Domenica 20 e lunedì 21 settembre gli italiani sono chiamati alle urne per un referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200. Si tratta di un referendum di tipo confermativo, per il quale non è previsto quorum: il risultato sarà valido a prescindere dal numero di voti espressi. La riforma che prevede il taglio dei parlamentari è stata votata dal Parlamento secondo l’iter di doppia lettura e votazione del testo: il primo via libera è arrivato il 7 febbraio 2019, in Senato, quando la maggioranza era quella gialloverde formata da 5 Stelle e Lega. Schierati per il sì, nelle prime votazioni alla Camera e al Senato, sono M5S, Lega, Forza Italia (con qualche distinguo) e Fratelli d’Italia. Il Pd vota contro.
Il via finale
In seconda deliberazione a Palazzo Madama, l’11 luglio 2019, la legge è stata approvata a maggioranza assoluta senza raggiungere però la maggioranza qualificata dei due terzi, a causa del voto contrario espresso dai senatori del Pd e di Liberi e uguali, allora opposizione del governo Conte I, e della non partecipazione al voto di Forza Italia. Nell’ultima lettura alla Camera dei deputati, l’8 ottobre 2019, invece, arriva il via libera di tutti i gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione, con l’eccezione di alcune componenti del gruppo Misto, con il testo che raggiunge la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti. Al quarto voto, quello che ha segnato l’approvazione definitiva della riforma, a votare sì sono stati anche Pd, Leu e Italia viva.
Alcuni partiti hanno modificato le loro posizioni: ecco quali sono quelle attuali.
Pd
La posizione del Partito democratico su come votare al referendum è stata ufficializzata nella direzione nazionale del 7 settembre: come da indicazioni di Nicola Zingaretti i dem si schierano per il Sì. La proposta è stata approvata in direzione con 188 voti favorevoli, 18 contrari, 8 astenuti, mentre in 11 non hanno partecipato al voto. Una maggioranza numerosa, ma che non si traduce in una compattezza assoluta. Alcuni esponenti del partito hanno annunciato l’intenzione di votare No, come l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, l’ex tesoriere Luigi Zanda, Gianni Cuperlo e Matteo Orfini. Contrari anche alcuni big come Romando Prodi, Arturo Parisi, Giuseppe Fioroni e Rosy Bindi.
M5S
Il Movimento 5 Stelle è da sempre il più strenuo fautore del Sì, considerando il taglio dei parlamentari come la madre di tutte le riforme anti casta. Secondo Luigi Di Maio: «Con un numero minore di parlamentari, la qualità delle leggi si alzerà». A fargli eco anche il fondatore del Movimento, Beppe Grillo: «Il popolo italiano potrà riappropriarsi del proprio potere ricacciando nella foresta i dinosauri del giurassico, destinati alla estinzione dalla cometa della riforma costituzionale». Anche se la posizione dei grillini è granitica, non mancano le defezioni fra i parlamentari: i deputati Elisa Siragusa, Mara Lapia, Andrea Vallascas e Andrea Colletti si sono schierati per il No.
Lega
Matteo Salvini ha schierato ufficialmente la Lega per il Sì: «Abbiamo votato per quattro volte in Aula per il taglio dei parlamentari e non cambiamo idea adesso. Era e rimane un’iniziativa finalizzata a rendere più snello ed efficace il lavoro delle Camere». Ma anche all’interno del Carroccio qualcuno si è sfilato dalla linea del partito, annunciando il No, come il governatore della Lombardia Attilio Fontana, il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti, l’ex ministro Gian Marco Centinaio, l’economista Claudio Borghi e l’ex sottosegretario Armando Siri.
Fratelli d’Italia
«Non mi sfugge che un eventuale successo del No potrebbe mettere in difficoltà la maggioranza – ha detto Giorgia Meloni leader di FdI– ma non baratto una cosa in cui credo con l’utilità di un momento». Da qui la netta posizione per il Sì del partito, che appare il più compatto all’interno della coalizione di centrodestra.
Forza Italia
Silvio Berlusconi è stato critico sulla riforma all’interno del centrodestra, spiegando: «Fatto così, come lo vogliono i grillini, il taglio dei parlamentari rischia di essere solo un atto demagogico che limita la rappresentanza, riduce la libertà e la nostra democrazia». Agli elettori è stata lasciata la libertà di voto. In Parlamento, per il Sì figura la capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini, per il No la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini.
Italia viva
Tiepida l’accoglienza sulla riforma da parte di Italia viva. Matteo Renzi avrebbe voluto legare il taglio dei parlamentari al varo di una nuova legge elettorale, cosa che però non è avvenuta. Secondo il leader di Iv la riforma «è uno spot, un tributo alla demagogia. Che vinca il Sì o il No, per il procedimento legislativo non cambia niente. Se vuoi far le riforme istituzionali sul serio bisogna fare le cose per bene». Libertà di voto quindi agli iscritti del partito.
+Europa e Azione
Nettamente schierati per il No sia +Europa sia Azione. Secondo Emma Bonino – che ha partecipato anche a diverse manifestazioni in piazza contro il taglio – «con una vittoria del Sì la Costituzione resterebbe mutilata. Sentir parlare del parlamento come di un covo del malaffare occupato da parassiti, che vanno eliminati come se fossero dei pidocchi, mi fa intellettualmente orrore». Dello stesso avviso anche Carlo Calenda: «Non è una riforma complessiva dell’istituzione parlamentare, che ne ha bisogno – io sono addirittura favore al monocameralismo secco – ma è un taglio indiscriminato che leva rappresentanza a una Camera e che complica il lavoro parlamentare».
Gabriele Genah
[ CORRIERE DELLA SERA ]