I giorni del grande gelo e dell’incomunicabilità sono stati interrotti da Matteo Salvini, nella notte del suo trionfo personale, con un sms. Era necessario rassicurare Luigi Di Maio, confortarlo con la promessa che nulla cambierà per il governo, che «si va avanti per quattro anni». Il leader della Lega, nuovo dominatore della scena politica italiana, sa che non è vero, che le cose non stanno così: nulla sarà più come prima.
Non lo sarà per il Movimento Cinque Stelle che deve prendere atto di una verità indiscutibile: dopo un anno di governo i suoi voti si sono, in percentuale, quasi dimezzati mentre quelli del suo alleato-rivale sono raddoppiati. L’alleanza giallo-verde fa benissimo alla Lega e malissimo al Movimento. Di Maio l’aveva capito chiaramente negli ultimi mesi e aveva cercato di reagire contestando sistematicamente ogni progetto e ogni idea del gemello vicepremier. Il risultato è stato un governo trasformato in un campo di battaglia: scontri quotidiani, ministri intenti a non fare nulla, attività collegiale dell’esecutivo paralizzata.
Da oggi le alternative per il leader del Ms5 sono abbastanza scontate: continuare in una guerriglia sempre meno efficace o rassegnarsi a una posizione subalterna per salvare posti di potere e legislatura. Sempre che nel Movimento non si apra una contestazione così forte da ridimensionarne ruolo e ambizioni.
Ma come può andare avanti un’alleanza in queste condizioni? Come può affrontare una prova decisiva come quella della manovra economica autunnale, con gli altri leader europei pronti già da ora a contestarci e a isolarci sul fronte dei conti? Lo scenario di un’Italia emarginata e in difficoltà è molto probabile. Affrontarlo con un governo in preda a convulsioni continue sarebbe un comportamento davvero irresponsabile verso il Paese.
Matteo Salvini è senz’altro consapevole dei compiti che lo attendono. Sa anche in quale angolo ha chiuso il Movimento e il suo leader e quanti voti sono transitati dai grillini alla sua Lega nazionale. Ma il risultato delle Europee è per lui l’alba di un nuovo mondo. Quello del passaggio da abilissimo ed esuberante (anche troppo) conquistatore del consenso a «premier di fatto» di questo governo. Ieri ne ha dato un’anticipazione indicando le sue priorità immediate: Tav, autonomia, decreto sicurezza, flat tax. Uno dopo l’altro temi indigesti per i Cinque Stelle. Ognuno un capitolo su cui il governo guidato da Giuseppe Conte (mediatore ormai senza mediazioni da realizzare) può saltare. D’altra parte non potrebbe fare altrimenti. Gli elettori l’hanno scelto per questo oltre che per le ricette urlate e facili sull’immigrazione.
Crediamo che Salvini sappia quanto fragile sia l’equilibrio in questo momento. Il risultato delle Europee, con il 41 per cento conquistato da Lega e Fratelli d’Italia, lo ha confortato su un punto per lui cruciale: forse può fare a meno, in caso di elezioni anticipate, di Berlusconi e di Forza Italia. Tentare la carta di una sfida in solitaria al centrosinistra e ai Cinque Stelle non è più un’opzione suicida. E anche la conquista del secondo posto da parte del Pd ha per il momento solo un forte valore psicologico. Una base per la partenza di una traversata alla ricerca di identità, leader e programmi nuovi. Non certo una vera alternativa in campo immediatamente.
I prossimi giorni ci diranno se il «governo del cambiamento» è al capolinea o se i due alleati riusciranno a ritrovare un minimo di terreno comune. Gli italiani hanno chiesto al nuovo vincitore risposte efficaci, concretezza e misure per ripartire. Vorremmo tutti tirare un po’ il fiato, guardare qualche indicatore economico con il segno «più», recuperare fiducia senza sopportare continue prove di forza e arroganza. È chiedere troppo?