La Banca Popolare Cinese ha tagliato il tasso sui prestiti a 12 mesi dello 0,10% all’inizio di questa settimana, portandolo al 3,45%. E’ stata la prima risposta ufficiale di Pechino al crac di Evergrande, il colosso del settore immobiliare che ha presentato istanza di ristrutturazione del debito al Tribunale di New York. Nel frattempo, il cambio dello yuan contro il dollaro sosta in area 7,25. All’inizio di quest’anno, era sceso sotto 6,75. Dai massimi di allora, ha segnato un indebolimento del 7%.
Evergrande come Lehman Brothers?
La situazione è grave. Qualcuno la associa al fallimento di Lehman Brothers del settembre 2008. Per fortuna non è esattamente così. Ciò non significa che possiamo prendere alla leggera quanto stia accadendo. Il principale operatore nel comparto costruzioni in Cina, seconda economia mondiale, è andato a gambe per aria. Non solo è la spia di una situazione macroeconomica tutt’altro che solida, ma oltretutto parliamo di un’attività che incide per il 30% del PIL domestico, in nessun’altra parte nel mondo avanzato così tanto.
I mercati finanziari sono in tensione, anche perché i creditori di Evergrande sono un po’ sparsi per il mondo. Così come non fu immediato e facile capire chi e quanto detenesse dei crediti collateralizzati di Lehman, non sappiamo quanti debiti della società cinese si trovino nei portafogli dei fondi d’investimento. Se c’è una conseguenza negativa immediata, tuttavia, questa è tutta a carico del presidente Xi Jinping. Solamente pochi mesi fa era stato rieletto per un terzo storico mandato, inaugurato con toni bellicisti e minacce a mezzo mondo. Ma il settantenne capo dello stato e segretario generale del Partito Comunista Cinese dovrà rivedere le sue ambizioni.
Piani di Xi contro Occidente
In questi mesi lo abbiamo visto prodigarsi per crearsi uno spazio geopolitico amico in Asia, a partire dal Medio Oriente.
Ha guidato il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, sostiene indirettamente la Russia contro le sanzioni dell’Occidente e punta a buttare fuori gli Stati Uniti dall’Asia, tra l’altro ambendo apertamente ad annettere l’isola “ribelle” di Taiwan. Tutti questi piani, però, confliggono con quanto appena avvenuto. La Cina è un’economia esportatrice, cioè per continuare a crescere ha bisogno di vendere i suoi prodotti al resto del mondo. Gran parte delle sue esportazioni nette si hanno verso Stati Uniti ed Europa.
Le tensioni con l’Occidente di questi ultimissimi anni hanno posto fine con ogni probabilità alla lunga fase della globalizzazione degli ultimi trenta anni. Siamo passati dai mercati aperti e delocalizzazioni a vere e proprie politiche volte ad accorciare le catene di produzione. Negli Stati Uniti hanno assunto il nome di “Inflation Reduction Act” o IRA, in Europa andiamo ancora in ordine sparso, ma l’allentamento della disciplina sugli aiuti di stato è un chiaro segnale in tal senso.
Mercato interno cinese sotto-potenziato
Cosa c’entra questo con Evergrande? La Cina disporrebbe, in teoria, di un ampio mercato interno per crescere anche senza più puntare eccessivamente sulle esportazioni. In effetti, i margini di crescita vi sarebbero tutti. Pensate che i consumi delle famiglie restano intorno al 38% del PIL contro quasi il 70% negli Stati Uniti. Dunque, servirebbe che i cinesi spendessero di più per sostenere la crescita economica. Ma questo sarebbe possibile a patto di allentare la politica fiscale e/o quella monetaria. Tassi più bassi incentiverebbero i consumi e frenerebbero i risparmi.
C’è un problema: il settore privato cinese risulta già iper-indebitato per quasi il 200% del PIL. E non è difficile capire perché. Gli investimenti incidono per oltre il 40% del PIL contro una media intorno al 20% per le principali economie avanzate. In altre parole, la Cina sta sovra-investendo. In cosa? La bolla immobiliare appena esplosa ci fornisce un grosso indizio.
Non è un mistero che siano state costruite negli ultimi quindici anni città rimaste deserte e con il solo obiettivo di alimentare la speculazione sul mattone.
Evergrande lega mani a Xi
Dunque, l’idea di puntare sui consumi interni si scontra con la realtà. Non a caso, la Banca Popolare Cinese ha sì tagliato i tassi in risposta al crac di Evergrande, ma di un nonnulla. Un forte allentamento monetario riproporrebbe le cause che hanno portato all’esplosione della bolla. Questo significa che nel medio periodo Xi dovrà continuare a confidare sulle esportazioni. Ergo, dovrà andare d’accordo con quei clienti che fino all’altro giorno ha minacciato sul piano geopolitico. Pechino non può permettersi di fare a meno dell’Occidente. Non riuscirebbe a rimpiazzarlo con nessun altro cliente altrettanto ricco. Ecco perché la posizione del presidente cinese ne uscirà più debole.
Giuseppe Timpone
[ investireoggi.it ]