La verità, forse, non la sapremo mai. Quello che è indiscutibile è che i 27 mila mercenari della Wagner al comando di Prigozhin hanno inferto un vulnus molto forte nel sistema di potere di Vladimir Putin.
Altrettanto certo è che il blitz dell’ex venditore di salsicce di San Pietroburgo non è stato pianificato ieri. E non è stato innescato dal decreto che obbligava dal primo luglio l’”assorbimento” della Wagner nell’esercito di Mosca. Ed è altrettanto lampante che da solo il truculento Prigozhin non poteva agire indisturbato fino a 200 km da Mosca, rischiando di far precipitare la Russia nella guerra civile.
Ecco: l’obiettivo dell’operazione del Gruppo Wagner non mirava al rovesciamento di Putin, di per sé uno scenario spaventoso (chi sarebbe stato in grado di mantenere unito il paese, proteggere le armi nucleari, Prigozhin?). Quindi: non buttarlo giù dal trono del Cremlino ma indebolire il suo potere.
Vedere se, una volta azzoppato, al poverino partiva l’embolo fatale, detto ‘’dopo di me, il diluvio” (e vai con esercito e bombe), oppure Vlad avrebbe iniziato a ragionare. A partire dal negoziato di pace con Zelensky e chiudere la scellerata guerra in Ucraina nei prossimi 30 giorni.
La spia che Putin abbia iniziato a usare le sinapsi del cervello è rappresentato dalla sua richiesta di trovare una mediazione con Prigozhin, rivolta in maniera esplicita ad Alexander Lukashenko. Il presidente della Bielorussia, stato privo di risorse che ha bisogno come il pane della Russia, è rimasto 24 ore al telefono per placare i bollori di Prigozhin e tamponare l’avanzata della colonna Wagner giunta a 200 km da Mosca. Missione riuscita. Ma è ovvio che non si fa una mediazione chiacchierando al telefono. Ed infatti le trattative sono ancora in corso.
Oggi Putin e Prigozhin chissà dove saranno finiti per mettere giù un accordo. E non solo per capire dove domani i 50 mila mercenari delle milizie Wagner, di cui 27 mila tra Russia e Ucraina, andranno a far danni. Prigozhin ha brutalmente dimostrato che può arrivare a Mosca quando vuole e nel giro di poche ore, sapendo bene di avere a suo favore un paese stanco della “missione militare speciale” in Ucraina e che Putin non ha potuto permettersi di bombardare la colonna Wagner composta in gran parte da russi. E se le cose precipitano, i mercenari ritornano più forti che pria.
Più semplice additare chi aveva interesse a trasformare Vladimir in un’anatra zoppa o, ultima ratio, spedirlo ai giardinetti. In primis, gli oligarchi. Anche loro erano convinti, come Putin, che l’invasione ucraina si sarebbe risolta in una settimana di bum-bum, ma quando hanno visto prolungarsi la guerra di un mese, di un anno, ora siamo a due, hanno iniziato a incazzarsi.
Negli ultimi due anni hanno visto cadere sotto sequestro gran parte dei loro capitali e beni all’estero e con la morsa delle sanzioni i loro ricavi si sono più che dimezzati. Tant’è che oggi non si rintracciano nelle agenzie dichiarazioni di oligarchi a favore di Putin.
A seguire i paesi occidentali e la Cina che mirano a chiudere la demente guerra della Russia all’Ucraina che ha mandato in crisi i rapporti economici di mezzo mondo. Infine, l’élite del potere russo: un segnale di grande indebolimento dello zar è arrivato dal Consiglio di Sicurezza, di cui solo cinque membri sono intervenuti con dichiarazioni a favore di Putin. Altro latitante è l’influente ministro degli Esteri Sergey Lavrov, di cui si sono perse le tracce.
Il lato più oscuro di tale incredibile rivolta è rappresentato dall’attuale stato mentale di Putin. Un tipino dall’ego espanso che ha visto il declassamento della Federazione Russa alle spalle di Stati Uniti-Cina come un’ingiustizia storica.
Uno “zar de’ noantri” che, in combutta con il suo ex “cuoco”, s’inventa nel 2015 per combattere in Siria a fianco di Assad una sorta di Legione Straniera in salsa russa chiamata Wagner per portare a termine lavori sporchi in giro per il mondo, evitando così di impiegare le insegne dell’esercito di Mosca.
Ma per Putin non è l’inizio della fine: nessuna potenza internazionale accetterà mai la sua uscita dal Cremlino senza saper chi verrà dopo in un paese che, secondo le più recenti stime della Federation of American Scientists, ha negli arsenali 5.977 testate, qualche centinaio in più rispetto a quelle su cui può contare Washington (5.428). Come ha avvertito il segretario di Stato americano Antony Blinken: “Bisognerà aspettare le prossime settimane per capire gli sviluppi”.
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