con le Linee Guida italiane da poco prodotte. Nel farlo, tenere conto dei contributi strategici che il ForumDD e molte altre alleanze sociali e centri di competenza hanno messo e stanno mettendo sul tavolo. Alcuni esempi di cosa intendiamo per “obiettivi”: Abbattere la povertà educativa; Assicurare a tutti una cura socio-sanitaria di prossimità; Prevenire e renderci resilienti alle catastrofi naturali; Superare emergenza, sovraffollamento e degrado abitativo; Aprire alle PMI l’accesso all’innovazione tecnologica; Orientare la trasformazione digitale alla giustizia sociale, garantendo la sovranità popolare; Accelerare la transizione energetica, prima di tutto a favore dei più vulnerabili; Assicurare a tutti una mobilità flessibile e sostenibile; Adattare gli spazi collettivi aperti e chiusi alle nuove esigenze. Fatto questo passo, i progetti sin qui raccolti potranno essere riconsiderati insieme a molti altri, ma solo in relazione alle priorità e obiettivi stabiliti.

• Dare unitarietà effettiva al governo del Piano – non appare così oggi – coinvolgendo tutte le risorse umane del centro competenti nella programmazione comunitaria e aprire un dialogo quotidiano, con Regioni e Comuni.

• Nel disegno e attuazione del Piano, affidare un ruolo di primo piano alle imprese pubbliche, le sole che hanno competenze tecniche, scala e robustezza manageriale per disegnare e dare attuazione ad alcune delle priorità, segnatamente in campo energetico e digitale.

• Coinvolgere da domani, trasparentemente, sindacati, imprese e organizzazioni di cittadinanza (e loro reti) nel disegno strategico e nella identificazione di priorità, indirizzi e risultati attesi, anziché ricercarne il consenso con il bilancino del riparto dei fondi.

• Costruire da ora una tempestiva e accessibile banca dati che informi su spesa erogata, tappe di attuazione di riforme e investimenti e beneficiari, promuovendo un forte monitoraggio civico, territorio per territorio, premessa di quella valutazione dei risultati, eterna chimera del nostro sistema.

• Sfruttare due “piattaforme istituzionali” esistenti che dispongono dell’esperienza, unitarietà e competenze tecniche e attuative per svolgere un ruolo decisivo nell’attuazione di una parte del Piano: le Città Metropolitane (oltre 36% della popolazione italiana) maturate attraverso il relativo Programma comunitario e le 72 aree-progetto (17% del territorio nazionale e oltre 1000 Comuni) della Strategia Aree Interne, trasferendo responsabilità e rafforzando le tecnostrutture a livello comunale, e poi estendendo il metodo alle città di dimensione intermedia.

• Trasformare subito il rinnovamento generazionale dei pubblici dipendenti in un’innovativa e motivante strategia di reclutamento per cambiare anima e metodo alla PA, come il Forum ha proposto di fare proprio a partire dalle missioni del Piano. Un passo decisivo per renderlo credibile agli occhi dell’Europa e prima di tutto di noi Italiani.

* Forum Disuguaglianze Diversità

Fabrizio Barca e Sabina De Luca
[ il Sole 24 ORE ]