L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta generando enormi problemi sociali, economici e politici in tutto il mondo. Nonostante l’Ucraina non rappresentasse una grande economia globale, la guerra ha scaturito una serie di effetti indiretti – crisi alimentare, crisi energetica, crisi economica – che stanno contribuendo all’imminente recessione europea e globale oramai prospettata da esperti di geopolitica ed economica in ogni Stato.
Eppure, gli effetti collaterali a cui stiamo assistendo hanno una portata modesta, come una forte turbolenza durante un volo aereo, in confronto con le possibili conseguenze che si potrebbero avere in caso di una guerra violenta e distruttiva tra Cina e Taiwan.
Taiwan si trova all’incrocio tra il Mar Cinese Meridionale, Orientale e l’Oceano Pacifico ed è composto da un’isola di 36mila kmq, da arcipelaghi e isolette minori. Si tratta di un piccolo stato riconosciuto da meno di una ventina di Paesi nel mondo, con circa venti milioni di abitanti ma con uno tra i PIL più elevati al mondo. L’isola divenne nota a partire dal 1949 quando Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese costringendo i suoi nemici a scappare e ribellarsi nel Paese proclamando un’indipendenza mai riconosciuta dalla Cina. L’attuale presidente cinese Xi Jinping ha promesso di riunificare Taiwan alla Cina entro il 2049, centenario dalla nascita della Repubblica.
Perché un’isola di modeste dimensioni rientra nei piani strategici di USA e Cina?
La prima ragione è geopolitica. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli USA hanno eretto avamposti militari e strategici in Asia per assicurare un’influenza di lungo termine nella regione e garantire il corretto sviluppo del commercio globale. La Cina vuole sfidare l’egemonia statunitense e mira al controllo del Mar Cinese nell’ottica del perseguimento della Belt and Road Initiative. L’annessione di Taiwan permetterebbe di rivendicare il controllo delle acque territoriali e controllare uno snodo economico e militare strategico nel passaggio di merci e persone a livello globale.
La seconda e più preoccupante ragione è di natura economica. Taiwan rappresenta uno dei principali hub manifatturieri globali del mondo. Il 60% dei volumi commerciali globali transita dall’Isola. Allo stesso modo, il Paese è il principale produttore di semiconduttori con una spaventosa quota dell’80% a livello globale. I semiconduttori o “chips” sono elementi essenziali dei dispositivi elettronici, che hanno la capacità di regolare i flussi di elettricità per processare, archiviare e trasmettere dati. Essi rappresentano il sistema nervoso di molti prodotti nell’ambito tecnologico e industriale come la telefonia, l’automotive, il cloud computing, l’elettronica.
La riannessione dell’Isola di Taiwan potrebbe avere conseguenze terribili a seconda dell’esito della guerra che scaturirebbe; in particolare, possiamo individuare tre scenari: il primo, in cui la popolazione taiwanese decida di arrendersi e lasciare che la Cina riannetta Taiwan senza combattimenti; il secondo, in cui l’esercito taiwanese oppone resistenza all’avanzata cinese ma viene brevemente sopraffatto risultando in minimi danni e sconvolgimento all’isola e alle sue attività produttive; il terzo e ultimo, in cui il conflitto si trasforma in una guerra di logoramento come quello che sta succedendo in Ucraina.
Una guerra di logoramento similmente a quanto sta avvenendo con l’Ucraina, condurrebbe immediatamente a una crisi logistica e commerciale di proporzioni incalcolabili. L’interruzione nella fornitura di chips piegherebbe rapidamente l’intera industria tecnologica e automobilistica, due pilastri fondamentali dell’economia europea, americana ma anche cinese.
La rilevanza manifatturiera di Taiwan porterebbe inoltre a una ridotta offerta di beni di consumo con una significativa depressione delle vendite da parte di aziende e multinazionali a livello globale.
E la Cina? È impensabile che l’Europa e gli USA possano reagire nei confronti della Cina con la stessa veemenza adoperata col Cremlino. La Cina rappresenta uno dei principali mercati di consumo a livello globale ed è il partner chiave nei commerci globali con quasi tutti i Paesi del mondo. Non è ragionevole pensare che le multinazionali e le banche possano lasciare il mercato cinese in segno di protesta in quanto questa azione rappresenterebbe la fine dei loro business. Allo stesso modo, ogni azione governativa di “retaliation” nei confronti cinesi implicherebbe inimicarsi uno dei principali fornitori di materie prime e beni di consumo a livello globale.
Essere uno stratega economico e militare nella questione taiwanese rappresenta probabilmente una delle più grandi sfide contemporanee in quanto ogni azione per risolvere l’intricata vicenda porterà probabilmente a conseguenze molto pericolose per l’intero Pianeta.
Taiwan rappresenta l’esempio di come la globalizzazione debba essere rapidamente ripensata per non essere ostaggio di partner commerciali e logistici e acquisire indipendenza energetica, tecnologica e commerciale.
Econopoly
Post di Carlo Giannone, fondatore del blog Pillole di Politica e del podcast Finanza, Pizza e Mandolino, e di Francesco Rassu, fondatore del podcast Finanza, Pizza e Mandolino e autore per Pillole di Politica