Ma sulle Province non avevamo già dato nel 2014? E invece a distanza di ben anni cinque dalla riforma delle Province, complice la campagna elettorale europea, si scopre che la Lega di Matteo Salvini le vuole rimettere in piedi «per assicurare i servizi ai cittadini» mentre i pentastellati di Luigi Di Maio si oppongono ai «poltronifici».
Ennesima ed improvvisa giornata di polemiche. La tensione tra gli alleati ormai prevede che entrambi rilancino i rispettivi temi identitari da qui alle Europee senza esclusione di colpi. A partire, per la Lega, dall’autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Province, una riforma rimasta a metà e il flop Città Metropolitane
Niente più tregua da qui al voto di maggio: Salvini è deciso a portare il dossier in Cdm la prossima settimana o, al massimo, la successiva. Il ministro Stefani è già stato attivato. Intanto si torna a parlare di Province. Perché? Un articolo del Sole 24 Ore ieri ha rivelato l’esistenza di un tavolo tecnico-politico che sta lavorando alla riforma della riforma delle Province.
Fra le ipotesi in ballo ci sarebbe anche quella di tornare a far eleggere i presidenti delle Province e i consiglieri provinciali con elezioni popolari. L’articolo parla di 2.500 consiglieri eleggibili mentre, com’è noto, ora le 92 Province e i le 15 Città Metropolitane previste dalla riforma del 2014 sono governate da presidenti e consiglieri eletti solo dai sindaci e dai consiglieri comunali con elezioni cosiddette di secondo grado.
LA TEMPESTA
Tanto è bastato per scatenare una nuova tempesta fra leghisti e pentastellati secondo il copione per cui il loro interesse principale da settimane è quello di far sapere agli italiani che non concordano su nulla.
La tesi di Matteo Salvini è chiarissima: le Province sono utili perché garantiscono servizi ai cittadini. Una tesi che alza la palla alle posizioni più classiche dei 5Stelle: «No ai poltronifici», sorride Luigi Di Maio.
Questa presa di posizione irrita profondamente i leghisti che accusano i 5Stelle di non aver opposto argomenti di così basso livello demagogico nella commissione che si sta occupando di riformare le province coordinata dal sottosegretario leghista Stefano Candiani e dalla viceministro pentastellata Laura Castelli. «Mica potete cambiare idea ogni 5 minuti», dicono i leghisti. Replica della Castelli. «Ma i 5Stelle non hanno mai dato il via libera all’elezione diretta dei presidenti della Provincia».
Muro contro muro anche se lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte prova a gettare acqua sul fuoco e fa sapere che se ne occuperà appena tornerà dalla Cina.
Ma l’incomunicabilità fra i due litiganti è così alta che anche Michele De Pascale, presidente dell’Upi, l’Unione delle Province, non appartenente a nessuna delle due parrocchie essendo sindaco Pd di Ravenna, prova a salvare ciò che gli preme salvare: «La riforma delle Province va aggiustata – spiega De Pascale – Le Province sono utili per coordinare funzioni che i Comuni non possono svolgere. Ma hanno bisogno di sapere esattamente cosa possono fare e oggi questa chiarezza non c’è e soprattutto devono poter contare su risorse certe per poter manutenere le strade e le scuole e svolgere altre funzioni». Di che cosa si dovrebbero occupare le Province? «Abbiamo fatto delle proposte precise – spiega De Pascale – La formazione, l’ambiente a partire dalla caccia e dalla pesca, la programmazione del territorio».
E al di là della polemica politico elettorale di queste ore su queste posizioni pare sia possibile raggiungere un accordo generale, Pd compreso.
Non si capisce invece cosa possa succedere sul fronte dell’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri provinciali. La Lega sembra favorevole. E pur di portarla a casa Candiani ieri ha parlato di altre iniziative per ridurre i costi. E’ un fatto però, che una delle cose che ha funzionato meglio della riforma del 2014 pare essere proprio l’elezione di secondo grado, che consente di scegliere consiglieri provinciali fra i consiglieri comunali. Non funziona invece la quantità di elezioni che si fanno perché i consigli durano solo due anni.
Da registrare infine che a favore delle Province (che sono rimaste in Costituzione grazie alla vittoria del no a referendum del 2016) si è pronunciato anche Papa Bergoglio che ha ricevuto l’Upi.